domenica 21 ottobre 2012

MALE E RESPONSABILITA'

LE LUCI DI SETTEMBRE, Carlos Ruiz Zafòn, Mondadori.
Ismael annuì e continuò a raccogliere gli attrezzi. Lo zio si pulì il grasso dalle mani mentre lo guardava di sottecchi. L'ultima ragazza per la quale aveva mostrato interesse era stata una certa Laura, la figlia di un piazzista di Bordeaux, e da allora erano trascorsi quasi due anni. L'unico amore del nipote, al di là della sua impenetrabile intimità, pareva essere il mare. e la solitudine. La ragazza doveva avere qualcosa di speciale. 

IL LIBRO
So che è un autore che conoscono in tanti ma è il suo primo libro che leggo. Ho letto nella sua biografia che i suoi primi lavori sono da classificare come narrativa per ragazzi. Difficile dire cosa sia la letteratura per i più giovani. Harry Potter ne fa parte? E Dickens? I capolavori sono tali non per l'età del pubblico a cui si rivolgono. Non so se questo romanzo è un capolavoro. C'è la solita lotta tra bene e male, qualche figura mitico-leggendaria, un po' di suspence per ragazzi. Poichè la vicenda inizia in Francia tra Parigi e la Normandia poco prima dell'invasione tedesco-nazista, mi aspettavo che quel periodo storico ne facesse effettivamente parte. Invece se ne accenna solo alla fine, insinuando che un'entità malefica  invaderà parecchi cuori. La storia ha così una sua autonomia nello spazio e nel tempo. 

PRIMA DI SERA
"Credi, credi di conoscermi" recita lei quasi parlando al vento
e osserva controsole la polvere
strisciare sullo stradone deserto.
"Appartieni troppo a te stesso" insiste ad accusarmi
prolungando la pena dell'indugio
quella parte di lei che ancora combatte
avvilita e altera nella macchina ferma.
Ma le suona falso l'argomento
e ne scorgo sul cristallo la larva
che spenge d'un sorriso
dimesso le parole appena dette.
"Oh di questo hai anche troppo sofferto" aggiunge poi quasi portando fiori
sul luogo, un'orticaia, dove mi ha crocifisso.
"Vanamente" mormoro più che dal rimorso
toccato da quel tono
di persistente, doloroso affetto;
e ora vorrei non le sembrasse indegno
cercare in altri la causa
del suo male, fosse pure il mio torto.
"Vanamente" e mi viene non so se dal ricordo
o dal sogno un'immagine di lei
gracile, impalata nella sua altezza, che guarda un fiume
dall'argine e, poco oltre la foce,
la lacca grigia del mare oscurarsi.
"Lascia perdere" dice lei con la voce di chi torna
dopo un'assenza di anni sul luogo stesso
e raduna le spoglie lasciate in altri tempi, dopo lo scacco.
"Perché non è in nostro potere richiamarci"
mi chiedo io sorpreso che sia lì, ferma, sul sedile accanto.
"Che intesa può darsi senza luce di speranza?
Perché la speranza è irreversibile" commenta
il suo silenzio rigido senza più lotta
mentre abbassa risoluta la maniglia
e getta un'occhiata di squincio al casamento, alto, che tra poco la inghiotte.
Mario Luzi

lunedì 1 ottobre 2012

STORIA DI FAMIGLIA ORDINARIA

DONNA ALLA FINESTRA, Catherine Dunne, Guanda.
...disse Tina. "Non è sempre così. Ma lei era convinta che il male si trasmetta di padre in figlio, che la natura conti più dell'educazione."
(...) Prima che avesse a che fare con suo padre Jon era stato un ragazzo normale? O in quello che aveva detto Tina c'era qualcosa di vero? Katie la interruppe , quasi dando voce ai suoi pensieri. "E' una visione molto pessimistica della vita, quella di Tina, non trovi?" Guardò sua mamma in tralice. "Tu non ci credi a quelle storie, vero, mamma? A quella cosa sulla predestinazione?" Lynda si concentrò sulla guida. "Katie, non so più a cosa credere ormai. A parte la mia famiglia."

IL LIBRO
Siamo in Irlanda ma potrebbe essere dappertutto. E' una storia di famiglia, con fantasmi negli armadi, perdoni che mancano, vendette da compiersi. Sullo sfondo l'attuale crisi economica rende il susseguirsi degli eventi davvero contemporaneo. Il tutto raccontato in modo accattivante. C'è il tocco femminile dell'autrice ma non è un libro per sole donne. Mi ha sorpreso in modo piacevole, nei ringraziamenti, constatare che Roddy Doyle rilegge "pazientemente" i manoscritti di questa scrittrice. E' il primo dei suoi libri che leggo e non sarà sicuramente l'ultimo. Uno in particolare mi incuriosisce sull'emigrazione irlandese degli anni CInquanta.

Vent'anni senza cattedra. E non sono precaria»

di Maria Filippi
28/09/2012 - Ogni anno cambia scuola, anche più di una volta. Con programmi decisi da altri e senza mai finire un ciclo. Ora, la delusione del "Concorsone". Maria insegna così dal '90. Qui racconta cosa si aspetta e cosa la sostiene: «Essere sempre al lavoro»
«Un nuovo inizio», ci diciamo da tempo. Per me, che ho cominciato a insegnare nel 1990 e sono ancora precaria, ogni inizio di anno scolastico è così: una sfida sempre nuova. A fine agosto, una mattinata in una scuola della provincia di Verona, dove abito, per le convocazioni del Provveditorato nelle materie scientifiche, tra quella in cui sono abilitata, diritto ed economia. E poi il giro di altre scuole per altre convocazioni, ricevute attraverso la posta elettronica certificata. Finalmente una bella mattina all’Istituto tecnico commerciale “Aldo Pasoli” mi presento solo io: evviva, tocca proprio a me. La nomina è fino gli “aventi diritto”, ricorda la segretaria, quindi scadrà a breve, ma forse potrei essere io ad avere questo diritto. 

Quanta attesa e quanta incertezza: forse dovrò ancora cambiare scuola, non per motivi di salute o altri imprevisti, ma perché le graduatorie devono essere aggiornate, come sempre, a scuola già iniziata creando disagio per studenti e insegnanti e alimentando l’idea che dietro tutta questa macchina burocratica ci sia poca serietà. Resta un fatto: finalmente posso insegnare. Mi butto subito in questa avventura, per me ogni volta nuova: devo conoscere i nuovi colleghi, adeguarmi ai programmi (decisi da altri), procurarmi i libri adottati nelle classi, per fortuna stavolta me ne mancano soltanto due, uno di economia politica l’altro di scienza delle finanze; quelli del biennio li possiedo già. L’anno scorso ho cambiato tre scuole, con i disagi che ne conseguono, primo fra tutti dover interrompere la continuità didattica senza completare un ciclo di insegnamento, e poi anche girare come una trottola da un istituto all’altro, anche molto lontani tra loro, magari per poche ore, con la benzina che mangia metà di quello che guadagno. 

Che cosa mi aspetto? Vorrei che fosse valorizzata la mia professione di docente dopo tanti anni di insegnamento. Desidererei insegnare tutto l’anno in una stessa scuola. Poter scegliere i temi da approfondire con gli altri docenti per capire, sia io sia i miei alunni, di più la realtà che è diventata molto complessa. Non svolgere la mia attività in modo improvvisato da un giorno all’altro, ma preparare in anticipo il percorso migliore. Scegliere strumenti e mezzi. Il “concorsone” poteva essere l’occasione giusta per poter fare bene il mio lavoro. Ma il Veneto non ha bandito cattedre nella mia classe di concorso. È l’ennesima porta che sembra aprirsi e invece si chiude. 

Eppure la parola “precario” non mi definisce. Due cose mi sostengono: guardare alcune persone ed «essere sempre al lavoro». Un amico, il giorno prima di una convocazione, mi ha detto: «Forza che tocca a te». Un luogo, come l’associazione Student Point Verona in cui insegnanti, universitari, adulti aiutano gratuitamente i ragazzi nello studio. Qui si incontrano tante persone e, sorprendentemente, tutti i ragazzi vogliono studiare: cosa difficile a scuola! E ancora, mia figlia. Una volta mi ha visto piangere prima delle vacanze natalizie perché mi era stato comunicato che finiva la supplenza. Mi ha detto: «Mamma non piangere, pensa con le tue brevi supplenze quanti alunni riuscirai ancora a incontrare e aiutare a Student Point». Questo mi ha incoraggiato. Infatti diversi alunni in difficoltà sono venuti al centro e sono riusciti a superarle, anzi, due mie alunne hanno raggiunto ottimi risultati. La mamma di una di loro ai colloqui generali mi ha detto che è stato merito di Student Point. Questo è avvenuto in un rapporto con loro, una condivisione delle difficoltà senza dover dimostrare nulla. 

La seconda cosa che mi sostiene nel precariato è «essere sempre al lavoro». In estate mi sono iscritta al Tfa in economia aziendale all’Università di Verona perché volevo allargare le possibilità di lavoro prendendo un’altra abilitazione, dato che molte scuole stanno riducendo le ore di diritto. Questo voleva dire rinunciare a vacanze tranquille per affrontare un test il 20 luglio. Che contentezza quando ho saputo di averlo superato. Lo studio però è continuato per l’ulteriore prova scritta sui contenuti di metà settembre. Quello studio serve già adesso per la supplenza che sto svolgendo: spiego gli argomenti nella nuova scuola unendo l’aspetto aziendale con quello giuridico. Per me questa è una grande soddisfazione. E poi potrò aiutare al Point ancora più ragazzi in questa materia per loro molto complessa.