giovedì 25 marzo 2010

Intercultura


IRLANDESE AL 57%, Roddy Doyle, Guanda

"Qual è esattamente il problema?" dice il papà di Miss Nigeria. La sua voce domina tutta la stanza, tutta la stazione di polizia e tutta la strada. Fa abbaiare i cani a Coolock e a Clondalkin. E' un gigante. Sembra un intero paese africano, come l'Uganda o roba del genere, che un giorno si è alzato e ha messo giacca e cravatta. Insomma, è gigantesco, non solo lui ma anche la sua voce.
Per non parlare di sua moglie, dovreste vederla. Se lui è un Paese, lei è il lago più grande di quel Paese o roba del genere.

IL LIBRO

E' una raccolta di racconti scritti per il Metro Eireann, una rivista multiculturale di Dublino. Sembra, dai dati riportati nel libro, che l'Irlanda sia il paese europeo con più immigranti in Europa (secondo me perchè sia in Gran Bretagna, Francia e Germania ormai siamo alla seconda o terza generazione di figli di immigrati, per cui non risultano più stranieri), colpa degli U2 o di Riverdance, come dice l'autore!
Sono loro i nuovi "proletari", cioè quella parte di popolazione che nei secoli ha costituito l'attrattiva culturale del popolo irlandese, quella che spopola nei loro libri, film e canzoni. Non ci sono più gli irlandesi di una volta: i Commitments sono preistoria. Il libro è stato scritto nel 2007 per cui non vi è rispecchiata la recente crisi economica, la nuova ondata di disoccupazione e si sogna un po' di essere finalmente ricchi, finalmente a posto. Non è Roddy Doyle al massimo dello splendore (forse anche per colpa della traduzione) ma alcuni racconti sono molto originali e gli spunti umoristici non mancano.

Eddye Taylor
Brano inciso a Chicago nel 1955 per la VJ Records, (VJ 149)

I'm just a bad boy,
long, long way from home, (2)
ain't got nobody
I can call my own.

I'm just a bad boy,
in your town alone, (2)
ain't got nobody,
got no place to go.

Next time I travel,
wanna have you by my side, (2)
I won't have to worry,
everything gonna be all right.

Sono soltanto un ragazzaccio,
lontano, lontano da casa,
non ho nessuno
che io possa dire mio.

Sono proprio un ragazzaccio,
solo nella tua città,
non ho nessuno,
non ho un posto dove andare.

La prossima volta che viaggerò,
voglio averti al mio fianco,
non avrò di che preoccuparmi,
andrà tutto bene.



martedì 9 marzo 2010

ANCORA SCUOLA


PERLE AI PORCI, Gianmarco Perboni, Rizzoli
Diecimila, più o meno. E' il numero delle pagine di programmi, relazioni, documenti e scartoffie varie che ho scritto in vent'anni di carriera scolastica. Tutto bene, anzi ci sarebbe da complimentarsi per il notevole sforzo intellettuale che, al pari dei miei colleghi, ho saputo compiere con tanta abnegazione e senso del dovere. Se non fosse che neppure una persona ha mai letto una sola riga di quanto ho scritto; neppure io, poichè ben conoscendo il loro destino, non mi sono certo dato la pena di rileggerle.

IL LIBRO

E' il diario di scuola di un professore di inglese delle superiori, che non insegna nei licei e che si nasconde dietro uno pseudonimo. All'inizio non volevo leggerlo, pensavo fosse la solita raccolta di castronerie studentesche, che fanno ridere per non piangere e sono belle solo se il soggetto è un bambino e non un adolescente. Invece è un libro piacevole, si legge velocissimamente e, in generale, descrive un ambiente molto familiare che, ad eccezione di qualche sfumatura di colore, è lo stesso in tutta Italia. La globalizzazione è anche scolastica.
Non condivido tutte le opinioni però è un testo simpatico, ironico ed umoristico. Resta un dubbio atroce: ma chi parla è un bravo insegnante o davvero odia così tanto i suoi studenti? A me piace Pennac: anche gli studenti peggiori da lui imparano qualcosa. Qui sembra che l'importante sia avere la disciplina in classe, non lasciarsi sopraffare da un branco di microcefali ed avere uno stipendio fisso. Eppure io non ci credo che siano tutti così i ragazzi italiani! E non credo neanche che diminuendo il numero di studenti per classe e aumentando il nostro stipendio, come proposto nel testo, migliori automaticamente la qualità, certamente renderebbe le cose più facili ma alunni e insegnanti resterebbero gli stessi.
Dell'autore volutamente si sa poco. Si indovina la Toscana (viene nominato Viareggio come località di vacanze e una o due espressioni linguistiche rivelano il centro Italia) e credo di poter dire che egli non sia padre di famiglia o, comunque non abbia figli alle superiori. Infatti per quanto riguarda il costo dei testi scolastici, nel mio caso personale, non è stato uno svenamento economico (anche perchè, dove ho potuto, li ho presi usati) ma un sostentamento dell'industria editoriale italiana: tantissimi insegnanti non hanno mai utilizzato il libro adottato o solo in minima parte. Un altro accenno va dato a come cambia velocemente il mondo contemporaneo. Il libro è stato pubblicato nel 2009, ci sono riportati fatti di cronaca recentissimi eppure Facebook non riempie ancora il tempo degli studenti come invece sta facendo oggi.

P.S. c'è anche il blog www. profperboni.blogspot.com

SHAKESPEARE COME SI IMPARA?
Pigi Colognesi
martedì 9 marzo 2010
dal Sussidiario.net

La commedia di Shakespeare Pene d’amor perdute inizia in modo solenne. Il giovane re di Navarra e i suoi tre fidati amici gentiluomini stipulano un impegnativo patto: per raggiungere la saggezza, per arrivare al culmine della conoscenza vivranno per tre anni da reclusi nella reggia, dedicandosi esclusivamente allo studio.

Un programma educativo di tutto rispetto; per completare il quale i quattro si impegnano a essere morigerati nel mangiare, a non curarsi del vestito e, soprattutto, a non cedere alle lusinghe d’amore. Ragion per cui nessuna fanciulla potrà accedere al palazzo. A dire il vero uno dei quattro, Biron, ha qualche dubbio sulla sensatezza del progetto: «Penosamente un uomo s’intesta a ponzare su un libro, cercando la luce della verità: e intanto la verità a tradimento pian piano gli toglie la luce degli occhi». Comunque anche lui accetta le regole.

Sfortunatamente (fortunatamente) proprio in quel giorno arriva un’ambasciata del re di Francia, che il sovrano di Navarra non può proprio evitare di ricevere. La delegazione è composta, ovviamente, da quattro ragazze: la giovane principessa francese e tre sue damigelle. La commedia si accende subito in un gioco pirotecnico di battute, di sottintesi, di motti salaci. Shakespeare prende in giro il linguaggio galante e vuoto di tanta poesia amorosa, quello pedante dei saccenti, quello sciatto degli insegnanti, quello falso in cui possiamo cadere tutti.

Fatto sta che i quattro si innamorano ciascuno di una dama. L’uno dopo l’altro compaiono sulla scena lamentandosi di aver nell’intimo tradito il giuramento di dedicarsi esclusivamente allo studio e leggono brani di poesia dedicati all’amata. Nessuno di loro sa che un altro, di nascosto, l’ascolta. E così, nel giro di poche battute si ritrovano vicendevolmente smascherati. Che fare? Andare contro il proprio sentimento per non perdere l’onore oppure infrangere il giuramento per salvare l’amore.

È Biron che dice la parola risolutiva. Qual era lo scopo? Imparare. Ma come si impara? Loro avevano pensato che la strada fosse chinarsi sui libri, tenendo fuori dall’orizzonte ogni realtà che potesse disturbare lo studio. Ma questo non poteva che produrre un sapere astratto, libresco appunto. Infatti le loro parole erano piatte, come quelle che si copiano da altri. Le parole si sono invece accese di verità e di bellezza quando sono state dettate da un sentimento che li coinvolgeva per intero: l’amore.

Esistono studi ponderosi che assorbon del tutto la mente dei loro cultori - che sono infecondi sgobboni: ma chi li ha visti i frutti di tante pesanti fatiche? L’amore invece, che occhi di donna han dapprima ispirato, non vive di se stesso, murato nel nostro cervello, ma nobile e fluido, al pari di ogni altro elemento vitale, invade, rapido come il pensiero, le facoltà umane, e di ciascuna raddoppia la forza e il vigore».

È la rivincita della concretezza esistenziale sull’astrazione intellettuale. Una lezione importante oggi, per noi che ci troviamo in piena emergenza educativa. Non c’è nessuna possibilità di educare se non si sa proporre un coinvolgimento affettivo oltre che intellettuale, cioè dell’interezza della persona.

Ognuno dei quattro cercherà, allora, di conquistare la propria dama, perché «i libri, le arti, le scienze di un’accademia che spiega, comprende e alimenta ogni umana realtà» non sono altro che «gli occhi delle donne». E solo quando avranno abbandonato la falsità delle parole libresche, la maschera delle astrazioni, raggiungeranno il loro obiettivo.




mercoledì 3 marzo 2010

W CHILE


ISABEL ALLENDE, Commento dopo il terremoto in Cile

Vivo in California, e quando l' altra mattina i media americani hanno rilanciato la notizia del terremoto sono rimasta come paralizzata, gli occhi fissi davanti al televisore. Non so quanto tempo sia trascorso. Forse pochi secondi. Forse minuti. Forse un' eternità. All' improvviso ho compreso che mi stavo muovendo meccanicamente, e che meccanicamente - come un automa privo di emozioni, perché incapace in quel momento di reggerne il peso - avevo preso il telefono in mano. Ho chiamato mia madre e il suo compagno, che vivono a Santiago del Cile. Non rispondeva nessuno. Nessuno. Avevo lo sguardo fisso nel vuoto, le orecchie chiuse. Eppure i telegiornali continuavano a raccontare di morti, di case crollatee ponti sbriciolati. Un disastro. E io non riuscivo a mettermi in contatto con i miei parenti. Ho provato con amici e conoscenti. Ho inseguito dei fantasmi. A Santiago in un primo tempo è mancata la luce, non c' era l' acqua, non era possibile comunicare. Solo molte ore dopo ho saputo che i miei non erano nella casa di città. Avevano preferito trascorrere il fine-settimana al mare. Ho atteso una giornata intera prima di parlare con loro. E' successo pochi minuti fa. Stanno bene. Mi hanno raccontato quello che era accaduto, quello che sta accadendo. Vi chiedo perdono, chiedo perdono a tutti: ma per me è stata la fine di un incubo. In questo momento la situazione cilena è grave, in particolare nella zona dell' epicentro del terremoto, Concepciòn. Però c' è una differenza enorme con quanto accaduto ad Haiti. Nella tragedia comune, le due situazioni non sono lontanamente paragonabili. Le case di Santiago hanno retto. Il Cile ha retto. Perché è un paese con infrastrutture moderne, un paese che conosce bene l' inferno del terremoto. Un paese disgraziatamente abituato al disastro. Un paese che suo malgrado è pronto a sostenere questa emergenza, a lottare. Che sta piangendo i suoi morti, che trema ancora di paura. Ma che ha già cominciato a rialzare la testa. A vivere.

PRECISAZIONE
Sono personalmente legata al Cile, paese dove sono stata due volte e mai in vacanza. La leggenda dice che quando Dio creò il mondo, aveva alla fine nelle sue mani un po' di tutto e scrollandosi i resti di dosso, questi finirono nella striscia di terra occupata dal Cile. E' davvero uno splendido paese, ricco di storia, di incroci e di tragedie, terra di un popolo orgoglioso, fiero e con una reputazione da ricostruire. A loro il nostro abbraccio.


Messaggio di CL Chile sul terremoto.

Cari Amici
Davanti al terremoto che ha colpito il nostro paese, si fa ancora più evidente che la vita è misteriosa e non ci appartiene.Di fronte alla bellezza della natura chilena germoglia sempre una domanda: “Chi è l’autore?”. Allo stesso modo davanti alla enormità di questo terremoto, ci sentiamo piccoli, impotenti e fragili. Senza dubbio da questa esperienza nasce un’altra domanda: “Cosa ci chiede il Signore attraverso questa circostanza?”Dopo aver visto, recentemente anche, nella nostra compagnia e in molti testimoni, il volto trasfigurato di Cristo, che ci viene dato a conoscere, siamo aiutati a entrare nel Mistero della Croce. Senza Cristo, la bellezza sarebbe fonte di triste malinconia e il dramma diventerebbe tragedia, come ci ha ricordato Carròn di fronte al terremoto di Haiti.
Per questo siamo invitati a pregare per tutti coloro che soffrono le conseguenze di questo dramma e abbiamo anche il dovere di lasciare che la carità che abbiamo ricevuto tracimi in una attenzione solidale alle necessità del popolo cileno.