domenica 31 maggio 2009

IL CROLLO DI ANTICHE SICUREZZE RELIGIOSE

foto di Claudio Romani

I GIORNI FELICI DI CALIFORNIA AVENUE, Adam Langer, Einaudi

Sì, la neve stava ricoprendo tutta Chicago. La neve cadeva sfiorando le luci rosa e calde di West Rogers Park mentre Jill camminava verso nord sul lato ovest della California, con Fidel che trotterellava entusiasta al suo fianco. Quella terrificante preghiera ebraica, l'Adon Olam, le frullava nella testa mentre camminava - "E alla fine, quando ogni cosa cesserà di esistere, lui resterà l'eterno re" - ma stavolta Jill se ne ricordò il resto: "E la mia anima rimarrà con il mio corpo, Hashem è con me e io non ho paura".

IL LIBRO

Una saga sulla comunità ebraica di Chicago, dove lo status è dato dalla zona geografica dove si risiede. Romanzo d'esordio di uno scrittore davvero promettente. Le vicende dei personaggi si alternano in date ben precise: dalla fine del 1979 all'inizio del 1981, quando in Iran cambia il regime e vengono presi in ostaggio dei cittadini americani, nel frattempo in America Carter lascia il posto a Reagan. La maggior parte dei protagonisti sono ragazzi molto giovani, diversissimi tra loro, in equilibrio tra la tradizione e il cambiamento. La tradizione, di cui nemmeno i genitori sono validi testimoni, però, si allontana sempre di più dalla loro vita e di essa non restano nemmeno benevoli valori. Il libro si legge molto volentieri e le storie famigliari incuriosicono. Sembra ci sia già un seguito, staremo a vedere.

QUANDO ALLA BRAVA GENTE SUCCEDONO COSE CATTIVE

Harold S. Kushner, un rabbino americano, cerca di conciliare la propria fede con la morte di suo figlio, morto di sindrome da invecchiamento precoce a quattordici anni. Kushner affronta le questioni sollevate nel Libro di Giobbe sull'inconciliabilità dell'idea che Dio sia al contempo onnipotente e giusto. La sua conclusione è straordinariamente semplice: Dio è amorevole ma non onnipotente; il mondo rimane incompleto e imperfetto e non rientra più nel raggio d'azione del suo Creatore. Noi siamo qui per aiutare Dio a completare la sua opera. Per certi versi Lui ci dà il suo aiuto, ma non determina gli avvenimenti nè è in grado di impedirli. Le cose tristi che accadono non sono nè punizioni nè prove: sono semplicemente degli avvenimenti, e Dio è totalmente innocente.
John Waters

lunedì 25 maggio 2009

OGNI POPOLO MERITA IL GOVERNO CHE TOLLERA!

STORIA DI SOPHIE SCHOLL E DELLA ROSA BIANCA, Annette Dumbach, Jud Newborn, Lindau Edizioni

Studentesse! Studenti! Il popolo tedesco ci guarda! Da noi esso si aspetta, oggi nel 1943, come già accadde nel 1813 con la distruzione del terrore napoleonico, la distruzione del terrore nazionalsocialista mediante la potenza dello spirito. Si levano a Oriente le fiamme della Beresina e di Stalingrado, i morti di Stalingrado ci implorano:"Levati, mio popolo: che il fumo e le fiamme siano i nostri segnali!". Il nostro popolo si leva contro l'asservimento dell'Europa da parte del nazionalsocialismo , in un nuovo impeto di fede nala libertà e nell'onore. (dall'ultimo volantino scritto dalla Rosa Bianca)

Se individui come coloro che hanno dato vita alla Rosa Bianca sono esisititi, hanno creduto in ciò che hanno creduto e agito come hanno agito, forse la specie esausta, corrotta e a rischio alla quale apparteniamo riuscirà a sopravvivere, o almeno può continuare a provarci.

IL LIBRO

E' la storia documentata della Rosa Bianca. Di loro ne parlava la mia antologia delle medie, erano finiti nel dimenticatoio finchè non vidi una mostra e, pochi anni fa, il film. Ragazzi normali, non sono diventati eroi rivoluzionari, non hanno fermato la dittatura ma hanno pagato con la vita il non cedere all'indifferenza. Probabilmente molti tedeschi non appoggiavano le scelte politiche dell'epoca ma preferivano il quieto vivere. Così non è stato per questi ragazzi e un loro professore. E' una storia che dà speranza: è stato possibile per loro, lo sarà per altri.



P.S. Non conosco la casa editrice, sicuramente non paga molto i correttori di bozze: troppi refusi!


Da ilSussidiario.net
EUROPEE/ Mario Mauro: ecco perché c’è sempre più bisogno di Europa
lunedì 18 maggio 2009
Mancano pochi giorni e saremo protagonisti di un importante appuntamento. Un momento in cui tutti i cittadini dei 27 Stati Membri potranno riaffermare ciò che sta loro a cuore. È ormai aperta la campagna elettorale per le elezioni europee del prossimo 6-7 giugno: 16 milioni di giovani europei voteranno per la prima volta i loro rappresentanti a Bruxelles. Saranno due giornate di grande partecipazione che coinvolgeranno l’Italia e altri 26 stati membri, quantificabili in circa 500 milioni di adulti abitanti il vecchio continente.

Questi numeri ci richiamano al significato dello stare in Europa: batterci per trovare una soluzione al deficit di democrazia. I nostri cittadini, dunque, hanno nelle mani una grande opportunità e in questo tempo di preparazione alla prossima legislatura sarà l’occasione per ribadire ancora una volta che la nostra azione politica potrà fare molto per esportare il modello di pace e sviluppo che in questi anni abbiamo sempre perseguito: la dignità della persona, la libertà, la responsabilità, la giustizia, la difesa della vita, la solidarietà e la sussidiarietà.

Questi sono gli ideali comuni alle grandi democrazie occidentali, fondate sul pluralismo democratico, sullo Stato di diritto, sulla tolleranza, sulla proprietà privata, sull’economia sociale di mercato. Si è chiusa la sesta legislatura del Parlamento europeo. Un quinquennio che ha visto il buon esito dei negoziati per il finanziamento delle Reti Transeuropee di Trasporto, una delle più importanti iniziative di sviluppo portate avanti dall’Unione europea nell’ultimo quinquennio. In Italia il progetto aveva trovato in precedenza la resistenza della sinistra che con un emendamento alla Finanziaria rischiava di compromettere questo impegno.

Nel periodo più duro per i mercati e le economie mondiali, per risolvere l’attuale situazione di crisi finanziaria, si è cercato di promuovere l’introduzione degli eurobond, la stabilizzazione finanziaria e la riduzione del rischio. Le altre battaglie si sono giocate sul versante della cooperazione internazionale, della politica estera e dell’estensione dei valori democratici in tutto il mondo. Nelle commissioni parlamentari, al fine di difendere i diritti umani, il Parlamento si è opposto ai quei provvedimenti che in tutti i continenti continuano a negare la dignità della persona: la pena di morte in Nigeria, le uccisioni di civili in Somalia, la mancata tutela dei minori in Bielorussia.

A questo si aggiunge la Risoluzione in cui si condannano tutti gli atti di violenza contro le comunità cristiane nel mondo e chiede ai governi dei paesi interessati di prevedere garanzie adeguate e effettive nel campo della libertà di religione e di migliorare la sicurezza delle comunità cristiane. Ecco perché quando si menzionano le istituzioni europee solo per le direttive sulla curvatura delle banane (non comprendendo peraltro quanto sia importante stabilire degli standard di mercato) sale dentro di me un senso di ingiustizia.

Di una cosa, infatti, sono certo: l’Europa conta. Forse in pochi sanno che oltre il 70% delle leggi che vengono fatte in Italia sono la ratifica di direttive che provengono da Bruxelles. Tuttavia, se a fronte di 100 notizie di carattere politico, solo 2 spiegano cosa accade in Europa, appare chiaro come il cittadino si trovi di fronte a un vero e proprio deficit democratico. C’è bisogno sempre di più di Europa.
C’è bisogno di Europa quando ci troviamo di fronte ad una crisi economica, di fronte all’immigrazione, di fronte al problema sicurezza, di fronte alle nuove sfide del progresso. Non dimentichiamo poi che il nostro paese, che è tra quelli che più hanno creduto in quel progetto che chiamiamo Europa Unita, ha sempre confidato in questo modello. Ecco perché è importante fare delle giornate elettorali del 6 e 7 giugno non un semplice ritorno al voto, ma attraverso un’ampia presenza, dimostrare che vogliamo scegliere un’Europa che sia davvero nostra e delle generazioni che verranno. Il luogo in cui ognuno di noi, attraverso l’espressione del voto di preferenza, potrà esprimere il proprio modo di esserci.
(ultime due foto di Claudio Romani)

venerdì 8 maggio 2009

PUNTO DI VISTA ANIMALE



CARLITOS (CHARLIE), Pino Flora, Besa Editrice

Nella nostra scoietà si parla molto di ACCANIMENTO: accanimento agonistico, accanimento politico, accanimento terapeutico, accanimento giudiziario, accanimento giornalistico e chi ne ha più ne metta. Cosa vuol dire tutto questo accanirsi? Secondo me significa che nella società NOI CANI siamo sempre più importanti: ACCANIRSI, cioè fare come noi cani.
Per accanirsi meglio, oggi tutti hanno un cane: bambine, bambini, insegnanti, medici, avvocati, impiegati, casalinghe, scienziate, vigili urbani, artisti. E che ci fanno? Lo portano al guinzaglio. Domani forse saremo NOI CANI a portare al guinzaglio LORO.
Bè... forse non sarà proprio così, però ho sentito dire che solo cento anni fa le donne non avevano diritto al voto e adesso non solo votano, ma vengono anche elette. Questo esempio non vi dice nulla? Quello che è successo alle donne può succedere a NOI CANI. Tra cento anni, forse anche prima, avremo il diritto di votare e di scegliere i nostri rappresentanti.
CANI DI TUTTO IL MONDO UNITEVI!
IO SARO' IL VOSTRO CAPO!
Il vostro capo...
Grrrrr...
Il vostro capo...
Grrrrrr...Grrr. Gnll. Aukt. Arf. Awth. Bau!
E va bene, non sarò il vostro capo.
Accidenti, insomma...Grrrrrrrr!

IL LIBRO

Nonostante la crisi della carta stampata si scoprono sempre nuove case editrici. Il libro oscilla tra il racconto per bambini, il genere umoristico e l'allegoria. Il protagonista è un cane che racconta in prima persona ciò che gli sta capitando. E' interessante la sua descrizione del mondo umano, il punto di vista canino della realtà. E' un libro piacevole e leggero che si legge con una velocità incredibile, così come uno legge i fumetti o un articolo su una rivista patinata. Come dicono molti prof ai loro alunni promettenti, però, ci si poteva impegnare un po' di più, soprattutto nella trama. Purtroppo non condivido la stessa passione per gli animali domestici che ha l'autore per cui resto un po' indifferente ai problemi del cane in questione anche se, devo ammettere, ho apprezzato lo stile narrativo e penso di proporne alcune pagine ai miei alunni.


Da Cuore di Cane, Bulgakov.

Fra tutti i proletari, i portinai sono la razza più abbietta, l'infima categoria: autentici rifiuti umani.


Oggi sono presidente, e tutto quel che rubo voglio spendermelo in donne, gamberetti e champagne. Ne ho fatto abbastanza di fame quand'ero giovane, ora basta, e quanto alla vita ultraterrena... tanto, non c'è.

Col terrore non si ottiene nulla da nessun animale qualunque sia il suo grado di sviluppo. L'ho sempre affermato, lo affermo e lo affermerò sempre. È inutile credere di poter fare qualcosa con il terrore.

Dall'altra parte della strada sbattè la porta di un negozio vivamente illuminato, e ne uscì un cittadino: "Beh, si: si tratta proprio di un cittadino, non certo di un compagno; anzi, questo qui è addirittura un signore. E non che giudichi dal cappotto -non sono così sciocco-. Oggi il cappotto ce l'hanno anche i proletari, o molti di loro. [...] Ma gli occhi: lì non si sbaglia, sia che li guardi da vicino che da lontano. Eh, sì, sono assai importanti gli occhi, sono una specie di barometro. Ci vedi quello dal cuore duro, che può schiaffarti la punta dello stivale nelle costole, senza nessun motivo; e ci vedi quello che ha paura di tutto e di tutti. Ecco, proprio un lacchè come questo tipo qui mi divertirebbe prendere a morsi nelle caviglie -Hai fifa, eh? Se ce l'hai vuol dire che te la meriti... Tiè... grr... rrr... bau, bau!-

venerdì 1 maggio 2009

LA CLASSE OPERAIA COME MOTIVAZIONE A FARE MEGLIO

(Claudio Romani)


LA SOLITUDINE DEL MARATONETA, Alan Sillitoe, Minimum Fax


Ad un tratto lei disse: "Io ti amo sul serio, Harry". Per qualche istante non udii le parole, come succede spesso quando si sta leggendo un libro. Poi: "Harry, guardami". Il mio viso si alzò, sorrise; e si abbassò di nuovo immergendosi nela lettura. Forse il torto fu mio, avrei dovuto dire qualcosa, ma il libro era troppo bello.
"Sono sicura che tutto quel leggere ti fa male agli occhi", commentò lei, strappandomi nuovamente dal mondo caldo ed esclusivo dell'India. "Ma no", dissi io, senza alzare lo sguardo. Lei era giovane e ancora bella, una donna sulla trentina, ardente e flessuosa, che non mi avrebbe mai permesso di sottrarmi nè alla sua ostinazione nè alla sua collera. "Il mio babbo diceva che solo gli stupidi leggono libri, perchè hanno tanto da imparare.



IL LIBRO

E' una raccolta di racconti, genere che normalmente non leggo perchè non mi piacciono le cose brevi. Dal primo, che dà il titolo, era stato tratto un vecchio film inglese in bianco e nero che mi eera davvero notevole. I racconti descrivono uno spaccato della società inglese nell'immediato dopoguerra, quando la ripresa tarda ad arrivare e la crisi economica sembra lontana da una risoluzione. E' la classe operaia vera, quella descritta dal socialismo, dalla quale chi veramente è motivato può emergere a costo di duri sacrifici. E i sacrifici non sono tolti a nessuno: ai padri di famiglia che devono portare a casa il loro salario, ai piccoli delinquenti, che cercano vie più facili, a chi cerca un posto sicuro nell'esercito, ai ragazzini che frequentano scuole dove gli insegnanti non hanno nulla a che vedere con i nostri contemporanei. L'autore è parte di loro, scrive di ciò che conosce, come gli aveva suggerito un amico. Nella biografia viene detto che la stessa madre di Sillitoe ad un certo punto della sua vita è costretta a prostituirsi per mantenere i figli. A noi sembra un mondo così lontano: il problema più grave dei nostri ragazzi è quale marca di cellulare comprare. Tira un vento di crisi economica e molti amici vengono messi in cassa integrazione, mobilità o perdono il lavoro. I nostri giovani non hanno modo di prevedere nemmeno il futuro più immediato. Si dovrà decidere che cosa è essenziale e i sacrifici torneranno ad essere parte della nostra vita quotidiana.

Da Il Sussidiario.net


SEVESO/ La Brianza chiama l’Abruzzo: nel disastro, la forza di ricostruire

lunedì 27 aprile 2009

Il 10 luglio 1976 Seveso divenne improvvisamente nota in tutto il mondo. Dal reattore di una fabbrica svizzera nella vicina Meda, l’Icmesa, si era liberata nell’aria una nube di diossina, una sostanza di cui poco si conosceva se non l’alto grado di tossicità. Seveso si ritrovò sotto i riflettori del mondo come teatro del primo rilevante incidente industriale in Europa. Centinaia di persone persero la casa, il lavoro, la serenità, e gli sciacalli ideologici di turno provarono ad approfittare della confusione per scardinare il tessuto sociale del paese e dell’Italia intera, con campagne allarmiste e pro-aborto.
Come oggi accade per la popolazione dell’Abruzzo, ogni calamità – indotta dall’uomo o meno poco importa – svela non solo il bisogno delle persone di essere sostenute nei bisogni quotidiani, ma anche e soprattutto la necessità che qualcuno abbia il coraggio di riaffermare, con forza e passione, la fiducia nell’altro, il desiderio di costruire a partire da qualcosa di vivo, fecondo, ricco di certezza. Che qualcuno, cioè, possa esprimere un impeto educativo vero, per sé e per gli altri. Proprio questo accadde, a Seveso.
Ambrogio Bertoglio allora era un giovane medico trentenne. «Non solo l’incidente - ricorda oggi - ma anche la campagna ideologico-mediatica colpiva pesantemente le famiglie in vario modo. Soprattutto le centinaia di bambini, che da un giorno all’altro trovarono le strade, i prati, i cortili delle zone infestate interdetti al gioco e le scuole chiuse senza sapere quando avrebbero potuto tornarci. Per certi aspetti uno straniamento paragonabile, con le dovute differenze, a quello che vediamo oggi per i terremotati».
«Con gli amici ci rendemmo conto - racconta Bertoglio - che i problemi che si aprivano a Seveso erano di tale portata, mettevano in gioco valori personali e sociali tali, che solo un nostro impegno in prima persona avrebbe potuto rispondere con vera creatività e responsabilità. Forti solo dell’esperienza di bene e positività totale vissuta negli ambiti cristiani delle parrocchie e dei movimenti ecclesiali, ci inventammo una segreteria per coordinare tutte le energie che liberamente si sprigionavano fra le persone e ci buttammo senza riserve a sostenere con “incosciente” coraggio la speranza nostra e delle persone più colpite dall’incidente».
Un’esperienza che subito si allarga, coinvolge altre persone nei dintorni. «Le parrocchie di altri paesi - continua Bertoglio - misero a disposizione gli spazi per le persone bisognose. Ci si mise in moto per organizzare centri educativi e ricreativi dove i bambini potessero passare la giornata per poi la sera tornare dai propri genitori. Era cominciata un’opera educativa permanente che sarebbe continuata in questa forma fino al 1980».
«Nel ’76 avevo 17 anni - ricorda Rosalinda Pivetta, oggi maestra elementare - e con altri amici più grandi passai quell’estate e quelle successive collaborando ai centri diurni che avevamo organizzato per allontanare i più piccoli dalle zone inquinate e offrire loro una compagnia dove sperimentare un po’ di serenità, che, per ovvie ragioni, i famigliari con la preoccupazione della casa e della salute a rischio non riuscivano a garantire. Dopo un breve tragitto in pullman si raggiungeva un bel posto in Brianza dove si trascorreva la giornata giocando, cantando, pregando e cimentandoci in laboratori creativi. Ricordo quel periodo con vera gratitudine. Io, e come me i miei amici, non ho guadagnato nulla dal punto di vista economico, ma ho imparato che rispondendo al bisogno di altri si trova risposta anche al proprio bisogno più grande: stare di fronte a ciò che accade, soprattutto se drammatico e doloroso, con la certezza che tutto ha senso e che, misteriosamente, questo senso è buono».
«Ricordo nitidamente - riprende Bertoglio - la gratitudine di molte famiglie, che ci dicevano: “Abbiamo scoperto una vita più umana di cui sentivamo il bisogno. Abbiamo capito che non si può essere uniti solo con quelli della propria famiglia, cui si è legati per motivi di affetto, ma che è possibile trasferire la fraternità anche fuori dalle mura di casa, nel quartiere e con tutta la società”».
Qualcosa cioè che sembrava impossibile, ma che ha tenuto insieme le persone e di fatto fecondato la storia di un paese, che oggi non solo è vivo e in continua crescita, ma che esprime una ricchezza di opere educative, sociali e assistenziali gestite “dal basso” difficilmente reperibile altrove.
Seveso, come il Friuli, oggi dice questo all’Abruzzo: che solo l’educazione ricostruisce un popolo, perché il bisogno di qualcuno che ci introduca a scoprire il significato buono di tutto è essenziale alla vita quanto il mangiare e il bere.

(Giovanni Toffoletto)