sabato 10 luglio 2010

L'IO RINASCE IN UN INCONTRO


I NOSTRI ATTI CI SEGUONO, Paul Bourget, Rizzoli
L'ho rivisto ora quel biglietto, che conservo come una reliquia; esso, dopo il dramma del sagrato di Notre-Dame, costiutisce il più grande avvenimento della mia giovinezza. Anche questo, che mistero! S'incontrano, nel cammino della vita, migliaia di persone che spariscono senza lasciare dentro di noi alcuna traccia fuorchè un'immagine vaga nella memoria. Invece, si trova qualcuno che poteva non venire lì, in quel luogo, a quell'ora; e anche voi potevate non esserci. Ma è venuto, e voi pure, e quell'incontro è una nuova svolta nella storia della vostra vita.

IL LIBRO
Titolo strano che apre a meditazioni. La storia è molto bella, ricca di questi casi, coincidenze, responsabilità e conseguenze che sono tipici della vita di ognuno. C'è un desiderio di fondo di fare della propria vita qualcosa di positivo, qualcosa per cui si meriti di vivere e, nelle prove di ottenere risultati, gli errori abbondano e con loro i tentativi di riscatto ed espiazione. Scritto tra il 1925 e il 1927, il libro rispecchia le teorie politiche e scientifiche dell'epoca e mostra anche quanto l'autore fosse protagonista del suo tempo, quanto approfondisse tramite il suo cammino personale e l'uso della propria ragione la cultura a lui contemporanea. Nella prefazione di Davide Rondoni si afferma che tema dei libri di Bourget è la responsabilità umana che, secondo me, è conseguenza della libertà di scelta di fronte alle circostanze. Il bello e il buono è possibile per tutti.






L'IO RINASCE IN UN INCONTRO
L’effetto Chernobyl

Vorrei iniziare questa nostra conversazione osservando una differenza tra l’attuale generazione di giovani e quella che ho incontrato trent’anni fa: la differenza risiede in una debolezza di coscienza nei giovani di oggi; una debolezza cioè non etica, ma relativa al dinamismo stesso della coscienza.
Non per nulla, dopo tanti anni, abbiamo messo a tema l’influsso nefasto e decisivo del potere, della mentalità comune e dominante - dominante in senso letterale. È come se tutti i giovani d’oggi fossero stati investiti da una sorta di Chernobyl, di enorme esplosione nucleare: il loro organismo strutturalmente è come prima, ma dinamicamente non lo è più; vi è stato come un plagio fisiologico, operato dalla mentalità dominante. È come se oggi non ci fosse più alcuna evidenza reale se non la moda - che è un concetto e uno strumento del potere. Così anche l’annuncio cristiano stenta molto di più a diventare vita convinta, a diventar vita e convinzione. Quello che si ascolta e si vede non è assimilato veramente: ciò che ci circonda, la mentalità dominante, la cultura onniinvadente, il potere, realizzano in noi una estraneità rispetto a noi stessi. Si rimane cioè, da una parte, astratti nel rapporto con se stessi e affettivamente scarichi (come pile che invece di durare ore durano minuti); e, dall’altra, per contrasto, ci si rifugia nella comunità come protezione.
La persona ritrova se stessa in un incontro vivo.
Se l’evidenza oggi più convincente sembra essere la moda, dove la persona può ritrovare se stessa, la propria identità originale? Quella che sto per dare è una risposta che non si attaglia solo alla situazione in cui siamo, ma è una regola, una legge universale (da quando e fin quando l’uomo c’è): la persona ritrova se stessa in un incontro vivo, imbattendosi cioè in una presenza che suscita un’attrattiva e la provoca a riconoscere che il suo «cuore» - con le esigenze di cui è costituito - esiste. L’io ritrova se stesso nell’incontro con una presenza che porta con sé questa affermazione: «Esiste quello di cui è fatto il tuo cuore! Vedi, in me, per esempio, esiste». Perché, paradossalmente, l’originalità del proprio io emerge quando ci si accorge di avere in sé qualcosa che è in tutti gli uomini (questo è ciò che veramente mette in rapporto con chiunque e non fa sentire estraneo nessuno). L’uomo riscopre la propria identità originale imbattendosi in una presenza che suscita un’attrattiva e provoca un ridestarsi del cuore, un sommovimento pieno di ragionevolezza, in quanto realizza una corrispondenza alle esigenze della vita secondo la totalità delle sue dimensioni - dalla nascita alla morte. La persona si ritrova dunque quando in essa si fa largo una presenza che corrisponde alla natura esigenziale della vita: solo così l’io non è più nella solitudine. Normalmente, dentro la realtà comune, l’uomo, come «io», è nella solitudine, da cui cerca di fuggire con l’immaginazione e i discorsi. Questa presenza che corrisponde alla vita è il contrario di un’immaginazione. L’incontro che permette all’io di riscoprire se stesso non è un incontro «culturale», ma vivente; non è un discorso fatto, ma un «fatto» vivente - che, beninteso, può palesarsi anche sentendo qualcuno che parla; quando costui parla, però, è con qualcosa di vivente che l’io è messo in rapporto, non con un’ideologia o un discorso disarcionato dalla forza della vita. Non si tratta, insisto, di un incontro culturale, ma esistenziale. Tale incontro porta con sé due caratteristiche che ne costituiscono l’inconfondibile verifica: introduce nella vita una drammaticità, che consiste nel percepire una provocazione al cambiamento di sé e nel tentare un inizio di risposta, e nello stesso tempo introduce almeno una goccia di letizia, anche nella condizione più amara o nella constatazione della propria meschinità. Insomma, per usare un’altra espressione, ciò che deve accadere perché l’io riscopra se stesso è un incontro evangelico, capace di ricostituire la vitalità dell’umano: come l’incontro di Cristo con Zaccheo.

Don Luigi Giussani (1 marzo 2005)

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