BUON NATALE!!!
venerdì 24 dicembre 2010
NATALE 2010
BUON NATALE!!!
venerdì 5 novembre 2010
SALVEZZA
IL PROF E' SORDO, David Lodge, Bompiani
I ricercatori hanno scoperto quasi per caso, durante una sperimentazione non collegata, che le persone con una convinta fede religiosa tendono ad essere più contente nella vita. Nonostante non fosse l’obiettivo principale della ricerca, il recente studio europeo ha chiarito che gli individui religiosi sono più abili nel fronteggiare shock e dolori come la perdita di una persona cara o di un lavoro.
Il professor Andrew Clark della Paris School of Economics e il co-autore Dr. Orsolya Lelkes dell’European Center for Social Welfare Policy and Research hanno analizzato una varietà di fattori su individui Cattolici e Protestanti e hanno riscontrato che la soddisfazione sembra raggiungere livelli più elevati nelle popolazioni religiose. Gli autori hanno concluso che la religione in generale agirebbe come una sorta di “cuscinetto” che protegge l’individuo dalle difficoltà della vita.
“Abbiamo iniziato la ricerca per comprendere come mai alcune nazioni europee abbiano sussidi di disoccupazione più alti delle altre ma la nostra analisi ha evidenziato subito che le persone credenti soffrivano meno dei non credenti il disagio psicologico derivante dalla perdita del lavoro”, spiega il Prof. Clark.
I dati di centinaia di famiglie europee rivelano livelli molto più elevati di soddisfazione generale nei credenti e il Prof. Clark sospetta che la ragione stia in una molteplicità di aspetti. Certo, l’idea che la religione possa offrire un sostanziale beneficio psicologico nella vita contrasta vivamente con la visono comune della religione come ente oppressivo che ha una influenza negativa sullo sviluppo umano. Il Prof. Leslie Francis dell’Università di Warwick ritiene che i benefici derivino dalla visione religiosa di un maggiore “senso della vita” che viene vissuto da molti credenti e che potrebbe essere minore nei non credenti. “Queste conclusioni contrastano infatti con una visione dominante che invece sostiene che la religione possa condurre al dubbio, al fallimento e quindi abbia effetti negativi”, dice Francis, “La convinzione che la religione danneggi le persone è ancora molto diffusa”.
Terry Sanderson, presidente della National Secular Society e attivista per i diritti degli omosessuali, ritiene che uno studio come quello riportato sopra e che traccia un collegamento fra la felicità e la fade sia “senza senso”. “I non credenti non possono rivolgersi alla religione per essere felici. Se trovi incredibili le fondamenta della religione, non riuscirai a crederci, qualsiasi sia la ricompensa che ne deriva”, dice Sanderson. “La felicità, comunque, è un concetto elusivo. A me da felicità l’ascolto della musica classica, mentre guardare il football mi da repulsione. Qualcun altro proverà l’esatto opposto. Alla fine tutto si riduce al gusto e alla predisposizione personale.”
Justin Thacker, capo della Theology for the Evangelic Alliance, crede che ci siano altri fattori meritevoli di considerazione. Infatti, secondo lui, credere in Dio aumenta nell’individuo la consapevolezza che la vita sia ricca di significato. “C’è più di una ragione per crederlo – una è sicuramente il senso della comunità e del rafforzamento delle relazioni sociali, ma non è tutto. Una gran parte del merito va al senso, all’impegno e al valore che vi da il credere in un Dio, mentre non credere in niente vi priva di questi valori.”
Alcuni studi precedenti hanno evidenziato che l’essere umano sarebbe biologicamente predisposto a credere in Dio. Storicamente, la maggior parte delle culture hanno sviluppato qualche sorta di credenza religiosa che includesse almeno una forma di “essere soprannaturale”. Viste in prospettiva evoluzionistica e psicologica queste questioni hanno intrigato gli scienziati per decenni, ma gli studi fisiologici e cognitivi sulla religione sono relativamente recenti. Sia i credenti che i non credenti possono convenire sui risultati della ricerca e, nonostante ciò, interpretarli in maniera diversa.
I ricercatori dell’Ian Ramsey Centre for Science and religion dell’università di Oxford stanno lavorando ad un progetto che aiuterà a comprendere meglio la scienza cognitiva della religione, che si propone di cercare la parte razionale che sta dietro la fede. Ossia, cosa induce lucidamente un individuo ad affidarsi al soprannaturale.
“Uno dei fini del progetto è spiegare scientificamente non solo la fede in un Dio, ma anche il motivo per cui alcune persone divengono atee. Se gli scienziati riusciranno a spiegare perchè le persone tendono a credere o meno in un’entità superiore allora i non credenti potranno trovare una spiegazione soddisfacente in merito alla fede altrui, poichè ora gli atei, trovano difficile comprendere il motivo per cui molte persone credono in esseri inesistenti supportati da storie senza fondamento reale.”
domenica 3 ottobre 2010
Prendere l'iniziativa
Charles Péguy: «Un mondo [...] dopo Gesù, senza Gesù»
Il contesto ecclesiale è tutto dominato da una parola che il Papa ripete da mesi e che noi non possiamo dimenticare in questo nostro radunarci, che è la parola “conversione”. Ci ha detto quando siamo andati in piazza San Pietro: «Il vero nemico da temere e da combattere è il peccato, il male spirituale, che a volte, purtroppo, contagia anche i membri della Chiesa. Viviamo nel mondo, ma non siamo del mondo (cfr. Gv 17,14). Noi cristiani non abbiamo paura del mondo, anche se dobbiamo guardarci dalle sue seduzioni.
sabato 18 settembre 2010
NESSUNA SPERANZA PER LA MIA GENERAZIONE?
17/09/2010 - Benedetto XVI ha incontrato la Regina a Edimburgo. Pubblichiamo il racconto della visita del Santo Padre nel Regno Unito, apparso sul quotidiano Avvenire
Benedetto XVI a Edimburgo.
Scambi di battute in un’atmosfera definita «familiare», se non «quasi natalizia». Un’accoglienza speciale, capace di coniugare protocollo e cordialità, ma soprattutto di dare un senso forte al reciproco riconoscimento dei meriti nella ricerca del bene comune, che ha fatto da sfondo ai discorsi ufficiali. E culminato nell’auspicio del Papa che il Regno Unito, nel suo «sforzo di essere una società moderna e multiculturale... possa mantenere sempre il rispetto per quei valori tradizionali e per quelle espressioni culturali che forme più aggressive di secolarismo non stimano più, né tollerano più».È stato il Palazzo di Holyrood House, a Edimburgo, la cornice del primo atto di questa visita nel Regno Unito di Benedetto XVI. Il momento più ufficiale dei quattro giorni che il Pontefice trascorrerà oltremanica. E nel quale, ricordando tra l’altro il contributo decisivo del Regno Unito alla sconfitta della «tirannia nazista, che aveva in animo di sradicare Dio dalla società e negava a molti la nostra comune umanità, specialmente gli ebrei, che venivano considerati non degni di vivere», ha osservato come «mentre riflettiamo sui moniti dell’estremismo ateo del ventesimo secolo, non possiamo mai dimenticare come l’esclusione di Dio, della religione e della virtù dalla vita pubblica conduce in ultima analisi ad una visione monca dell’uomo e della società».Per questo allora la Gran Bretagna, secondo il Papa, non deve lasciar «oscurare il fondamento cristiano che sta alla base delle sue libertà». Per questo, ha aggiunto, «possa quel patrimonio cristiano, che ha sempre servito bene la nazione, plasmare costantemente l’esempio del Suo governo e del Suo popolo nei confronti dei due miliardi di membri del Commonwealth». Un esplicito riconoscimento del ruolo mondiale che il Regno Unito ancora gioca, in quanto «il governo e il popolo sono coloro che forgiano le idee che hanno tutt’oggi un impatto ben al di là delle Isole britanniche». Ciò, per Benedetto XVI, «impone loro un dovere particolare di agire con saggezza per il bene comune», dovere che anche i media devono sentire «poiché le loro opinioni raggiungono un così vasto uditorio», imponendo loro «una responsabilità più grave di altri».Parole importanti, e "pesanti", quelle di Benedetto XVI, che Elisabetta II, vestita di grigio chiaro, aveva accolto affermando come «la sua presenza oggi ci ricorda la comune eredità cristiana e il contributo che i cristiani danno alla pace nel mondo e allo sviluppo economico e sociale dei Paesi meno prosperi del mondo». «Siamo tutti consapevoli – aveva poi scandito la Regina – dello speciale contributo della Chiesa cattolica romana, in particolare per quanto riguarda il suo ministero ai membri più poveri e deprivati della società, la sua cura per i senza-tetto e per l’educazione fornita dalla sua estesa rete di scuole».C’è il tempo per lo scambio dei doni – al Papa la copia di alcune stampe del pittore tedesco Hans Holbein, alla Regina una copia di un manoscritto di un vangelo tedesco dell’VIII secolo – e per una domanda di Elisabetta II a proposito della Papamobile – «Non è piccola?» – prima che Benedetto XVI, sulle spalle lo scialle col tartan disegnato per l’occasione, si immerga al suono delle cornamuse nel bagno di folla che lo accompagnerà fino alla residenza del cardinale Keith O’ Brien. «Decine di migliaia di persone», assicura la Bbc, alle quali, giunto a St. Andrews, Papa Ratzinger si avvicina in un fuori programma che lo fa trattenere qualche minuto a stringere le mani ad alcuni bambini e ai malati in carrozzella.Un bagno di folla che si ripeterà nel pomeriggio, nella messa celebrata a Glasgow. Oltre centomila persone, davanti alle quali il Pontefice torna a ripetere che «l’evangelizzazione della cultura è tanto più importante nella nostra epoca, in cui una "dittatura del relativismo" minaccia di oscurare l’immutabile verità sulla natura dell’uomo, il suo destino e il suo bene ultimo». Quindi, in serata, il trasferimento a Londra, a chiudere una giornata che i commentatori britannici hanno definito «memorabile».E le contestazioni annunciate? Come previsto, il centinaio (in tre gruppi) di contestatori è sparito nello scenario scozzese, ed è facile prevedere che anche nella capitale qualche fatica la faranno, per farsi notare. Di tutto quanto si attendeva restano le richieste di giustizia delle associazioni delle vittime degli abusi sessuali da parte di sacerdoti. Sull’aereo che lo portava a Edimburgo, a chi gli rivolgeva una domanda al riguardo, il Papa aveva confessato che «queste rivelazioni sono state per me uno choc, una grande tristezza. È difficile capire come questa perversione del ministero sacerdotale sia possibile».
lunedì 6 settembre 2010
Gli occhi miei vaghi delle cose belle
martedì 31 agosto 2010
NEL REGNO DELLA FANTASIA
IL MEMORABILE
SUPREMAZIA DELL'OCCIDENTE?
giovedì 29 luglio 2010
VI SONO SOLTANTO DUE AMORI: L'AMORE DI SE STESSI E L'AMORE DI DIO
lunedì 19 luglio 2010
CHE COSA IMPORTA? TUTTO E' GRAZIA.
L’Osservatore Romano, 9 giugno 2010
Non dimenticherò mai il contraccolpo avuto durante il ritiro spirituale con alcuni sacerdoti in America Latina. Avevo appena terminato di dire che spesso alla nostra fede manca l’umano, che un sacerdote mi avvicinò. Mi disse che all’epoca in cui era in seminario gli avevano insegnato che era meglio nascondere la sua umanità concreta, non averla davanti agli occhi «perché disturbava il cammino della fede». Questo episodio mi ha reso più consapevole di come può essere ridotto il cristianesimo e dello stato di confusione in cui siamo chiamati a vivere la nostra vocazione sacerdotale. Una volta domandarono a don Giussani che cosa avrebbe raccomandato a un giovane prete: «Che sia innanzitutto un uomo», rispose, suscitando la reazione stupefatta dei presenti. Ci troviamo agli antipodi dell’indicazione data al seminarista: da una parte, il distogliere gli occhi dalla propria umanità, dall’altra, uno sguardo pieno di simpatia per se stessi.
Che cosa risulta dunque decisivo per la nostra fede e la nostra vocazione? Di che cosa abbiamo bisogno? Don Giussani ha più volte indicato nella «trascuratezza dell’io», nell’assenza di un autentico interesse per la propria persona, «il supremo ostacolo al nostro cammino umano» (Alla ricerca del volto umano, Rizzoli, Milano 1995, p. 9). Invece è il vero amore a se stessi, la vera affezione a sé quella che ci porta a riscoprire le nostre esigenze costitutive, i nostri bisogni originali nella loro nudità e vastità, così da riconoscerci rapporto col Mistero, domanda di infinito, attesa strutturale. Solo un uomo così “ferito” dal reale, così seriamente impegnato con la propria umanità può aprirsi totalmente all’incontro con il Signore. «Cristo infatti – afferma don Giussani – si pone come risposta a ciò che sono “io” e solo una presa di coscienza attenta e anche tenera e appassionata di me stesso mi può spalancare e disporre a riconoscere, ad ammirare, a ringraziare, a vivere Cristo. Senza questa coscienza anche quello di Gesù Cristo diviene un puro nome» (All’origine della pretesa cristiana, Rizzoli, Milano 2001, p. 3).
«Non c’è risposta più assurda di quella a una domanda che non si pone» ha scritto Reinhold Niebuhr. Può valere anche per noi quando acriticamente subiamo l’influsso della cultura in cui siamo immersi, che sembra favorire la riduzione dell’uomo ai suoi antecedenti biologici, psicologici e sociologici. Ma se l’uomo è davvero ridotto a questo, quale è allora il nostro compito di sacerdoti? A che cosa serviamo? Quale è il senso della nostra vocazione? Come resistere a una fuga dal reale rifugiandoci nello spiritualismo, nel formalismo, cercando alternative che rendano sopportabile la vita? Oppure non sarebbe meglio, obbedendo al clima culturale, diventare assistente sociale, psicologo, operatore culturale o politico? Come ha ricordato Benedetto XVI a Lisbona, «spesso ci preoccupiamo affannosamente delle conseguenze sociali, culturali e politiche della fede, dando per scontato che questa fede ci sia, ciò che purtroppo è sempre meno realista. Si è messa una fiducia forse eccessiva nelle strutture e nei programmi ecclesiali, nella distribuzione di poteri e funzioni; ma cosa accadrà se il sale diventa insipido?» (Omelia della Santa Messa al Terriero do Paco di Lisboa, 11 maggio 2010).
giovedì 15 luglio 2010
CAMBIA IL MONDO...
Penso che siamo nel vicolo dei topi
"Cos'è quel rumore?"
E non sai "Niente? Non vedi niente? Non ricordi
Ricordo
sabato 10 luglio 2010
L'IO RINASCE IN UN INCONTRO
sabato 3 luglio 2010
EL PUEBLO UNIDO
Toglimi il pane,
Non togliermi la rosa,
Dura è la mia lotta e torno
Amor mio, nell'ora
Vicino al mare, d'autunno,
martedì 22 giugno 2010
CHIESA CATTOLICA
sabato 12 giugno 2010
UN FATTO
domenica 6 giugno 2010
PRONTI PER IL VIAGGIO
Lo scorso 21 maggio a Kampala, dopo aver partecipato a una tavola rotonda sull’educazione di qualità nei paesi in via di sviluppo, ho inaugurato la scuola secondaria intitolata a Don Luigi Giussani.
Rose Busingye ha spiegato che “l’idea di costruire una nuova scuola nasce dal fatto che nessuno educa i ragazzi a riconoscere il loro valore e la loro dignità. Nelle scuole questo non succede. Soprattutto in Africa i ragazzi sono trattati male, spesso picchiati, ed escono che sono peggio degli altri. Quello che invece è importante è un rapporto che riconosce il valore dell’altro, dove l’altro non deve diventare lo schiavo delle tue idee, dove l’educatore ti deve accompagnare al tuo destino”.
Quello di Rose è un ritratto della sfida con cui si confronta la nostra società. L’opera che è appena nata è il frutto del lavoro di persone che devono costituire un esempio per chi gestisce una scuola o addirittura un intero sistema scolastico. Per educare oggi non dobbiamo dare per scontato il soggetto, cioè il giovane o l’adulto di fronte a noi.
Inoltre non dobbiamo considerare ovvio il fatto che questo giovane o adulto possiede nel profondo il desiderio di imparare. Anche se non è cosciente del desiderio, è dentro di lui. Un insegnante può iniziare a risvegliare quel desiderio dello studente solo se non dà per scontato lo studente stesso. Allo stesso modo nessuna istituzione, né la Chiesa né il governo, possono dare per scontato l´interesse delle persone.
I giovani stanno pagando a causa dello scetticismo di adulti che pensano come Malraux che “non c’è nessun ideale per cui valga la pena sacrificarsi, perché tutti sono bugiardi e nessuno conosce la verità”. Senza una verità convincente e credibile da proporre, gli adulti non risveglieranno l’interesse dei giovani, perché sapranno che gli adulti non credono in quello che dicono.
Sarebbe irrazionale dare a un bambino un giocattolo e non dirgli come funziona. Abbiamo ricevuto il più bel dono che l’uomo possa ricevere, la vita, ma non abbiamo le istruzioni di come funziona la vita. Un insegnante può dare questa ipotesi di significato in modo ragionevole solo come autorità. E l’autorità è chi ti aiuta a crescere.
La grande sfida che abbiamo di fronte a noi è se siamo in grado di offrire qualcosa che sia abbastanza attraente da risvegliare la ragione e la libertà della persona. Offrire questo non è un’imposizione. È semplicemente il più grande servizio che possiamo dare ai nostri giovani. È la stessa cosa di quello che un padre desidera per i propri figli. Solo in questo modo possono ringraziarci per avergli donato la vita, perché sarebbe ingiusto introdurli in questo mondo senza offrirgli un’ipotesi di significato.
Che cos’è la verità? Nessuno ha questa risposta. Ma possiamo incontrarci e riconoscere la verità e siamo tenuti a servirla. La verità è un uomo che offre se stesso, che ci viene incontro, che ha un giudizio sulla realtà. È quell’uomo il cui cuore è destato dallo spirito e capace di sfidare il mondo oltre il suo male. E andando oltre il suo male c’è la responsabilità di costruire il bene per tutti.