domenica 22 febbraio 2009

UTOPIA DI UN SISTEMA PERFETTO


IL NEMICO, Lee Child, Longanesi.
Qual è il rumore simbolo del ventesimo secolo? Ci si potrebbe intavolare un lungo dibattito. Secondo alcuni è il rombo degli aerei: di un caccia solitario che solca i cieli azzurri degli anni '40 o di un jet che sfreccia basso sopra le nostre teste, facendo termare il suolo. Il wup wup wup di un elicottero, il boato di un 747 che decolla, il fragore delle bombe che cadono su una città: sono tutti rumori caratteristici del ventesimo secolo. Prima, nessuno li aveva mai uditi. Qualche pazzo ottimista potrebbe preferire le melodie dei Beatles, il coro di yeah yeah yeah che sfuma, travolto dalle grida del pubblico. Pur simpatizzando con loro, non credo che canzoni e urla sarebbero una scelta congrua: musica ed entusiasmo sono presenti sin dall'alba dei tempi, non sono stati inventati nel Novecento.
No, i rumori simbolo del ventesimo secolo sono il cigolio e lo sferragliare dei carri armati su una strada lastricata, suoni che hanno udito a Varsavia e a Rotterdam, a Stalingrado e a Berlino, poi ancora a Budapest e a Praga, a Seoul e a Saigon. E' un suono brutale -il suono della paura-, che ti comunica il senso di potere, di superiorità, di forza schiacciante e di fredda indifferenza. I cingoli dei carri cigolano e sferragliano, e da quel rumore capisci che nessuno li può fermare. Ti senti debole e indifeso contro la macchina. Poi un cingolo continua a ruotare e l'altro si ferma, il carro gira e ti piomba addosso, rombando. Questo è il vero rumore simbolo del ventesimo secolo.
IL LIBRO
Uno scrittore inglese che vive negli Usa, un detective poliziotto dell'esercito americano, che ricorda un po' un giovane Clint Eastwood. Il commento dell'Indipendent: "Superbo... I libri di child hanno questo di speciale: non si riesce a smettere di leggerli." Ed è vero. Il protagonista è Jack Reacher e sono diversi i libri in cui trovarlo. Si impara a conoscere lui, la sua famiglia, i suoi rapporti con le donne e di lui ci si innamora subito. E' integerrimo ma pronto a farsi giustizia da sè, è un duro ma capace di intenerire. E' un bel giallo dove la violenza non è descritta con macabro piacere e il sesso così blando da non aumentare le vendite del libro. Strano che Reacher non sia ancora diventato un personaggio di Hollywood perchè ne ha tutte le caratteristiche.


È difficile per coloro che non hanno mai conosciuto persecuzione,
E che non hanno mai conosciuto un cristiano,
Credere a questi racconti di persecuzione cristiana.
E' difficile per coloro che vivono presso una Banca
Dubitare della sicurezza del loro denaro. (...)
Pensate che la fede abbia già conquistato il mondo
E che i leoni non abbisognino più di guardiani?
Avete bisogno che vi si dica che qualsiasi cosa sia stata, può essere ancora?
Avete bisogno che vi si dica che persino modeste cognizioni
Che vi permettono di essere orgogliosi in una società educata
Difficilmente sopravvivranno alla Fede a cui devono il loro significato? (...)
Perché gli uomini dovrebbero amare la Chiesa? Perché dovrebbero amare le sue leggi?
Essa ricorda loro la Vita e la Morte, e tutto ciò che vorrebbero scordare.
È gentile dove sarebbero duri, e dura dove essi vorrebbero essere teneri.
Ricorda loro il Male e il Peccato, e altri fatti spiacevoli.
Essi cercano sempre d'evadere
Dal buio esterno e interiore
Sognando sistemi talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno d'essere buono
E il Figlio dell'Uomo non fu crocifisso una volta per tutte,
II sangue dei martiri non fu versato una volta per tutte,
Le vite dei Santi non vennero donate una volta per tutte:
Ma il Figlio dell'Uomo è sempre crocifisso
E vi saranno sempre Martiri e Santi.
se il sangue dei Martiri deve fluire sui gradini
Dobbiamo prima costruire i gradini;
E se il Tempio dev'essere abbattuto
Dobbiamo prima costruire il Tempio»
T.S. Eliot

sabato 14 febbraio 2009

DA GRANDE FARO' LA MAESTRA


DIARIO DI SCUOLA, Daniel Pennac, Feltrinelli
Diversi passaggi:
Statisticamente tutto si spiega, personalmente tutto si complica.
"Lo sai qual è l'unico modo per far ridere il buon Dio?" Esitazione all'altro capo del filo. "Raccontargli i propri progetti." In altre parole, niente panico, non c'è nulla che vada come previsto, è l'unica cosa che ci insegna il futuro quando diventa passato. Non basta, certo, è un cerotto su una ferita che non cicatrizzerà tanto facilmente, ma è tutto quello che posso faer per ora al telefono.

Bisognerebbe inventare un tempo specifico per l'apprendimento. Il presente di incarnazione, per esempio. Sono qui, in questa classe, e finalmente capisco! Ci siamo! Il mio cervello si propaga nel mio corpo: si incarna.

Quando non succede, quando non capisco niente, mi sfaldo, mi disintegro in questo tempo che non passa, mi riduco in polvere e un soffio basa per disperdermi.

Ma affinchè la conoscenza possa incarnarsi nel presente di una lezione, occorre smettere di brandire il passato come una vergogna e l'avvenire come un castigo.

La loro sedia è un trampolino che li scaglia fuori dall'aula nell'istante stesso in cui vi si posano. A meno che non vi si addormentino. Se voglio sperare nella loro piena presenza, devo aiutarli a calarsi nella mia lezione. Come riuscirci? E' qualcosa che si impara, soprattutto sul campo, col tempo. Una sola certezza, la presenza dei miei allievi dipende strettamente dalla mia: dal m io essere presente all'intera classe e a ogni individuo in particolare, dalla mia presenza alla mia materia, dalla mia presenza fisica, intellettuale e mentale, per i cinquantacinque minuti in cui durerà la mia lezione.

... so solo che quei tre erano pervasi dalla passione cominicativa della loro materia. Armati di quella passione, sono venuti a prendermi in fondo al mio sconforto e mi hanno lasciato andare solo quando ho avuto i piedi saldamente posati nelle loro lezioni che si rivelarono essere l'anticamera della mia vita. Non che si occupassero di me più degli altri, no, consideravano alla stessa stregua gli studenti che andavano bene e gli studenti che andavano male e sapevano risvegliare in quest'ultimi il desiderio di capire.


Il libro
Bello e positivo! Un libro positivo sull'insegnamento e che non riguardi l'epoca di Cuore o della Montessori è un miracolo. Sembra infatti che esistano ancora insegnanti che amino il proprio lavoro. E non ci sono ricette: basta esserci, amare la propria materia e amare chi si ha di fronte, incondizionatamente. Uno degli insegnanti citati nel libro al suo alunno "perfetto", sotto i voti massimi raggiunti nella sua pagella ha scritto "grazie!". Ma non sono questi gli studenti preferiti, sono i "somari", gli "ungrateful little bastards", come li chiama mio marito, sono le vere sfide dell'insegnante, che danno tantissima soddisfazione quando si risveglia un qualche interesse nei loro occhi. E' un libro che fa riflettere. Insegno da quasi trent'anni e mi piace sentirmi giudicata nel mio lavoro, sono disponibile a cambiare strategie: non sono ancora vecchia!!! E mi piace stupirmi dei miei alunni. Ieri stavamo studiando le figure retoriche nelle poesie (ovviamente a livello elementare) e c'eravamo soffermati sulle similitudini. Abbiamo provato ad inventare degli esempi. Il mio alunno creativo, che è il disordine e l'agitazione in persona, riflette (e lo si vede lontano un miglio quando pensa), alza la mano e mi fa: "Il cuore è una rosa che canta". Vi assicuro che il mio è il lavoro più bello del mondo!

Dal corso “Educare alla condivisione di un’esperienza di crescita del proprio rapporto con la realtà”, Fondazione per la Sussidiarietà, 24 gennaio 2009
Carlo Wolfsgruber:
Io mi limito a ricordare alcune mosse essenziali del cuore.
La prima mossa essenziale è, come diceva già prima Eddo, l’amore a sé. L’amore a sé che ha certamente delle implicazioni psicologiche, ma non ha la sua radice qui, perché la sua radice è nell’autocoscienza; tanto è vero che non si dà l’una senza l’altra. E’ impossibile educare senza amore a sé. E non altrove, ma lì, in quella classe, in quell’ora, davanti a quel contenuto. In un certo senso potremmo dire che l’amore a sé, l’amore di sé è il centro di tutto, nel senso che c’entra con tutto, come l’autocoscienza.
La seconda mossa essenziale del cuore è l’uso rigoroso della ragione. Sto parlando proprio di quell’uso della ragione per cui l’uomo, quando il cuore è in azione,non può confondere la conoscenza col pensiero. E’ la ragione povera o ragione originale, così come traspare alla coscienza dell’uomo nella sua esperienza, la quale è dipendente totalmente dalla realtà. Una implicazione didattica interessante: è da questa rigorosità di uso della ragione -come mossa essenziale del cuore – che, ad esempio, deriva il tenerci al linguaggio specifico, il cosiddetto linguaggio specifico della disciplina; perché la ragione originale rende impossibile l’uso del simbolo svuotato dal suo contenuto; non simbolo, ma, diremmo noi, segno sacramentale, cioè segno che, in qualche modo, contiene ciò di cui parla.
La terza mossa essenziale è lo stupore, cioè l’amore gratuito alla bellezza (niente a che vedere con qualsiasi posizione estetizzante). E qui mi permetto di citare von Balthasar, in Gloria, primo volume: «Senza del quale il vecchio mondo era incapace di intendersi, ma il quale ha preso congedo dal mondo moderno [cioè da noi] per abbandonarlo alla sua cupidità e alla sua tristezza. Essa è la bellezza che esige per lo meno altrettanto coraggio e forza di decisione della verità e della bontà, e la quale non si lascia ostracizzare e separare da queste due sue sorelle senza trascinarle con sé in una vendetta misteriosa. In un mondo senza bellezza anche il bene ha perduto la sua forza di attrazione; e l’uomo resta perplesso di fronte ad esso e si chiede perché non deve piuttosto preferire il male. In un mondo senza bellezza gli argomenti in favore della verità hanno esaurito la loro forza di conclusione logica; il processo che porta alla conclusione è un meccanismo che non inchioda più.. 3. “Lo spettacolo di un io in azione”: la misteriosa dinamica dell’interesse nessuno e la stessa conclusione non conclude più. E – si domanda von Balthasar -se è così dei trascendentali, che ne sarà dell’essere stesso? Non si lascia più che il mistero dell’essere esprima se stesso. La testimonianza dell’essere diventa incredibile». Essendo l’educatore un testimone dell’essere, se non c’è questa mossa essenziale del cuore, l’educatore contribuisce all’assuefazione e alla noia del già saputo oppure dell’impossibile a sapersi.
Il quarto e ultimo punto che mi sembra di dover sottolineare lo chiamerei coinvolgimento appassionato. Non c’è differenza, per quanto grande, tra me e chi ho davanti, l’interlocutore, che possa impedire una simpatia e una cordialità che, prima che incominci il rapporto, prima che il mio sguardo cada su quella faccia, sono impensabili. Senza questa mossa di simpatia e di cordialità è impossibile ogni allargamento della mia ragione, perché l’allargamento della ragione non è una vicenda privata. Questo coinvolgimento appassionato cosa c’entra col cuore? C’entra perché ha il suo luogo in un incontro che avviene tra persone, pur diverse, in ognuna delle quali è presente – lo sappiano o non lo sappiano – la stessa esperienza elementare. Questo è il motivo per cui io, vecchio, posso osare di comunicare con un mio studente, giovane. Perciò io non sono assolutamente d’accordo con chi dicesse: “I ragazzi di adesso non sono come eravamo noi quando eravamo giovani.” Non mi illudo certo che siano uguali, nel senso che adesso sono meno strumentati – poveretti -di noi, ma l’esperienza elementare è identica e io perciò posso partire dalla mia esperienza e il giovane mi capisce, e io capisco il giovane.

giovedì 12 febbraio 2009

CHI DITE CHE IO SIA?


GESU' DI NAZARETH, Joseph Ratzinger, Rizzoli

La Legge è diventata Persona. Nell'incontro con Gesù ci nutriamo, per così dire, dello stesso Dio vivente, mangiamo davvero il "pane del cielo". Conformemente a ciò, Gesù ha chiarito già prima che l'unica opera richiesta da Dio consiste nel credere in Lui. Gli ascoltatori avevano chiesto a Gesù: "Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?" (...) Gli ascoltatori sono pronti a lavorare, ad agire, a compiere delle "opere" per ricevere questo pane. Ma non lo si può "guadagnare" col lavoro umano, mediaNte le proprie prestazioni. Può venire a noi soltanto come dono di Dio, come opera di Dio: l'intera teologia paolina è presente in questo dialogo. La realtà più alta ed essenziale, non la possiamo comprare con i soli nostri sforzi; dobbiamo disporci ad accogliere il dono e, per così dire, entrare nella dinamica delle realtà donate. Ciò accade nella fede in Gesù, che è dialogo e relazione viva con il Padre e che in noi vuole diventare nuovamente parola e amore.

Il libro
Finalmente l'ho finito! L'ho letto poco alla volta, un paragrafo al giorno la mattina appena sveglia quando potevo permettermi di non alzarmi subito. Sono capitate alcune coincidenze: a Messa per tre volte il vangelo è stato il brano che avevo appena letto nel libro, alcune persone dicevano cose che erano riferite al passo a cui ero arrivata. Qualcuno ha detto che viviamo un'epoca fortunata perchè nella Chiesa Magistero e santità coincidono. E' vero: anche questo è un grande Papa. Nel testo concetti profondissimi sono espressi con una semplicità disarmante. E non è pura teologia. Ad un certo punto c'era perfino scritto che i genitori dovrebbero guardare con più libertà la volontà del padre sui propri figli. Ad un mio amico preoccupato per il futuro di un figlio con problemi (che ne sarà di lui?), un altro rispondeva: "Ma non credi che Gesù è buono?". La lettura di questo libro di domande ne suscita tante ma per il momento voglio trattenere questa: ma io credo davvero che Gesù è buono?

Paul Ludwig Ladsberg (1901-1943, filosofo di origine ebraica, convertito al cristianesimo e morto nei campi di concentramento. La madre si suicidò quando le impedirono di lasciare la Germania per raggiungere il figlio in Francia))
«Non ci resta che l’esempio di Cristo e di quanti tra gli uomini hanno potuto seguire quest’esempio […]. All’uomo che soffre e che subisce la tentazione del suicidio, possiamo dire unicamente: ricordati quello che hanno sofferto Gesù e i martiri. Porta la croce, come loro. Non smetterai di soffrire, ma la croce della sofferenza diverrà dolce per te grazie a una forza sconosciuta che proviene dal centro dell’amore divino». In un tempo in cui «è spesso diventato orribilmente mediocre, il cristianesimo è al tempo stesso minacciato da un nuovo paganesimo fanatico e talvolta a suo modo eroico. Il cristianesimo o sparirà o ritroverà la sua originaria virtù. Non credo» scrive Landsberg «che possa sparire, ma deve certamente rinnovarsi, prendendo coscienza della sua verità. Non è perciò superfluo mostrare oggi, insistendo su un problema determinato, che la morale cristiana non è una qualunque morale universale, naturale o razionale, forse con qualche intuizione in più, ma è la manifestazione nella vita di una rivelazione paradossale. […] Oggi dobbiamo prendere esplicitamente coscienza di alcune cose che erano ovvie in un’epoca ancora vicina allo “spettacolo” dei martiri»






domenica 1 febbraio 2009

ISTRUZIONI PER L'USO


da IL BAMBINO DAL CUORE DI LUPO, Asne Seierstad, Rizzoli.

Dopo le frasi di apertura il giovane passa alle domande che i telespettatori hanno inviato nel corso della settimana. "L'Islam permette di prendere soldi in prestito?" "Sì, se li restituisci. Si possono prendere soldi in prestito solo se è per la famiglia, per costruire una casa ad esempio. Se poi nei successivi tre mesi si ricava un profitto grazie al prestito bisogna ricordarsi di saldare il debito." "Ci si può separare?" "Il divorzio è peccato. Bisogna preparare chi si sposa, e la famiglia che dà via una figlia ha più responsabilità di quella che l'accoglie. L'onore della famiglia sta nella condtta della moglie che deve essere irreprensibile e rispettosa, deve comportarsi da brava compagna e brava madre, non deve infrangere le tradizioni nè essere dissoluta." "Se il marito beve, ci si può separare?""In questo caso bisogna aiutarlo, ma se lui non smette di bere, allora ognuno può andare per la propria strada. E' permesso." Hadizat annuisce. "E se un uomo guarda da una parte?" "Significa che ha altre donne" mi traduce Hadizat. "Quello è il peccato più grave. L'uomo può sposarsi di nuovo se la moglie è malata o non è in grado di avere figli, altrimenti si deve limitare a quella che ha. Tra l'altro si possono avere fino a quattro mogli, quindi non c'è bisogno di divorziare da una donna malata, anche se ci si risposa." "Qual è l'età giusta per il matrimonio?" "Quando la ragazza ha avuto il menarca è pronta per sposarsi. L'età non conta nulla. In quel momento lei è una donna, anche se ha solo dodici anni. I genitori possono predisporre il matrimonio fin dalla nascita della bambina E' la cosa migliore".

Il libro

L'autrice è una giornalista norvegese che, causa la sua conoscenza del russo, diventa corrispondente estero per un giornale della sua nazione e si ritrova in Cecenia. L'incontro con questa gente e con le loro sofferenze la porta ad essere meno romantica nel suo amore per la cultura russa e a legarsi con la realtà cecena. Io non conosco bene l'origine del conflitto con la russia e non ho nessuna simpatia per gli atti terroristici, dovessero essere anche per una giusta causa. Secondo la giornalista l'origine di tutto è il presidente Eltsin che dà l'ordine di invadere la Cecenia, immortalando alla causa ragazzini inesperti dell'Armata Rossa e civili e soldati/guerriglieri ceceni. Il libro è bello ed è frutto di esperienze. Alcune figure restano memorabili: una coppia cecena senza figli che comincia ad accogliere gli orfani diventando una specie di casa/famiglia, cosa abbastanza inusuale poichè di solito i paesi islamici non permettono le adozioni. E' un mondo a me molto lontano, pieno di valori che non fanno parte della mia esperienza: precetti da seguire, vendette per onore, maltrattamenti, mancanza di libertà... Ciò che stupisce dell'autrice è la sua audacia/incoscienza di trovarsi in luoghi pericolosi e la sua capacità di creare un legame con chi incontra. Anche se apparentemente non esprime giudizi è evidente, però, che nel conflitto si schiera a favore dei Ceceni.
P.S. La pace sembra impossibile all'uomo. Conflitti rivelano problemi irrisolti, fragili convivenze , dialoghi artificiali. Qui sopra i Ceceni, qui sotto Israele. Ho appena visto un film che non vuole farci dimenticare ciò che è successo nei Balcani. Si intitola "La vita segreta delle parole" con un insolito Tim Robbins. Mostra una possibile speranza. Bello.

Israele parli anche con Hamas
di DAVID GROSSMAN

Come le volpi del racconto biblico di Sansone, legate per la coda a un'unica torcia in fiamme, così noi e i palestinesi ci trasciniamo l'un l'altro, malgrado la disparità delle nostre forze. E anche quando tentiamo di staccarci non facciamo che attizzare il fuoco di chi è legato a noi - il nostro doppio, la nostra tragedia - e il fuoco che brucia noi stessi. Per questo, in mezzo all'esaltazione nazionalista che travolge oggi Israele, non guasterebbe ricordare che anche quest'ultima operazione a Gaza, in fin dei conti, non è che una tappa lungo un cammino di violenza e di odio in cui talvolta si vince e talaltra si perde ma che, in ultimo, ci condurrà alla rovina. Assieme al senso di soddisfazione per il riscatto dello smacco subito da Israele nella seconda guerra del Libano faremmo meglio ad ascoltare la voce che ci dice che il successo di Tsahal su Hamas non è la prova decisiva che lo Stato ebraico ha avuto ragione a scatenare una simile offensiva militare, e di certo non giustifica il modo in cui ha agito nel corso di questa offensiva. Tale successo prova unicamente che Israele è molto più forte di Hamas e che, all'occasione, può mostrarsi, a modo suo, inflessibile e brutale. Allo stesso modo il successo dell'operazione non ha risolto le cause che l'hanno scatenata. Israele tiene ancora sotto controllo la maggior parte del territorio palestinese e non si dichiara pronto a rinunciare all'occupazione e alle colonie. Hamas continua a rifiutare di riconoscere l'esistenza dello Stato ebraico e, così facendo, ostacola una reale possibilità di dialogo. L'offensiva di Gaza non ha permesso di compiere nessun passo verso un vero superamento di questi ostacoli. Al contrario: i morti e la devastazione causati da Israele ci garantiscono che un'altra generazione di palestinesi crescerà nell'odio e nella sete di vendetta. Il fanatismo di Hamas, responsabile di aver valutato male il rapporto di forza con Tsahal, sarà esacerbato dalla sconfitta, intaserà i canali del dialogo e comprometterà la sua capacità di servire i veri interessi palestinesi. Ma quando l'operazione sarà conclusa e le dimensioni della tragedia saranno sotto gli occhi di tutti (al punto che, forse, per un breve istante, anche i sofisticati meccanismi di autogiustificazione e di rimozione in atto oggi in Israele verranno accantonati), allora anche la coscienza israeliana apprenderà una lezione. Forse capiremo finalmente che nel nostro comportamento c'è qualcosa di profondamente sbagliato, di immorale, di poco saggio, che rinfocola la fiamma che, di volta in volta, ci consuma. È naturale che i palestinesi non possano essere sollevati dalla responsabilità dei loro errori, dei loro crimini. Un atteggiamento simile da parte nostra sottintenderebbe un disprezzo e un senso di superiorità nei loro confronti, come se non fossero adulti coscienti delle proprie azioni e dei propri sbagli. È indubbio che la popolazione di Gaza sia stata "strozzata" da Israele ma aveva a sua disposizione molte vie per protestare e manifestare il suo disagio oltre a quella di lanciare migliaia di razzi su civili innocenti. Questo non va dimenticato. Non possiamo perdonare i palestinesi, trattarli con clemenza come se fosse logico che, nei momenti di difficoltà, il loro unico modo di reagire, quasi automatico, sia il ricorso alla violenza. Ma anche quando i palestinesi si comportano con cieca aggressività - con attentati suicidi e lanci di Qassam - Israele rimane molto più forte di loro e ha ancora la possibilità di influenzare enormemente il livello di violenza nella regione, di minimizzarlo, di cercare di annullarlo. La recente offensiva non mostra però che qualcuno dei nostri vertici politici abbia consapevolmente, e responsabilmente, afferrato questo punto critico. Arriverà il giorno in cui cercheremo di curare le ferite che abbiamo procurato oggi. Ma quel giorno arriverà davvero se non capiremo che la forza militare non può essere lo strumento con cui spianare la nostra strada dinanzi al popolo arabo? Arriverà se non assimileremo il significato della responsabilità che gli articolati legami e i rapporti che avevamo in passato, e che avremo in futuro, con i palestinesi della Cisgiordania, della striscia di Gaza, della Galilea, ci impongono? Quando il variopinto fumo dei proclami di vittoria dei politici si dissolverà, quando finalmente comprenderemo il divario tra i risultati ottenuti e ciò che ci serve veramente per condurre un'esistenza normale in questa regione, quando ammetteremo che un intero Stato si è smaniosamente autoipnotizzato perché aveva un estremo bisogno di credere che Gaza avrebbe curato la ferita del Libano, forse pareggeremo i conti con chi, di volta in volta, incita l'opinione pubblica israeliana all'arroganza e al compiacimento nell'uso delle armi. Chi ci insegna, da anni, a disprezzare la fede nella pace, nella speranza di un cambiamento nei rapporti con gli arabi. Chi ci convince che gli arabi capiscono solo il linguaggio della forza ed è quindi quello che dobbiamo usare con loro. E siccome lo abbiamo fatto per così tanti anni, abbiamo dimenticato che ci sono altre lingue che si possono parlare con gli esseri umani, persino con nemici giurati come Hamas. Lingue che noi israeliani conosciamo altrettanto bene di quella parlata dagli aerei da combattimento e dai carri armati. Parlare con i palestinesi. Questa deve essere la conclusione di quest'ultimo round di violenza. Parlare anche con chi non riconosce il nostro diritto di vivere qui. Anziché ignorare Hamas faremmo bene a sfruttare la realtà che si è creata per intavolare subito un dialogo, per raggiungere un accordo con tutto il popolo palestinese. Parlare per capire che la realtà non è soltanto quella dei racconti a tenuta stagna che noi e i palestinesi ripetiamo a noi stessi da generazioni. Racconti nei quali siamo imprigionati e di cui una parte non indifferente è costituita da fantasie, da desideri, da incubi. Parlare per creare, in questa realtà opaca e sorda, un'alternativa, che, nel turbine della guerra, non trova quasi posto né speranza, e neppure chi creda in essa: la possibilità di esprimerci. Parlare come strategia calcolata. Intavolare un dialogo, impuntarsi per mantenerlo, anche a costo di sbattere la testa contro un muro, anche se, sulle prime, questa sembra un'opzione disperata. A lungo andare questa ostinazione potrebbe contribuire alla nostra sicurezza molto più di centinaia di aerei che sganciano bombe sulle città e sui loro abitanti. Parlare con la consapevolezza, nata dalla visione delle recenti immagini, che la distruzione che possiamo procurarci a vicenda, ogni popolo a modo suo, è talmente vasta, corrosiva, insensata, che se dovessimo arrenderci alla sua logica alla fine ne verremmo annientati. Parlare, perché ciò che è avvenuto nelle ultime settimane nella striscia di Gaza ci pone davanti a uno specchio nel quale si riflette un volto per il quale, se lo guardassimo dall'esterno o se fosse quello di un altro popolo, proveremmo orrore. Capiremmo che la nostra vittoria non è una vera vittoria, che la guerra di Gaza non ha curato la ferita che avevamo disperatamente bisogno di medicare. Al contrario, ha rivelato ancor più i nostri errori di rotta, tragici e ripetuti, e la profondità della trappola in cui siamo imprigionati.
(La Repubblica, 20 gennaio 2009)