mercoledì 27 gennaio 2010

GIORNATA DELLA MEMORIA

DIARIO, Rutka Laskier, Bompiani

5.II. 43

Il cerchio si stringe sempre di più. Il mese prossimo avremo già il ghetto, un vero ghetto con mura di mattoni. D'estate sarà insopportabile, starsene chiusi in una gabbia grigia e soffocante, non vedere i campi e i fiori, l'estate scorsa passeggiavo per i prati tra i fiori, e questo mi ha fatto venire in mente che non sarà più possibile passeggiare per via Malachowska senza venire deportati, andare al cinema la sera... Sono già così "impregnata" delle crudeltà della guerra che persino le notizie più terribili non mi fanno effetto alcuno. Semplicemente, non riesco più a credere che potrò mai uscire in strada senza la "Judenstern" e che, in genere, chissà quando, la guerra finirà... Chissà come mi sentirò allora, forse impazzirò dalla gioia. Ma ora bisogna pensare a quanto avverrà fra poco, ossia al "ghetto". Quando ci sarà non potrò incontrare più nessuno, nè Micka, che è stata assegnata a Kamionka "C", nè Janek, che ha la "D", e nemmeno Nica, che ha anche lei la "D". Mio Dio, mio Dio, che cosa ci succederà? Oh Rutka, devi essere diventata completamente matta: ti rivolgi a Dio, come se esistesse. Quel poco di fede che un tempo possedevo è svanita del tutto, se Dio esistesse certamente non permetterebbe che la gente sia gettata viva dentro i forni, che ai bambini piccoli si spacchi la testa con il calcio dei fucili. o che li si chiuda nei sacchi e li si faccia morire con il gas... Sembra una favola raccontata dalla balia, e chi non lo vede con i propri occhi non riesce a crederci; ma non è una favola, è la verità. Oppure basta pensare a come hanno picchiato un vecchietto, fino a fargli perdere conoscenza, solo perchè aveva attraversato la strada di sbieco... è ridicolo, eppure tutto questo non è niente, basta non finire ad Auschwitz... e la carta verde... e la fine... quando arriverà?

IL LIBRO
E' la giornata della memoria e, invece della solita Anna Frank, ho letto ai miei alunni qualche brano di questa quattordicenne polacca che morirà ad Auschwitz. Rispetto ad Anna è più cosciente della propria sorte, meno ottimista e, sicuramente, la situazione del ghetto non è la stessa dell'appartamento in soffitta. Rutka vede la sofferenza ed il male tutti i giorni, fino ad esserne assuefatta, sempre sia possibile. E' comunque una ragazza della sua età, con le sue cotte, gli amici, la moda ma la realtà la ancora sempre a terra, non può permettersi di sognare.
Nel libro è evidente che gli Ebrei sono coscienti della loro situazioni, chi ha potuto ha lasciato la Polonia, sanno dell'esistenZa dei campi di concentramento. Nella postfazione Mark Halter si chiede perchè non si siano ribellati in grande numero. Riporta che Hanna Arendt incolpi di questo l'educazione religiosa che ha tenuto la gioventù lontana dalla realtà. Per Halter invece è una questione di cultura: "attaccati allo studio della Bibbia, del Talmud, avidi di sapere, gli Ebrei ignoravano, disdegnavano la violenza".




Dal Corriere della Sera, 26 gennaio 2010.

La testimone Angela che oggi ha 76 anni: papà era ferroviere, stavamo nel Mantovano. Portavo acqua e cibo a chi andava nei campi di concentramento
«Io, bimba, ho visto il treno dei deportati»
«Nel convoglio dei prigionieri che partiva dal Binario 21 sentivo i pianti, guardavo le mani dalle fessure»
«Ho visto i carri merci che deportavano gli ebrei. Ho visto mani grandi e piccine allungarsi fuori dalle fessure, ho sentito pianti, lamenti, e le voci di chi chiedeva acqua e cibo». Angela Beatrisini oggi ha 76 anni. Racconta che, per decenni, i ricordi dolorosi del tempo di guerra erano rimasti sepolti sotto la montagna del quotidiano, il lavoro, la famiglia, i figli... «Leggendo la testimonianza di un sopravvissuto dai campi di sterminio, guardando le immagini di quei treni con i carri piombati, della Stazione Centrale, poco alla volta mi sono rivista bambina davanti a quei convogli mentre con mio padre portavo acqua e cibo ai prigionieri». Nel ' 43, quando i treni della morte cominciarono a partire dal Binario 21 della Stazione Centrale, diretti ai campi di concentramento nazisti, Angela aveva nove anni. «Papà era ferroviere e da Castellucchio, vicino a Mantova, dove abitavamo ed ero nata, lo avevano trasferito a Bozzolo. Lì, ogni giorno per oltre un anno, sostarono i convogli con i deportati in arrivo da Milano. C' era un binario unico e Bozzolo era una stazione piccola ma un importante interscambio. Il treno stava fermo diversi minuti e quel tempo era sufficiente a me e a papà per avvicinare quelle mani allungate e offrire loro cibo». Oggi Angela Beatrisini è nonna di due nipotini e da Milano, dove era venuta a vivere appena diciassettenne, si è da poco trasferita a Vidigulfo, nel campagne pavesi, per stare vicina a loro. Fa una lunga pausa. «Questi ricordi sono carichi di emozioni», si scusa. Poi riprende il racconto: «È curioso come le cose possano rimanere per tanto tempo in un angolo della memoria, la vita ti porta a immergerti in mille altre situazioni. È come se mi fossi svegliata di colpo. Ricordo le scuole dalle suore a Bozzolo. Ricordo i dettagli. Anche quelli dei carri completamente blindati che trasportavano gli ebrei. Avevano cinque o sei fori, in alto, delle piccole finestrelle, immagino per fare entrare l' aria. Papà mi veniva a prendere a casa, con la sua bicicletta, ogni giorno. L' orario era sempre diverso. A volte ci seguiva anche la mamma. Preparavamo la polenta e portavamo con noi tutto il possibile, anche salame e pezzi di formaggio. Quando i carri si fermavano, fuori dalla stazioncina di Bozzolo, i nazisti si mettevano di guardia con i cani sul lato del treno che dava sull' aperta campagna. Di qua, dove c' era la stazione, restava solo il capostazione che fingeva di non vederci». Non si sprecavano parole: «Mio papà, Vincenzo, non mi hai spiegato cosa stava accadendo, perché quella povera gente venisse rinchiusa nei carri e portata via. E una volta a casa non se ne parlava. In paese immagino che tutti sapessero di questa sua attività. Ma anche se era pieno di fascisti, nessuno ha mai provato a fermarlo». Solo a distanza di anni, dopo la guerra, quando per imparare a cucire viene mandata dalla famiglia a Mantova, Angela conosce anche il resto della storia: «Papà non era solo nella sua piccola battaglia per aiutare gli ebrei. Anche i miei nonni, che abitavano a Rivalta sul Mincio, si erano spesi per aiutare una famiglia, i Finzi, di Mantova appunto. Li avevano tenuti nascosti per l' intera durata della guerra. Di giorno vivevano in un capanno nella loro proprietà, in mezzo ai campi, di notte dormivano in un fienile. Erano due sorelle e il marito di una di loro. Nessuno li trovò mai. Si salvarono e quando io diventai grandicella fui mandata a Mantova per diventare sartina e, ogni giorno, mi ospitavano a pranzo. I nonni, che si recavano spesso a trovarli, mi raccontarono solo a distanza di anni della grande amicizia che li legava e dei rischi che avevano corso in tempo di guerra per aiutarli». Il primo viaggio della morte partì il 6 dicembre del 1943 dalla Stazione Centrale. Da un binario fantasma, il cosiddetto Binario 21, nascosto nella pancia della stazione. Da quel momento, fino all' inizio del 1945, da quei sotterranei partirono altri 14 convogli, tutti carichi di un' umanità sofferente e stremata, destinata alla morte nei campi di sterminio nazisti. Il 30 gennaio del ' 44, i carri merci blindati caricarono 605 persone dirette ad Auschwitz. Ne tornarono indietro solo 20.









venerdì 22 gennaio 2010

AUTOBIOGRAFIA


IL SOGNO INFINITO, Harry Bernestein, Piemme.

Di tutte le cose che mi sono accadute, niente mi emoziona di più che ripensare ai sogni che mia madre inventava per noi, a come rischiarassero la nostra vita e ci infondessero speranza nel futuro durante quei giorni tristi in Inghilterra, quando ne avevamo davvero bisogno. Ho paragonato quei sogni alle bolle di sapone che soffiavamo con le pipe di terracotta e che volteggiavano nell'aria, bellissime e affascinanti, e nello stesso tempo fragili e inafferrabili. Se arrivavi a sfiorarne una per cercare di prenderla per mano, scoppiava e spariva in un istante. Deve essere quello che accadde alla mamma con il più bello di tutti i suoi sogni, quello che ci portò in America nell'estate del 1922, quando arrivammo a casa di mia nonna, con tutti i parenti che si erano riuniti per darci il benvenuto.

IL LIBRO
La bellissima storia autobiografica di quest'uomo che pubblica il suo primo libro a novant'anni e nei ringraziamenti finali cita anche la sua badante. Un uomo che avrebbe sempre voluto scrivere, che pubblicò pagato dei racconti sulle riviste negli anni Trenta ma che all'ennesimo rifiuto rinuncia. Dovrà aspettare la morte della sua amatissima moglie, compagna inseparabile di tutta una vita, per riprovarci. Non è mai troppo tardi! Fra l'altro la storia è davvero bella, come lo sono tutte le autobiografie di gente semplice. Si racconta un'infanzia che agli occhi di oggi appare terribile, da intervento dei servizi sociali, ma che non impedisce alle persone di crescere, di sperare, di avere una visione positiva della vita. Certo ci sono anche i rimpianti: questa madre che in fondo ha riposto tutta la vita in un sogno che non si è avverato ma che sarebbe stata sicuramente felice di vedere come invece i figli hanno affrontato le fatiche di ogni giorno. Sullo sfondo c'è l'America del grande sogno e della delusione nella depressione economica, una Chicago che si allarga, scenario di tanta storia italo-americana, e una New York rifugio di miserabili e falliti. Complimenti!

da Gli uomini vuoti
Fra l'idea
E la realtà
Fra il movimento
E l'atto
Cade l'Ombra
Perché Tuo è il Regno
Fra la concezione
E la creazione
Fra l'emozione
E la responsione
Cade l'Ombra
La vita è molto lunga
Fra il desiderio
E lo spasmo
Fra la potenza
E l'esistenza
Fra l'essenza
E la discendenza
Cade l'Ombra
Perché Tuo è il Regno
Perché Tuo è
La vita è
Perché Tuo è il
E' questo il modo in cui finisce il mondo
E' questo il modo in cui finisce il mondo
E' questo il modo in cui finisce il mondo
Non già con uno schianto
ma con un lamento.
T. S. Eliot

venerdì 15 gennaio 2010

COSTRUTTORI DI CATTEDRALI


LA CATTEDRALE DEL MARE, Ildefonso Falcones, Longanesi

"Avanti per la Vergine!" si levò ancora dal gruppo di bastaixos.
Arnau studiò i suoi compagni: le facce assonnate si distesero in un sorriso. Alcuni si sgranchirono le braccia muovendole avanti e indietro, tenendo la schiena. Arnau ricordò il periodo in cui lui dava loro da bere, quando se li vedeva passare davanti, curvi, i denti stretti, carichi di quei macigni enormi. Ci sarebbe mai riuscito anche lui? La paura gli attanagliò i muscoli; volle imitare i bastaixos e cominciò a sgranchirsi come facevano loro.
"La tua prima volta", si congratulò Ramon, ma Arnau non disse niente e lasciò cadere le braccia lungo i fianchi. Il bastaix socchiuse gli occhi. "Non ti preoccupare ragazzo", aggiunse posandogli il braccio sulla spalla e spronandolo a seguire il gruppo, che si era già messo in movimento, "pensa che quando porti le pietre per la Madonna, parte del peso lo sorregge Lei."
Arnau alzò gli occhi verso Ramon.
"E' vero", insistette il bastaix sorridendo. "Oggi lo capirai da te."

IL LIBRO
Un bellissimo romanzo storico che ha per sfondo la costruzione di una cattedrale di Barcellona. I personaggi raffigurano un po' tutta l'umanità: crudeli, arroganti, violenti, umili, obbedienti, responsabili, creativi... E la cattedrale è costruita e difesa dal popolo per amore della Madonna, a cui ci si rivolge nei momenti di bisogno. Lei risponde sempre, sorprendendo chi a Lei si rivolge. Gli avvenimenti storici sono ben documentati, gli intrecci perfettamente costruiti. Certo è un aspetto molto particolare del periodo, le leggi di cui si parla non erano sempre applicate nello stesso modo, alcuni aspetti della vita della Chiesa erano particolari e, come detto nel libro, contrari alla volontà del Papa. Certo il potere temporale si mischiava a quello spirituale e, come in ogni epoca, non tutti i cristiani erano santi. Lo sguardo è, però, positivo e pieno di speranza. Certamente la cattedrale resiste nel tempo.

DOMANDA
"Un uomo colto, un europeo dei nostri giorni può credere, credere proprio, alla divinità del figlio di Dio, Gesù Cristo?"
don Julian Carron, parafrasando Dostoevskij

Un Cristo come fatto storico lontano può essere letto come una pagina di letteratura bella, può dare un input momentaneo, può generare emozione, può destare nostalgia, ma ora, con questi muscoli che non tengono, con questa stanchezza, con questa facilità alla malinconia, con questo masochismo strano che la vita di oggi tende a favorire o con questa indifferenza e questo cinismo che la vita di oggi rende, come rimedio, necessario per non subire una fatica eccessiva e non voluta, come si fa ad accettare sè e gli altri in nome di un discorso?
Don Giussani, Qui e ora.
Se il cristianesimo è soltanto un fatto storico del passato o un discorso, allora non posso abbracciare ora la mia umanità e il mio limite. Se Lui non è Presenza, se non ha vinto la morte, se non è risorto, e perciò se non è il dominatore della storia, se non è il Signore del tempo e dello spazio, se non è mio ora, come lo fu di Andrea e Giovanni duemila anni fa, io torno a essere niente. Perchè, come abbiamo visto, non si può rimanere nell'amore a se stessi senza che Cristo sia una presenza come è una presenza una madre per il bambino.

don Julian Carron