giovedì 22 dicembre 2011

COSA RESTERA' DI NOI


LA CITTA' DEI RAGAZZI, Eraldo Affinati, Mondadori
I ragazzi mi guardarono in faccia aspettando la mia replica. "Perchè dovrei?" esclamai, parlando a nuora nella speranza che suocera intendesse, "io conosco la ragione perchè lui bestemmia." Tutta la classe pendeva dalle mie labbra mentre Peppino restava imbambolato senza fiatare. Sentivo il peso della responsabilità gravarmi addosso, ma era un bel carico, una soma che trascinavo volentieri. E continuai sicuro. "Lui crede che Dio lo odi. Ne è talmente convinto che nessuno di voi potrebbe fargli cambiare idea. Ammesso e non concesso che esista davvero, perchè gli avrebbe dato tutti questi problemi da risolvere? A lui più di altri, questo è sicuro, lo ammetterete." Peppino, accanto alla finestra, mi guardava come da un oltre. Dove sei? avrei voluto chiedergli. Tornava giù insieme a noi. Ma anche Ibrahim, Stefan, Javid, Nabi, Sharif e Michail non erano da meno. Tutti soppesavano, dentro di loro, i pro e i contro della tesi che stavo enunciando. Le teste lavoravano. Le intuizioni scattavano. Decine di immagini avranno bombardato, in quei secondi interminabili, le percezioni dei miei alunni. Ognuno calibrava su di sè il ragionamento: prendeva posizione, uscendo allo scoperto di fronte a se stesso. Sarebbe stato inutile che in quel momento avessi aggiunto: "E invece io vi dico che Dio gli sta vicino. Contrariamente a quello che il nostro amico pensa, gli vuole bene. Non lo abbandonerà mai!" Non c'era bisogno che lo affermassi io. Lo stavano già facendo loro. E forse, chissà, anche Peppino.
IL LIBRO

Non sapevo esistesse a Roma una città dei ragazzi. Fondata dal prete inglese John Patrick Carroll-Abbing per aiutare gli orfani della Seconda Guerra Mondiale, è sopravvissuta nonostante lo sviluppo economico o, forse, proprio grazie a questo. Ora ospita i minori non accompagnati provenienti dalle parti più sofferenti del mondo e, benchè i ragazzi frequentino le scuole dell'obbligo esterne, ha al suo interno diversi corsi professionali dove insegna a
nche l'autore del libro. Belli i costanti paralleli tra i ragazzi e il padre dello scrittore, rimasto orfano molto giovane e belli anche i rapporti che l'insegnante costruisce con i suoi allievi, arrivando anche ad accompagnarli nei loro paesi di origine. Il legame tra professore e allievi è quello di una paternità che osserva con distacco, lasciando liberi i ragazzi. Bello anche il fatto che la programmazione didattica miri alto, si è davvero interessati al futuro di questi ragazzi, si cerca di dare loro più strumenti possibili. Belle anche le parole finali: "Quello che accade in aula produce effetti indelebili. E' la potenza dell'insegnamento".

UN CUORE FERITO
Lorenzo Albacete
mercoledì 21 dicembre 2011


Christopher Hitchens, scrittore, critico sociale, giornalista, editorialista e ateo "straordinario" è morto per un cancro sabato scorso allo Houston Hospice. Aveva 62 anni. È morto con dignità, durante il sonno, evitando lo spettacolo che temeva di più: una drammatica conversione pubblica dell'ultimo minuto.
È interessante leggere alcune delle reazioni alla notizia della sua morte. L'esempio che segue è tratto dalla pagina internet "This Week".
«Era un uomo di appetiti insaziabili: per le sigarette, per lo scotch, per la compagnia, per la grande scrittura e, soprattutto, per la conversazione - dice il direttore di Vanity Fair, Graydon Carter -. La sua capacità di essere all'altezza di tutto ciò che lo interessava era il miracolo dell'uomo. Sarebbe molto difficile trovare uno scrittore in grado di produrre la quantità di editoriali, saggi, articoli e libri eccellenti da lui prodotti negli ultimi quarant'anni».
«Come il suo eroe, Orwell, Christopher apprezzava il coraggio al di sopra di ogni altra qualità, in particolare il coraggio richiesto da una risoluta onestà - dice Benjamin Schwarz su The Atlantic -. Questo straordinario intellettuale apprezzava l'intelligenza, ma il coraggio ancor di più, o meglio, pensava che la vera intelligenza non potesse essere separata dal coraggio».
Christopher Buckley scrive sul The New Yorker: «Uno dei nostri pranzi al Café Milano, il Rick's Café (il caffé del film Casablanca, NdE) di Washington, iniziò alla una e finì alle 11,30 di sera. Attorno alle nove (anche se il mio ricordo è un po' vago) disse: "Ordiniamo ancora un po' da mangiare?" Io mi trascinai in qualche modo verso casa, dove rimasi sotto osservazione medica per qualche settimana, nel ghiaccio e con flebo di morfina. Christopher quella sera probabilmente andò a casa e scrisse una biografia di Orwell. La sua energia era epica come la sua erudizione e il suo spirito».
«Addio mio caro amico - scrive il romanziere Salman Rushdie via Twitter -. Una grande voce si ammutolisce. Un grande cuore si ferma».
«Il "migliore oratore del nostro tempo" e un "valoroso combattente contro tutti i tiranni", compreso Dio», afferma lo scrittore Richard Dawkins, ateo dichiarato come Hitchens.
«Ho conosciuto Hitchens solo leggendolo. Nel leggerlo si rimaneva profondamente colpiti, e invidiosi se si era uno scrittore, e a un certo punto ci si arrabbiava profondamente con lui - dice sul Time James Poniewozik -. Hitchens sapeva quando era il caso di preoccuparsi del resto del mondo e quando di fregarsene totalmente, invece, di quanto il mondo pensava di lui. Per uno scrittore, una cosa è essere una persona di principi, e un conto è essere un rompiscatole; è raro essere un rompiscatole con principi, ma Hitchens era proprio questo».
«La religione, ha scritto, è violenta, irrazionale, intollerante, alleata del razzismo, del tribalismo e del fanatismo, piena di ignoranza e ostile alla libera ricerca, disprezza le donne ed è coercitiva verso i bambini - osserva Roy Greenslade sul Guardian -. Se ripenso agli anni '70, lo sento ancora dire questo, con l'aggiunta di molti aggettivi e imprecazioni. Ed è così che voglio ricordarlo».
«Il mondo ha perso uno dei giornalisti più eminenti e prolifici e uno splendido polemista, oratore e bon vivant - afferma George Eaton sul New Statesman -. Nei suoi ultimi anni, a Hitchens piaceva citare una frase della sua defunta madre, che "l'unico peccato imperdonabile è essere noiosi". Oggi, nel rendermi conto che non sentirò più questo vibrante baritono, che la penna di Hitchens è ferma, mi sento sicuro di dire che il mondo è diventato un luogo più noioso».
«Christopher Hitchens era del tutto un esemplare unico, una sorprendente miscela di scrittore, giornalista, polemista e un personaggio unico - ha detto l'ex Primo Ministro inglese Tony Blair -. Era coraggioso nel perseguimento della verità e di ogni causa nella quale credeva. E non vi era nessuna cosa in cui credesse che non sostenesse con passione, impegno e in modo brillante».
Forse si può capire ora perché ben poche persone credenti hanno accettato di dibattere pubblicamente con Hitchens sulla ragionevolezza della fede. Qualche anno fa mi fu chiesto di farlo e, non sapendo che il confronto era con lui, ma pensando a una tavola rotonda, accettai. Quando scoprii che si trattava di un confronto diretto tra me e lui era troppo tardi per cancellare l'incontro, ma anche per prepararlo adeguatamente.
Così, mi preparai semplicemente al martirio.
Quando incontrai Hitchens e lo osservai fare il giro degli ospiti prima del dibattito, mi accorsi che ero la persona sbagliata per discutere con lui, non per la sua intelligenza, cultura e charme, ma perché era un uomo con un cuore così ferito da essere distante solo un passo dall'incontrare Cristo. Ciò di cui aveva bisogno era la Grazia, e questo era qualcosa che io non potevo dargli, essendone anch'io bisognoso in ogni momento della mia vita.
Mi resi conto che tutto quello che potevo fare era di mostrargli che eravamo tutti e due sulla stessa strada, perché anche io non credevo in quel dio che lui attaccava e incoraggiarlo così ad essere fedele alla ferita nel suo cuore e ad amare la libertà che viene dalla Verità.
Dopo lo spettacolo (che deluse sia i favorevoli che i contrari a Dio), decidemmo di incontrarci ancora per discutere in privato della questione, ma non ci siamo più visti.
Ora Christopher (notate il suo nome) è andato e io prego che noi ci si possa incontrare di nuovo quando tutti e due saremo dalla stessa parte eterna del confine tra il bisogno disperato e il viso dell'Amore.

lunedì 12 dicembre 2011

PIU' IN LA'

MANGIA PREGA AMA, Elizabeth Gilbert, Rizzoli
Ho molti amici a New York che non sono religiosi. La maggior parte, direi. Qualcuno si è allontanato dagli insegnamenti spirituali avuti in gioventù, altri non sono mai stati educati nella fede. Naturalmente sono quasi tutti sorpresi o addirittura sconvolti dai miei tentativi di raggiungere la santità. Alcuni mi prendono un po' in giro. Una volta il mio amico Bobby, mentre tentava di aiutarmi a far funzionare il computer, mi ha detto: "Senza offesa ma è - che cosa adorare, chi pregareper la tua aura, ma sei ancora un disastro con il download del software..." Io sto agli scherzi. Mi divertono. Eppure, adesso che cominciano ad invecchiare, riconosco anche nei miei amici il desiderio di avere qualcosa in cui credere. Un desiderio che incontra ingombranti ostacoli, come il loro raziocinio e il loro senso comune, e che però si riaccende con l'esperienza del mondo instabile, scosso e devastato che li circonda e che la loro ragione non riesce a rendere più sicuro. Nella vita tutti affrontiamo grandi prove, gioie e dolori, e queste "megaesperienze" ci fanno sentire il bisogno di un contesto spirituale nel quale poter esternare la nostra sofferta protesta o la nostra gratitudine, o anche solo cercare comprensione. Il problema è - che cosa adorare, chi pregare?

IL LIBRO
La sequenza del titolo, davvero anomala in ordine di importanza, è dovuta alle tre tappe del viaggio dell'autrice
di questa autobiografia: Italia, dove metterà su dodici chili in quattro mesi, India, dove si rifugia in un ritiro spirituale di una guru incontrata in America e Indonesia, dove si innamorerà dando la possibilità alla storia di concludersi con un lieto fine e al libro di aumentare il numero delle lettrici. Alcuni aspetti sono personalmente molto noiosi se uno non ha quel particolare interesse: meditazioni, mantra, yoga...; altri affascinano e si leggono velocissimamente, come la descrizione della sua vita in Italia o nell'isola di Bali. E' difficile, però, credere che questo libro sia stato un bestseller e che Julia Roberts abbia impersonato l'autrice in un film. Probabilmente la sensibilità del pubblico americano è diversa dalla nostra. Due pecche. Una è che non attira la mia simpatia qualcuno che si vanti di non essere mai entrato in un museo nei suoi quattro mesi di permanenza romana, la seconda è che le battute
umoristiche non fanno molto ridere e, forse, nemmeno sorridere, ma forse dipende dalla traduzione.

Lettera a Gesù

Caro Gesù,
dà la salute a Mamma e Papà

un pò di soldi ai poverelli,
porta la pace a tutta la terra,
una casetta a chi non ce l'ha
e ai cattivi un pò di bontà.
E se per me niente ci resta
sarà lo stesso una bella festa.

Mario Lodi


lunedì 28 novembre 2011

TEMPO DI CRISI

IL 42° PARALLELO, John Dos Passos, Rizzoli
Quando entrò alla scuola media, prese il corso commerciale e imparò stenografia e dattilografia. Era una ragazza semplice dal viso esile tra i capelli rossi, tranquilla e popolare tra gli insegnanti. Aveva le dita svelte e imparò con facilità a scrivere a macchina e a stenografare. Le piaceva leggere e di solito prendeva alla biblioteca libri come L'interno della tazza, La battaglia dei forti, La conquista di Barbara Worth. Sua madre badava a ripeterle che si sarebbe rovinata gli occhi, se leggeva tanto. Leggendo soleva immaginar di essere l'eroina e che il debole fratello, che finiva male ma er gentiluomo nell'anima, capace di qualsiasi sacrificio, come Sidney Carton nel Racconto di due città, era Joe, e l'eroe, Alec.

IL LIBRO
Tradotto da Cesare Pavese, in un italiano che da certi versi sembra un po' buffo, sono infatti rarissimi i vocaboli lasciati in lingua originale, da altri, invece, è meglio della lingua originale. E' il primo libro che leggo dell'autore, fra l'altro primo volume di una trilogia. L'ho scelto perchè era citato in uno di Potok e volevo conoscere di più questo autore di cui conoscevo solo il nome. E' un Jack Kerouac meno vagabondo. I suoi personaggi si muovono in un'America in crisi ma in cerca più di un lavoro che di un'identità. E' una nazione in cui si può facilmente diventare qualcuno ma la crisi è alle porte e le certezze crolleranno presto. C'è chi spera ancora nelle ideologie, che lotta per la Rivoluzione, c'è chi invece si arruola nella Prima Guerra Mondiale che darà da allora un ruolo predominante agli Stati Uniti nella storia del mondo, ruolo che si sta pian piano sgretolando con la crisi dei giorni nostri. Originalissimo lo stile di scrittura ma molte delle notizie, purtroppo, sono datate e non suscitano più un grande interesse.

GIORNATA DELLA COLLETTA NAZIONALE 2011

Il Presidente del Banco Alimentare:
Se accetti la
sfida, la vita cambia e si mette in azione, subito. A Milano una ragazza racconta: “Mi era stato proposto nei giorni scorsi di partecipare come volontaria ma avevo fatto di finta di non sentire. Oggi sono venuta al supermercato per far la spesa e vedendovi mi sono detta: “Ma qui sono tutti allegri e contenti, mi fermo e faccio anch’io il mio turno di volontariato”. In molti hanno scelto di andare al discount, perché i prodotti costano meno e questo ha permesso loro di donare gli alimenti. Altre persone si sono addirittura presentate con il sacchetto di un altro supermercato, perché avevano fatto la spesa qualche giorno prima in quanto non volevano fare la coda alle casse, tipica del sabato, ma hanno voluto comunque partecipare. Oppure il messaggio arrivato da Maria Concetta che riporta quanto le ha detto un suo concittadino: “Oggi la faccio la Colletta, non so se l’anno prossimo potrò ancora. Ma voi non mollate perché mi date speranza”. Si può vivere un periodo di crisi, essere tutt’altro che tranquilli o addirittura ignorarla ma comunque chi non si tira indietro da quello che la realtà offre nell’istante, in quel
momento, a quell’ora, in un determinato luogo, scopre l’imprevisto: l’incontro fisico con un popolo genera un cambiamento e speranza, non come propria capacità ma come dono, come un patrimonio donato su
cui contare sempre, in particolare quando sembra che le proprie risorse siano finite. Accettare questa sfida cambia perché la libertà di ciascuno è esaltata, come ha detto un ragazzino di Genova: ”È un dovere aiutare gli altri, ma non sei obbligato”. Allora anche un gesto cosi ben organizzato (sms ricevuto alle 11.07 da un manager di una nota e importante azienda internazionale ”Organizzazione &Logistica perfette. Complimenti. Ciao G.I.”) a cui potresti solo dare un supporto, diventa tuo e chi incontri lo riconosce. In Toscana un “vu cumpra” chiede ai volontari di poter dare una mano. Alla fine della giornata il Capo Equipe, responsabile per il Banco Alimentare dei volontari in quel punto vendita, valuta di fare cosa gradita offrendo 10 euro di mancia al nostro extracomunitario ma lui si arrabbia e gli risponde: “non l’ho fatto per soldi ma con il cuore”. Che la Giornata Nazionale della Colletta Alimentare sia un popolo non bisogna neppure spiegarlo, è diventata un'evidenza: italiani, africani, asiatici, americani, slavi, ispanici, cinesi, ecc. mobilitati, mossi,
protagonisti della Carità. Ma un popolo non è solo etnia è anche alimentato dalla storia di ciascuno. Allora in questo popolo generato dalla Carità trovi ricchi e potenti (solo per fare degli esempi: Andrea Agnelli, il sindaco di Torino Piero Fassino, il sindaco Renzi con la Giunta del comune di Firenze, la Giunta comunale di Bologna, il Sindaco e il Presidente della Provincia di Grosseto, ma chissà quanti altri di cui non sappiamo), vip dello spettacolo e campioni dello sport (Gerry Scotti, Linus, Federica Pellegrini, Franco Baresi e se ne conoscete altri fatecelo sapere così da ringraziarli). Per non parlare dei numerosi carcerati, che hanno partecipato all’interno del penitenziario o in libertà vigilata nei magazzini del Banco Alimentare. Così i pastori della chiesa come l’arcivescovo di Catania, Salvatore Gristina, a quello di Torino, Cesare Nosiglia, che sappiamo essere andato, ma in incognito, per vivere personalmente questo gesto di carità. Oppure gli amici Alpini e della San Vincenzo o i tantissimi volontari che per un giorno non hanno dato del tempo per la propria associazione ma per 1.400.000 poveri di cui non conoscono ne’ la storia ne’ il volto, in un atto di fiducia non fondato su “leggi di trasparenza” ma sull’esperienza condivisa, magari, scaricando alimenti in
uno dei 21 magazzini dove la Rete Banco Alimentare quotidianamente opera. Un popolo vive e condivide; allora ecco che una ragazza che in un supermercato a Milano festeggia il suo compleanno con gli amici arrivati da Parma. La vita di un popolo è anche ciò che trasmette alle generazioni future. Qui mi viene in soccorso un episodio raccontatomi da un nonno: “i miei nipoti entusiasti mi hanno raccontato che hanno fatto i pacchi e mia figlia ha aggiunto che è stata una tragedia convincerli ad andare a casa”. Di questi tempi sono i giovani che fanno paura al popolo o troppo aggressivi o completamente assenti dalla vita ma in questo popolo ci sono anche insegnanti che accompagnano la crescita dei ragazzi e così possiamo entusiasmarci e non terrorizzarci per la loro vitalità. Alla “Colletta” sono molti e sempre di più, gli adolescenti che partecipano. A prima vista non sembrano diversi da quelli visti in televisione solo poche settimane fa a Roma, se non per il fatto che riconoscevi i loro volti, la loro fatica e il loro sorriso ha “spaccato” a tal punto che adulti vedendoli hanno portato la spesa in auto e si sono fermati con loro ad aiutarli. Ancora molte testimonianze si potrebbero citare ma non basterebbero a spiegare tutto, perché la Giornata Nazionale della Colletta Alimentare non vuole spiegare nulla ma vuole essere solo un esempio, concreto e tangibile, che non c’è nulla nella realtà che possa far spegnere il desiderio che c’è in ciascuno di noi di voler cambiare, migliorare la propria esistenza e quella degli altri. Che piaccia o no questo popolo ha un nome sulla sua carta d’identità: cristiano. Ha anche una caratteristica che è più facile vedere che descrivere: è in azione per accogliere e condividere i bisogni di tutti gli uomini. Da oggi in poi tocca a ciascuno rinnovare la sfida che la realtà offre sempre ma con un po’ più di certezza: questo popolo “non molla” e continua a dare speranza perché poggia sulla roccia e non sulla sabbia, perché vive nel presente ciò che Gesù ha detto ai suoi: “Sarò con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”. P.s. Mi stavo quasi dimenticando: grazie al popolo della Carità abbiamo raccolto 9.600 tonnellate, + 2%. Alla faccia della crisi. P.P.S. E sono io che scrivo: nel paese dove abito io abbiamo raccolto il 20% in più perchè abbiamo coinvolto anche le scuole.

giovedì 24 novembre 2011

LA VITA E' BELLA

BIANCA COME IL LATTE, ROSSA COME IL SANGUE, Alessandro D'Avenia, Mondadori
Mio nonno quel giorno mi spiegò che noi siamo diversi dagli animali, che fanno solo quello che la loro natura comanda. Noi invece siamo liberi. E' il più grande dono che abbiamo ricevuto. Grazie alla libertà possiamo diventare qualcosa di diverso da quello che siamo. La libertà ci consente di sognare e i sogni sono il sangue della nostra vita, anche se spesso costano un lungo viaggio e qualche bastonata. "Non rinunciare mai ai tuoi sogni! Non avere paura di sognare, anche se gli altri ti ridono dietro" così mi disse mio nonno, "rinunceresti ad essere te stesso". Ancora mi ricordo gli occhi brillanti con cui sottolineò le sue parole.

Il LIBRO
Molto bello e vero. Se penso che il massimo delle letture per i giovani è Moccia, questo libro invece ne è lontano anni luce. I ragazzi sono i protagonisti, con tutte
le loro paure, valori, sovrabbondanza di stimoli e di beni materiali ma gli adulti che qui incontrano sono persone appassionate della vita, adulti veri, responsabili e che non si comportano da eterni adolescenti. Molto bella la figura dell'insegnante supplente, che dovrebbe essere nell'immaginario popolare lo sfigato, il fallito, colui che protesta perchè eterno precario ma già intriso dalla mentalità statalista, per cui lo stipendio è assicurato comunque, qualsiasi cosa tu faccia o non faccia. E anche i ragazzi descritti suscitano la nostra simpatia e commuovono nel loro cammino. E' un libro dove la vita è vita e non perchè tutto va secondo i nostri piani o perchè ci si comporta da supereroi. La vita è bella perchè è davvero così come descritta: piena di incontri, vittorie e sconfitte, di cose nuove da imparare, di condizioni e segni che ci richiamano ad altro. E soprattutto è bella perchè non siamo soli.
Questo è il blog dell'autore:


IN MEMORIA DI MARCO SIMONCELLI

OMELIA DURANTE IL FUNERALE

Vorrei accostarmi al vostro dolore, carissimi papà Paolo e mamma Rossella, carissime Martina e Kate, e vorrei farlo con tutta la tenerezza che voi meritate e con il garbo di cui sono capace. Chi vi parla, non ha vissuto il dolore lacerante che vi brucia in cuore, ma permettetemi di venire a voi con l’abbraccio di tutti, con la preghiera di molti.

Vi confesso che, per il groviglio dei sentimenti che mi si arruffano in cuore, ho fatto fatica a trovare le parole più giuste per questo momento. Fatemi citare allora quelle del nostro piccolo, grande Don Oreste Benzi. Il giorno che morì, il 2 novembre di quattro anni fa, di fronte alla sua salma appena composta, trovammo scritte sul suo libretto Pane quotidiano, questo pensiero profetico: “Nel momento in cui chiuderò gli occhi a questa terra, la gente che sarà vicino dirà: è morto. In realtà è una bugia. Sono morto per chi mi vede, per chi sta lì, ma in realtà la morte non esiste perché appena chiudo gli occhi a questa vita, li apro all’infinito di Dio”. So di condividere con voi, spero con tutti, questa incrollabile certezza: quando un nostro amico non vive più, vive di più.

Ora, carissime sorelle, fratelli e amici, fate sottoscrivere anche a me le parole di pap

à Paolo: “Dicono che Dio trapianti in cielo i fiori più belli, per non farli appassire. Credo che sia così”. Passatemi un pennarello per far firmare anche a me lo striscione dei tantissimi amici: “Marco, ora insegna agli angeli ad impennare”. Fatemi rileggere ad alta voce le parole ritrovate ieri sul libro del nostro PuntoGiovane di Riccione, dove all’età di 18 anni, Marco aveva partecipato a una settimana di convivenza con i suoi compagni di liceo. Durante quei giorni aveva scritto: “Sono stato il ‘folletto’ (così si chiama il ragazzo che prega per un altro durante la convivenza) più scandaloso che la storia ricordi. Non ti prometto che pregherò per te in futuro, perché sicuramente me ne dimenticherei. Però lo farò questa sera, prima di andare a letto e cercherò di fare in modo che la mia preghiera valga anche per tutte le volte che non la dirò".

Negli stessi giorni una compagna di classe gli aveva scritto: “Quando ho scoperto che saresti stato tu il mio ‘protetto’ sono stata contenta. Tu, a differenza di molti altri, sei uno che non pretende dagli altri”.

Personalmente ho incontrato Marco una volta sola, qualche mese fa, alla cresima della sorella Martina, ma ora che ho scoperto la sua schiettezza e la sua bontà, mi prende un amaro rimpianto: quello di non aver provato a diventargli amico. Sono sicuro che un amico così libero, trasparente e generoso, non mi avrebbe respinto per il solo fatto di essere io anziano o vescovo, anzi con lui avrei potuto anche discutere e perfino litigare, di quelle belle litigate che si possono fare solo tra amici.

Ma adesso, fratelli miei, permettetemi che mi senta anch’io percuotere il cuore da quella domanda inesorabile: perché Marco si è schiantato domenica scorsa alle 9,55 sull’asfalto dell’autodromo di Sepang? Io non posso cavarmela ora con risposte preconfezionate, reperibili sulla bancarella delle formule pronte per l’uso. Sì, alle volte noi credenti pensiamo di svignarcela con l’allusione enigmatica a una indecifrabile volontà di Dio. Ci ripetiamo, instancabili: “è la volontà di Dio”, e non ci rendiamo conto che, sbandierando parole senza cuore, rischiamo di far bestemmiare il suo santo nome. Il mio animo si ribella all’idea volgare di un Dio che si autodenomina “amante della vita”, che mi si rivela come il Dio che “ha creato l’uomo per l’immortalità” (Sap 2,23″) e poi si apposta dietro la curva per sorprendermi con un colpo gobbo o una vile rappresaglia. Permettetemi di ridire sottovoce a me e a voi qual è questa benedetta volontà di Dio, con le parole pronunciate un giorno da suo Figlio sotto i cieli alti e puri della Palestina, mentre a Rimini si stava ultimando il ponte di Tiberio: “Questa è la volontà di colui che mi ha mandato. Che io non perda nulla di quanto mi ha dato, ma lo risusciti nell’ultimo giorno” (Gv 6,39).

Datemi un po’ del vostro coraggio e aiutatemi ad abbinare, a quello di Marco, il nome dolcissimo del Maestro mio e di ogni cristiano. Voi lo conoscete: il suo nome non è di quelli che condannano a morte; lui si chiama Gesù, che significa “Dio-Salva”. Dove stava allora Gesù in quell’istante fatale in cui il corpo di Marco ha cessato di vivere? Stava lì, pronto per impedire che Marco cadesse nel baratro del niente e per dargli un passaggio alla volta del cielo. Sì, Gesù è il nome del Figlio di Dio che ha preferito me, te, ognuno di noi viventi, tra la sterminata folla degli esseri ibernati nell’abisso del nulla. Gesù è il nome del Figlio di Dio, mandato dal Padre come inviato speciale sulla terra, non a fare prediche sul dolore e sulla morte, ma a condividere la nostra fragilità, fino a morirne. E’ il nome del Figlio di Dio che si è lasciato inchiodare su una croce per stringerci tutti nel suo immenso, tenerissimo abbraccio, e ci ha offerto il segno più grande dell’amore: dare la vita per i fratelli. Gesù non è venuto a spiegarci il dolore né a salvarci dal dolore, ma ci ha salvati nel dolore e lo ha fatto con il suo sangue innocente. Gesù è il nome del Figlio di Dio che ci ha amati con l’amore più incredibile e ha definitivamente sconfitto la morte con la sua risurrezione. Perciò è sempre là, all’imbocco del tunnel della morte, pronto per afferrarci e portarci a godere la gioia senza più se e senza più ma.

Gesù, che registra sul suo diario perfino un bicchiere d’acqua fresca dato con amore, domenica scorsa stava là a dire a Marco: “Grazie, per tutte le volte che mi hai abbracciato nei fratellini disabili della Piccola Famiglia di Montetauro. Grazie, Marco, per tutte le volte che mi hai fatto divertire tanto, quando hai partecipato alla gara delle karatelle nella festa patronale della tua parrocchia. Grazie, perché tutte le volte che hai fatto queste cose ai miei fratelli più piccoli, le hai fatte a me.

Ora, permettimi, caro Marco, di rivolgermi direttamente a te. La sera prima della gara hai detto che desideravi vincere il gran premio per salire sul gradino più alto del podio, perché lì ti avrebbero visto meglio tutti. A noi ora addolora non riuscire a vederti, ma ci dà pace e tanta gioia la speranza di saperci inquadrati da te, dal podio più alto che ci sia. Lasciaci allora dire un’ultima semplicissima parola: Addio, Marco. E’ una parola scomposta dal dolore, ricomposta dalla speranza: a-Dio!

Coriano, 27 ottobre 2011

+ Francesco Lambiasi

domenica 23 ottobre 2011

Crisi di senso

VEDERE CON IL CUORE, Sabriye Tenberken, Corbaccio
"Cosa significa tutto ciò?" chiese Paul, che era rimasto sulla terrazza. Nei giorni e nelle settimane scorse, gli avvenimenti erano stati talmente veloci che ora ce ne stavamo lì, confusi e sfiniti, come se ci stessimo lentamente svegliando da un sogno emozionante. "Dobbiamo chiederci che cosa significa."
Paul e io ci eravamo sempre posti questa domanda prima di ogni azione intrapresa nei sette anni passati. Pensavamo che non bastasse valutare se le molte idee che ci erano venute per le attività del centro fossero buone in sè, ma che fosse necessario anche analizzare criticamente se avessero un senso.
Quali erano le attese cui doveva rispondere questa spedizione? Gli alpinisti erano interessati all'impresa sportiva. Erik inseguiva un suo sogno. I ragazzi speravano in un'amicizia duratura con gli injiis. "E voi cosa vi aspettate?" chiese di colpo Sybil rompendo il silenzio. Finora si era tenuta per lo più in disparte e aveva osservato gli avvenimenti dallo sfondo. Riflettei: "Per non non è importante che i nostri ragazzi diventino dei grandi atleti. No, penso ad altro, direi quasi il contrario..." Esitai e Paul completò il mio pensiero. "Forse potrebbero imparare che nella vita non devono necessariamente conquistarsi tutto da soli. Potrebbero fare esperienza di cosa significhi raggiungere insieme una meta."

IL LIBRO
Storia vera di come una normalissima ragazza tedesca non vedente possa cambiare il mondo. Senza clamore, infatti io di lei non sapevo nulla. E' da settembre che sono di casa all'Istituto dei Ciechi di Milano.
Ho partecipato a due corsi, imparando anche il Br
aille perchè ho un'alunna non vedente. Una relatrice ha raccontato di questa ragazza, autrice del libro che ha fondato un'associazione, "Braille ohne Grenzen" che è la sua missione nella vita. Apre scuole nei paesi dove i ciechi hanno meno possibilità di inserirsi nel tessuto sociale. Ha cominciato col Tibet, ora è in India dove ha ottenuto il Mother Teresa Award. Il libro che in italiano ha un titolo un po' sdolcinato, ma in tedesco si intitolava "Il settimo anno", racconta della spedizione sull'Everest di lei, un gruppetto di suoi alunni e la troupe che li accompagna. La spedizione però è un po' una scusa per raccontare della scuola, delle difficoltà e soddisfazioni che la sua fondazione ha portato, e della vita dei ragazzi. Bella storia che interroga sulla missione di ciascuno di noi nel mondo.


La crisi e il futuro del nostro modello di sviluppo
(Mauro Magatti)
Crisi come perdita di rapporto con il reale
1. Di fronte ad una crisi di rapidità e intensità inaspettate, la tesi secondo la quale il
crollo dei mercati finanziari sarebbe da attribuirsi agli illeciti di un gruppo di manager attratti dalla prospettiva di facili guadagni appare ormai del tutto inadeguata.
A “deviare” – per riprendere l’espressione usata dal Ministro Tremonti - non è stato un gruppo di malaffare che avrebbe espugnato Wall Strett, ma un intero modello di sviluppo o, per meglio dire, quello “spirito del capitalismo” che – affermatosi come nuova ortodossia - ha, negli anni, raggiunto le sue conseguenze più estreme. A teorizzare le pratiche che oggi vengono condannate ci sono stati premi nobel, grandi manager, politici di primo piano, per non dir nulla della presidenza della FED, di gran lunga l’istituzione più importante dell’intera architettura americana. Altrove ho parlato di “capitalismo tecno-nichilista” come di un sistema che, sfruttando la sistematica separazione tra le funzioni e i significati, si è progressivamente affermato quale modello di riferimento nel corso degli ultimi due decenni. E come negli anni ’70 – con la crisi fiscale dello stato, l’esplosione della soggettività, l’ingovernabilità degli apparati burocratici - sono affiorati i problemi dello statalismo, così la crisi nella quale siamo immersi (per limitarci solo a quella economico-finanziaria) mette a nudo le contraddizioni derivanti dall’eccesso di “mercatismo”.
Come allora, ci troviamo di fronte ad una crisi di crescita: se gli anni ’70 hanno messo a nudo l’esaurimento del modello che aveva permesso vent’anni di sviluppo iniziato nel secondo dopoguerra, così la crisi finanziaria dell’autunno 2008 porta in superficie l’urgenza di correggere il modello capitalistico che si è imposto negli ultimi vent’anni.
Ciò non significa affatto pensare che siamo alla vigilia di cambiamenti epocali, ma che, più modestamente, da questa crisi prenderanno avvio movimenti profondi che porteranno - lentamente e faticosamente - ad una revisione di un tale modello.
In tale prospettiva, la crisi non è riducibile ad una questione di tipo tecnico: per quanto non possa essere compresa trascurando tale dimensione, la sua origine e la sua natura sono molte diverse.
2. Quanto accaduto può essere spiegato ricorrendo ad una similitudine. Per fare la maionese occorre sbattere il tuorlo dell’uovo in modo da farne aumentare il volume aumenta facendovi entrare aria. Ma, come tutti coloro che hanno provato, la miscela che, in questo modo si viene a formare, ha la caratteristica di essere altamente instabile. Basta poco e la maionese “impazzisce”.
In effetti, lo sviluppo del sistema finanziario degli ultimi 30anni ha reso possibile uno straordinario aumento del volume delle risorse disponibili su scala globale: mediante l’introduzione di strumenti tecnici sempre più raffinati, non solo è aumentata vorticosamente la velocità degli scambi finanziari, ma è cresciuto anche, su scala planetaria, il volume complessivo delle risorse disponibili. E’ stato grazie a questo movimento che ciò che abbiamo chiamato globalizzazione ha potuto sostenersi.
Proprio quella innovazione finanziaria, di cui oggi vediamo l’inconsistenza, è stata uno degli ingredienti dello sviluppo economico globale degli ultimi due decenni.
3. Il sistema ha funzionato molto bene per diversi anni e la sua crisi – come quando la maionese impazzisce - è probabilmente dovuta a errori e esagerazioni che avrebbero potuto essere evitate. Ma il punto su cui conviene soffermarsi è un altro.
Il problema è che, come la nostra maionese, l’architettura finanziaria su cui tale sistema si basava era estremamente precaria. E nonostante molti osservatori ne abbiano sottolineato la vulnerabilità, poco o niente è stato fatto.
La ragione sta nel fatto che “il regime di giustificazione” di un tale modello si è basato sulla combinazione tra un discorso di tipo tecnico e una visione iperindividualizzata dell’essere umano. Il sistema, cioè, si è affermato ed è cresciuto perché “funzionava” e perché, nel contempo, era in grado di espandere la libertà individuale. L’edificazione di un tale sistema è stato un processo piuttosto lungo. Ma, alla fine, esso si è imposto, sbaragliando le visioni economiche concorrenti. Ciò è avvenuto mediante la sistematica rimozione di una serie di restrizioni la cui origine risaliva all’epoca del new deal e, più in generale, alla revisione - fino al completo abbandono - del pensiero economico operato da J.M. Keynes
Per chi volesse proseguire nella lettura:

domenica 9 ottobre 2011

SIATE AFFAMATI. SIATE FOLLI.

L'ARPA DI DAVITA, Chaim Potok, Garzanti
Ho amato mio fratello. Mi accorgo di non riuscire a credere alla sua morte. Diversamente dai miei genitori, non penso che la politica possa dividere una famiglia. Tale convinzione si consolida sempre di più in questo tragico e tetro paese. Qui l'odio dell'uomo per l'uomo è sconfinato e insondabile, il massacro supera ogni immaginazione. Siamo una specie spregevole e maledetta e se non fosse per la grazia di Dio, la vita intera sarebbe un travaglio senza speranza. So quanto per te la fede non sia che una chimera, un'illusione gettataci in pasto dagli uomini di potere in modo da renderci la vita sopportabile, sì da consolidare il potere nelle loro mani. Ma , Anne, mia cara, ciò che tu chiami illusione, non è semplicemente il sogno di qualcun altro, che tu disapprovi? E cosa dire della rivoluzione dei tuoi lavoratori, della tua società senza classi, del tuo sogno di una rapida fine del conflitto sociale, della penuria economica e della degradazione e misura dell'individuo? Se la fede in Dio è una mera illusione, allora perchè non dovrebbe esserlo altrettanto la fede nell'uomo? Anne, non sono anche i tuoi sogni un'illusione? Mi sembra che coloro che non badano ai mezzi impiegati per conseguire i loro fini, anzi coloro che giustificano ogni cosa in nome di uno scopo, abbiano bisogno di illusioni molto di più di quegli altri che scorgono nell'umanità la sofferenza, il peccato e la potenza gloriosa della fede in nostro Signore Gesù Cristo".

IL LIBRO

Un altro spaccato di storia americana, europea e del popolo ebraico. Mi piacciono gli intrecci tra fatti storici, personaggi reali e creati dall'autore. Una volta che si inizia a leggere è difficile smettere e non c'è "attività" informatica che tenga. Mi accorgo infatti di passare sempre più tempo al computer, non riesco nemmeno a preparare una lezione senza averlo acceso ma è solo la lettura di un libro che mi rilassa veramente.


DISCORSO DI STEVE JOBS ALL'UNIVERSITA' DI STANFORD

Sono onorato di essere qui con voi oggi, nel giorno della vostra laurea presso una delle migliori università del mondo. Io non mi sono mai laureato. A dir la verità, questa è l’occasione in cui mi sono di più avvicinato ad un conferimento di titolo accademico. Oggi voglio raccontarvi tre episodi della mia vita. Tutto qui, nulla di speciale. Solo tre storie.

La prima storia parla di “unire i puntini”.

Ho abbandonato gli studi al Reed College dopo sei mesi, ma vi sono rimasto come imbucato per altri diciotto mesi, prima di lasciarlo definitivamente. Allora perchè ho smesso?

Tutto è cominciato prima che io nascessi. La mia madre biologica era laureanda ma ragazza-madre, decise perciò di darmi in adozione. Desiderava ardentemente che io fossi adottato da laureati, così tutto fu approntato affinché ciò avvenisse alla mia nascita da parte di un avvocato e di sua moglie. All’ultimo minuto, appena nato, questi ultimi decisero che avrebbero preferito una femminuccia. Così quelli che poi sarebbero diventati i miei “veri” genitori, che allora si trovavano in una lista d’attesa per l’adozione, furono chiamati nel bel mezzo della notte e venne chiesto loro: “Abbiamo un bimbo, un maschietto, ‘non previsto’; volete adottarlo?”. Risposero: “Certamente”. La mia madre biologica venne a sapere successivamente che mia mamma non aveva mai ottenuto la laurea e che mio padre non si era mai diplomato: per questo si rifiutò di firmare i documenti definitivi per l’adozione. Tornò sulla sua decisione solo qualche mese dopo, quando i miei genitori adottivi le promisero che un giorno sarei andato all’università.

Infine, diciassette anni dopo ci andai. Ingenuamente scelsi un’università che era costosa quanto Stanford, così tutti i risparmi dei miei genitori sarebbero stati spesi per la mia istruzione accademica. Dopo sei mesi, non riuscivo a comprenderne il valore: non avevo idea di cosa avrei fatto nella mia vita e non avevo idea di come l’università mi avrebbe aiutato a scoprirlo. Inoltre, come ho detto, stavo spendendo i soldi che i miei genitori avevano risparmiato per tutta la vita, così decisi di abbandonare, avendo fiducia che tutto sarebbe andato bene lo stesso. OK, ero piuttosto terrorizzato all’epoca, ma guardandomi indietro credo sia stata una delle migliori decisioni che abbia mai preso. Nell’istante in cui abbandonai potei smettere di assistere alle lezioni obbligatorie e cominciai a seguire quelle che mi sembravano interessanti.

Non era tutto così romantico al tempo. Non avevo una stanza nel dormitorio, perciò dormivo sul pavimento delle camere dei miei amici; portavo indietro i vuoti delle bottiglie di coca-cola per raccogliere quei cinque cent di deposito che mi avrebbero permesso di comprarmi da mangiare; ogni domenica camminavo per sette miglia attraverso la città per avere l’unico pasto decente nella settimana presso il tempio Hare Krishna. Ma mi piaceva. Gran parte delle cose che trovai sulla mia strada per caso o grazie all’intuizione in quel periodo si sono rivelate inestimabili più avanti. Lasciate che vi faccia un esempio:

il Reed College a quel tempo offriva probabilmente i migliori corsi di calligrafia del paese. Nel campus ogni poster, ogni etichetta su ogni cassetto, erano scritti in splendida calligrafia. Siccome avevo abbandonato i miei studi ‘ufficiali’e pertanto non dovevo seguire le classi da piano studi, decisi di seguire un corso di calligrafia per imparare come riprodurre quanto di bello visto là attorno. Ho imparato dei caratteri serif e sans serif, a come variare la spaziatura tra differenti combinazioni di lettere, e che cosa rende la migliore tipografia così grande. Era bellissimo, antico e così artisticamente delicato che la scienza non avrebbe potuto ‘catturarlo’, e trovavo ciò affascinante.

Nulla di tutto questo sembrava avere speranza di applicazione pratica nella mia vita, ma dieci anni dopo, quando stavamo progettando il primo computer Machintosh, mi tornò utile. Progettammo così il Mac: era il primo computer dalla bella tipografia. Se non avessi abbandonato gli studi, il Mac non avrebbe avuto multipli caratteri e font spazialmente proporzionate. E se Windows non avesse copiato il Mac, nessun personal computer ora le avrebbe. Se non avessi abbandonato, se non fossi incappato in quel corso di calligrafia, i computer oggi non avrebbero quella splendida tipografia che ora possiedono. Certamente non era possibile all’epoca ‘unire i puntini’e avere un quadro di cosa sarebbe successo, ma tutto diventò molto chiaro guardandosi alle spalle dieci anni dopo.

Vi ripeto, non potete sperare di unire i puntini guardando avanti, potete farlo solo guardandovi alle spalle: dovete quindi avere fiducia che, nel futuro, i puntini che ora vi paiono senza senso possano in qualche modo unirsi nel futuro. Dovete credere in qualcosa: il vostro ombelico, il vostro karma, la vostra vita, il vostro destino, chiamatelo come volete... questo approccio non mi ha mai lasciato a terra, e ha fatto la differenza nella mia vita.

La mia seconda storia parla di amore e di perdita.

Fui molto fortunato - ho trovato cosa mi piacesse fare nella vita piuttosto in fretta. Io e Woz fondammo la Apple nel garage dei miei genitori quando avevo appena vent’anni. Abbiamo lavorato duro, e in dieci anni Apple è cresciuta da noi due soli in un garage sino ad una compagnia da due miliardi di dollari con oltre quattromila dipendenti. Avevamo appena rilasciato la nostra migliore creazione - il Macintosh - un anno prima, e avevo appena compiuto trent’anni... quando venni licenziato. Come può una persona essere licenziata da una Società che ha fondato? Beh, quando Apple si sviluppò assumemmo una persona - che pensavamo fosse di grande talento - per dirigere la compagnia con me, e per il primo anno le cose andarono bene. In seguito però le nostre visioni sul futuro cominciarono a divergere finché non ci scontrammo. Quando successe, il nostro Consiglio di Amministrazione si schierò con lui. Così a trent’anni ero a spasso. E in maniera plateale. Ciò che aveva focalizzato la mia intera vita adulta non c’era più, e tutto questo fu devastante.

Non avevo la benché minima idea di cosa avrei fatto, per qualche mese. Sentivo di aver tradito la precedente generazione di imprenditori, che avevo lasciato cadere il testimone che mi era stato passato. Mi incontrai con David Packard e Bob Noyce e provai a scusarmi per aver mandato all’aria tutto così malamente: era stato un vero fallimento pubblico, e arrivai addirittura a pensare di andarmene dalla Silicon Valley. Ma qualcosa cominciò a farsi strada dentro me: amavo ancora quello che avevo fatto, e ciò che era successo alla Apple non aveva cambiato questo di un nulla. Ero stato rifiutato, ma ero ancora innamorato. Così decisi di ricominciare.

Non potevo accorgermene allora, ma venne fuori che essere licenziato dalla Apple era la cosa migliore che mi sarebbe potuta capitare. La pesantezza del successo fu sostituita dalla soavità di essere di nuovo un iniziatore, mi rese libero di entrare in uno dei periodi più creativi della mia vita.

Nei cinque anni successivi fondai una Società chiamata NeXT, un’altra chiamata Pixar, e mi innamorai di una splendida ragazza che sarebbe diventata mia moglie. La Pixar produsse il primo film di animazione interamente creato al computer, Toy Story, ed è ora lo studio di animazione di maggior successo nel mondo. In una mirabile successione di accadimenti, Apple comprò NeXT, ritornai in Apple e la tecnologia che sviluppammo alla NeXT è nel cuore dell’attuale rinascimento di Apple. E io e Laurene abbiamo una splendida famiglia insieme.

Sono abbastanza sicuro che niente di tutto questo mi sarebbe accaduto se non fossi stato licenziato dalla Apple. Fu una medicina con un saporaccio, ma presumo che ‘il paziente’ne avesse bisogno. Ogni tanto la vita vi colpisce sulla testa con un mattone. Non perdete la fiducia, però. Sono convinto che l’unica cosa che mi ha aiutato ad andare avanti sia stato l’amore per ciò che facevo. Dovete trovare le vostre passioni, e questo è vero tanto per il/la vostro/a findanzato/a che per il vostro lavoro. Il vostro lavoro occuperà una parte rilevante delle vostre vite, e l’unico modo per esserne davvero soddisfatti sarà fare un gran bel lavoro. E l’unico modo di fare un gran bel lavoro è amare quello che fate. Se non avete ancora trovato ciò che fa per voi, continuate a cercare, non fermatevi, come capita per le faccende di cuore, saprete di averlo trovato non appena ce l’avrete davanti. E, come le grandi storie d’amore, diventerà sempre meglio col passare degli anni. Quindi continuate a cercare finché non lo trovate. Non accontentatevi.

La mia terza storia parla della morte.

Quando avevo diciassette anni, ho letto una citazione che recitava: “Se vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo, uno di questi c’avrai azzeccato”. Mi fece una gran impressione, e da quel momento, per i successivi trentatrè anni, mi sono guardato allo specchio ogni giorno e mi sono chiesto: “Se oggi fosse l’ultimo giorno della mia vita, vorrei fare quello che sto per fare oggi?”. E ogni volta che la risposta era “No” per troppi giorni consecutivi, sapevo di dover cambiare qualcosa.

Ricordare che sarei morto presto è stato lo strumento più utile che abbia mai trovato per aiutarmi nel fare le scelte importanti nella vita. Perché quasi tutto - tutte le aspettative esteriori, l’orgoglio, la paura e l’imbarazzo per il fallimento - sono cose che scivolano via di fronte alla morte, lasciando solamente ciò che è davvero importante. Ricordarvi che state per morire è il miglior modo per evitare la trappola rappresentata dalla convinzione che abbiate qualcosa da perdere. Siete già nudi. Non c’è ragione perché non seguiate il vostro cuore.

Un anno fa mi è stato diagnosticato un cancro. Effettuai una scansione alle sette e trenta del mattino, e mostrava chiaramente un tumore nel mio pancreas. Fino ad allora non sapevo nemmeno cosa fosse un pancreas. I dottori mi dissero che con ogni probabilità era un tipo di cancro incurabile, e avevo un’aspettativa di vita non superiore ai tre-sei mesi. Il mio dottore mi consigliò di tornare a casa ‘a sistemare i miei affari’, che è un modo per i medici di dirti di prepararti a morire. Significa che devi cercare di dire ai tuoi figli tutto quello che avresti potuto nei successivi dieci anni in pochi mesi. Significa che devi fare in modo che tutto sia a posto, così da rendere la cosa più semplice per la tua famiglia. Significa che devi pronunciare i tuoi ‘addio’.

Ho vissuto con quella spada di Damocle per tutto il giorno. In seguito quella sera ho fatto una biopsia, dove mi infilarono una sonda nella gola, attraverso il mio stomaco fin dentro l’intestino, inserirono una sonda nel pancreas e prelevarono alcune cellule del tumore. Ero in anestesia totale, ma mia moglie, che era lì, mi disse che quando videro le cellule al microscopio, i dottori cominciarono a gridare perché venne fuori che si trattava una forma molto rara di cancro curabile attraverso la chirurgia. Così mi sono operato e ora sto bene.

Questa è stata la volta in cui mi sono trovato più vicino alla morte, e spero lo sia per molti decenni ancora. Essendoci passato, posso dirvi ora qualcosa con maggiore certezza rispetto a quando la morte per me era solo un puro concetto intellettuale:

Nessuno vuole morire. Anche le persone che desiderano andare in paradiso non vogliono morire per andarci. E nonostante tutto la morte rappresenta l’unica destinazione che noi tutti condividiamo, nessuno è mai sfuggito ad essa. Questo perché è come dovrebbe essere: la Morte è la migliore invenzione della Vita. E’ l’agente di cambio della Vita: fa piazza pulita del vecchio per aprire la strada al nuovo. Ora come ora ‘il nuovo’ siete voi, ma un giorno non troppo lontano da oggi, gradualmente diventerete ‘il vecchio’e sarete messi da parte. Mi dispiace essere così drammatico, ma è pressappoco la verità.

Il vostro tempo è limitato, perciò non sprecatelo vivendo la vita di qualcun’altro. Non rimanete intrappolati nei dogmi, che vi porteranno a vivere secondo il pensiero di altre persone. Non lasciate che il rumore delle opinioni altrui zittisca la vostra voce interiore. E, ancora più importante, abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione: loro vi guideranno in qualche modo nel conoscere cosa veramente vorrete diventare. Tutto il resto è secondario.

Quando ero giovane, c’era una pubblicazione splendida che si chiamava The whole Earth catalog, che è stata una delle bibbie della mia generazione. Fu creata da Steward Brand, non molto distante da qui, a Menlo Park, e costui apportò ad essa il suo senso poetico della vita. Era la fine degli anni Sessanta, prima dei personal computer, ed era fatto tutto con le macchine da scrivere, le forbici e le fotocamere polaroid: era una specie di Google formato volume, trentacinque anni prima che Google venisse fuori. Era idealista, e pieno di concetti chiari e nozioni speciali.

Steward e il suo team pubblicarono diversi numeri di The whole Earth catalog, e quando concluse il suo tempo, fecero uscire il numero finale. Era la metà degli anni Settanta e io avevo pressappoco la vostra età. Nella quarta di copertina del numero finale c’era una fotografia di una strada di campagna nel primo mattino, del tipo che potete trovare facendo autostop se siete dei tipi così avventurosi. Sotto, le seguenti parole: “Siate affamati. Siate folli”. Era il loro addio, e ho sperato sempre questo per me. Ora, nel giorno della vostra laurea, pronti nel cominciare una nuova avventura, auguro questo a voi.

Siate affamati. Siate folli.

domenica 18 settembre 2011

IL POPOLO E LA STORIA


LA MIA STIRPE, Ferdinando Camon, Garzanti
La verità e la mortalità della lingua dipendono da quel che mangi, come dormi, quel che ti angoscia, ti distrae, ti tormenta o ti pacifica. Dalle malattie che hai, quelle che conosci e quelle che non conosci. Dallo stile di vita.
La scrittura è uno stile di vita come la nevrosi e la santità.
Scrittura, nevrosi e santità sono sorelle, camminano affiancate, tutt'e tre hanno a monte un oscuro senso di colpa e a valle un interminabile bisogno di espiazione.
Quel che fa di uno scrivente uno scrittore è quel margine di lingua in più, che corrisponde a un di più di introversione, di separazione dal mondo, di malattia.

IL LIBRO

Davvero bello e così vero.
Leggendolo, mi sono sentita parte della famiglia, era un po' come se mia madre o uno zio mi raccontassero di sè, della loro infanzia. Anche il modo di essere vicino al genitore anziano che non sta più bene, il senso di umorismo, mai volgare o grossolano, che fa da sfondo alle vicende umane anche più tristi, il rapporto del popolo con i fatti della storia, tutto questo è parte anche della storia della mia famiglia. Bellissimo anche la descrizione dell'incontro con l'attuale Papa. Non capita spesso nella narrativa italiana di superare con maestria la banalità o la mancanza di originalità. Sicuramente questo libro è parte del patrimonio della letteratura italiana.

Da "La Repubblica"

Chi ha pagato il Duomo Chi ha pagato il Duomo

Una giovane storica di formazione economica, laureata alla Bocconi, ricercatrice negli Stati Uniti, porta alla luce un sorprendente atto di fede dei milanesi. Martina Saltamacchia (Rapallo, classe ' 81) ha appena pubblicato Costruire cattedrali (Marietti 1820), che approfondisce il saggio d' esordio Milano, un popolo e il suo Duomo con materiali inediti e uno stile meno accademico. Chi ha costruito

davvero il Duomo di Milano? «Frequentavo la Bocconi, cercavo una materia diversa dal solito per la tesi di laurea. Il mio parroco mi raccontò la leggenda secondo cui il Duomo sarebbe stata eretto con il lavoro e le offerte del popolo e non dai nobili del Quattrocento. "La vita è fatta per realizzare grandi cose, come gli uomini del Medioevo che vivevano nelle catapecchie e costruivano cattedrali", mi disse. All' inizio era scettica: come avrebbero potuto i poverissimi costruire un tale monumento?». Poi che cosaè successo? «Ho creduto a quest' idea romantica, mi sono chiusa per un anno e mezzo nell' archivio della Veneranda Fabbrica del Duomo. Nel Registro delle Oblazioni e negli Annali ho trovato una specie di diario della lunga lavorazione della cattedrale, iniziata alla fine del Trecento e completata soltanto nel XX secolo. Con queste informazioni, decifrato il carattere gotico lombardo delle pergamene, ho definito puntualmente le donazioni». Scoprendo che... «Gian Galeazzo Visconti, a cui la storiografia attribuisce il merito dell' opera, aveva donato una cifra equivalente a 700.000 euro di oggi. Ma è con le umili offerte del popolo - monete di rame, bottoni di madreperla, biada per i cavalli, uova e formaggette per gli operai, perfino le vesti dei morti di peste - che sono stati portati a termine i lavori. La loro somma supera di molto il contributo del principe». Il popolo del Duomo si privava di tutto. Pagato con tre boccali di vino d' estatee due d' inverno, versava alla chiesa quel poco che aveva. Perché? «C' era una spinta all' ideale religioso, che abbiamo perso. Faticavano gomito a gomito maestri scultori, signorotti e nullatenenti provenienti anche dagli stati vicini, desiderosi di glorificare Dio, l' eterno lavoratore. Costruendo il simbolo dell' identità civica dei milanesi, si gettavano le basi dell' internazionalità che da allora ci caratterizza». La scelta vincente del suo saggio è raccontare le storie dei donatori: notai, speziali, fornai, ingegneri, ma anche uomini d' armi e perfino prostitute. «Le prostitute, dopo i giri notturni, lasciavano parte dei guadagni sull' altare. Cercavano indulgenza per i peccati, un posto in Paradiso. Come Marta che, pentita, va oltre: cede case e gioielli al clero e conduce il resto dell' esistenza elargendo carità. Alessio, capitano di corte, fa ornare a sue spese l' altare della Madonna. Nato in Albania, affidato in tenera età al duca Francesco Sforza, che lo cresce come un valoroso combattente, voleva sdebitarsi dei doni ricevuti in vita». Il caso più clamoroso è quello di Caterina. «Una vecchietta che aiuta nel cantiere trasportando i materiali in una gerla. Finché non dona anche l' unica piccola pelliccia che la riparava dal freddo. Ma c' è il lieto fine. La Fabbrica del Duomo gliela restituisce e le paga l' affitto fino alla morte». Il suo preferito, che sarà il protagonista del suo prossimo libro, è un controverso mercante. «Marco Carelli, dopo aver accumulato un patrimonio con il commercio di lana e spezie ed essere stato accusato di usura, rinuncia a tutto e muore in povertà. È sepolto nella quarta campata della navata destra del Duomo. La morale della sua storia: non tutti quelli che fanno soldi sono posseduti dal demonio...». Per i suoi studi non è bastata la Bocconi. Anche lei è un cervello in fuga. «Mi occupo di Storia medievale milanese dalla Rutgers University, in New Jersey. Un professore americano ha letto la tesi sul Duomo, abbiamo preso un caffè e dopo un mese mi sono trasferita nel suo dipartimento. Qui a Milano non c' erano fondi per le mie ricerche, che mi portano in giro per gli archivi di mezza Europa. Ma il New Jersey non è bello come Milano o Rapallo. Nel week-end scappo a New York». -ANNARITA BRIGANTI

mercoledì 14 settembre 2011

SI RICOMINCIA



REQUIEM PER UNA PORNOSTAR, Jeffery Deave
r, Rizzoli
Shelly le rivolse un altro sorriso di circostanza. "Sei così... entusiasta. E sei riuscita a trovare il modo di vivere a Manhattan su una casa galleggiante. Incredibile!"
A Rune brillavano gli occhi. "Vieni con me. Ti faccio vedere una cosa davvero incredibile." Uscì sul piccolo ponte, tutto dipinto di grigio. Si tenne alla ringhiera e mise il piede nell'opaca acqua oleosa.
"Ti fai un bagno?" chiese Shelly preoccupata. Rune chiuse gli occhi. "Ti rendi conto che sto toccando la stessa acqua che bagna le isole Galapagos, Venezia , Tokyo, le Hawaii e l'Egitto? E' fantastico. E non ne sono del tutto sicura, ma potreb
be essere anche la stessa acqua sulla quale hanno navigato la Nina, la Pinta e la Santa Mar
ia o le navi di Napoleone. ..."


IL LIBRO
Quest'anno ho iniziato la scuola davvero in salita. Non ho due secondi liberi, sto frequentando un corso all'Istituto dei Ciechi di Milano perchè tra i miei nuovi alunni c'è una bambina non vedente tutti i giorni della settimana e la classe prima mi richiede tanto tempo nella costruzione dei materiali. La sera sto un po' al computer per cui leggo davvero poco. Ma questo libro non richiede molto impegno e qualche ritaglio di tempo è riuscito a saltar fuori. Non è uno dei migliori di Jeffery Deaver, soprattutto alla fine è molto affrettato e la storia è poco realista. La protagonista, però, ha un suo fascino, una specie di Bridget Jones indagatrice e la sua caratterizzazione è molto simpatica.


IL PRIMO GIORNO DI SCUOLA CHE VORREI

Che cosa avrei voluto sentirmi dire il primo giorno di scuola dai miei professori o cosa vorrei che mi dicessero se tornassi studente?

Il racconto delle vacanze? No. Quelle dei miei compagni? No. Saprei già tutto. Devi studiare? Sarà difficile? Bisognerà impegnarsi di più? No, no grazie. Lo so. Per questo sto qui, e poi dall’orec

chio dei doveri non ci sento. Ditemi qualcosa di diverso, di nuovo, perché io non cominci ad annoiarmi da subito, ma mi venga almeno un po’ voglia di cominciarlo quest’anno scolastico. Dall’orecchio della passione ci sento benissimo.

Dimostratemi che vale la pena stare qui per un anno intero ad ascoltarvi. Ditemi per favore che tutto questo c’entra con la vita di tutti i giorni, che mi aiuterà a capire meglio il mondo e me stesso, che insomma ne vale la pena di stare qua. Dimostratemi, soprattutto con le vostre vite, che lo sforzo che devo fare potrebbe riempire la mia vita come riempie la vostra. Avete dedicato studi, sforzi e sogni per insegnarmi la vostra materia, adesso dimostratemi che è tutto vero, che voi siete i mediatori di qualcosa di desiderabile e indispensabile, che voi possedete e volete regalarmi. Dimostratemi che perdete il sonno per insegnare quelle cose che – dite – valgono i miei sforzi. Voglio guardarli bene i vostri occhi e se non brillano mi annoierò, ve lo dico prima, e farò altro. Non potete mentirmi. Se non ci credete voi, perché dovrei farlo io? E non mi parlate dei vostri stipendi, del sindacato, della Gelmini, delle vostre beghe familiari e sentimentali, dei vostri fallimenti e delle vostre ossessioni. No. Parlatemi di quanto amate la forza del sole che brucia da 5 miliardi di anni e trasforma il suo idrogeno in luce, vita, energia. Ditemi come accade questo miracolo che durerà almeno altri 5 miliardi di anni. Ditemi perché la luna mi dà sempre la stessa faccia e insegnatemi a interrogarla come il pastore errante di Leopardi. Ditemi come è possibile che la rosa abbia i petali disposti secondo una proporzione divina infallibile e perché il cuore è un muscolo che batte involontariamente e come fa l’occhio a trasformare la luce in immagini.

Ci sono così tante cose in questo mondo che non so e che voi potreste spiegarmi, con gli occhi che vi brillano, perché solo lo stupore conosce.

E ditemi il mistero dell’uomo, ditemi come hanno fatto i Greci a costruire i loro templi che ti sembra di essere a colloquio con gli dei, e come hanno fatto i Romani a unire bellezza e utilità come nessun altro. E ditemi il segreto dell’uomo che crea bellezza e costringe tutti a migliorarsi al solo respirarla. Ditemi come ha fatto Leonardo, come ha fatto Dante, come ha fatto Magellano. Ditemi il segreto di Einstein, di Gaudì e di Mozart. Se lo sapete ditemelo.

Ditemi come faccio a decidere che farci della mia vita, se non conosco quelle degli altri? Ditemi come fare a trovare la mia storia, se non ho un briciolo di passione per quelle che hanno lasciato il segno? Ditemi per cosa posso giocarmi la mia vita. Anzi no, non me lo dite, voglio deciderlo io, voi fatemi vedere il ventaglio di possibilità. Aiutatemi a scovare i miei talenti, le mie passioni e i miei sogni. E ricordatevi che ci riuscirete solo se li avete anche voi i vostri sogni, progetti, passioni. Altrimenti come farò a credervi? E ricordatemi che la mia vita è una vita irripetibile, fatta per la grandezza, e aiutatemi a non accontentarmi di consumare piccoli piaceri reali e virtuali, che sul momento mi soddisfano, ma sotto sotto sotto mi annoiano…

Sfidatemi, mettete alla prova le mie qualità migliori, segnatevele su un registro, oltre a quei voti che poi rimangono sempre gli stessi. Aiutatemi a non illudermi, a non vivere di sogni campati in aria, ma allo stesso tempo insegnatemi a sognare e ad acquisire la pazienza per realizzarli quei sogni, facendoli diventare progetti.

Insegnatemi a ragionare, perché non prenda le mie idee dai luoghi comuni, dal pensiero dominante, dal pensiero non pensato. Aiutatemi a essere libero. Ricordatemi l’unità del sapere e non mi raccontate l’unità d’Italia, ma siate uniti voi dello stesso consiglio di classe: non parlate male l’uno dell’altro, vi prego. E ricordatemelo quanto è bello questo Paese, parlatemene, fatemi venire voglia di scoprire tutto quello che nasconde prima ancora di desiderare una vacanza a Miami. Insegnatemi i luoghi prima dei non luoghi.

E per favore, un ultimo favore, tenete ben chiuso il cinismo nel girone dei traditori. Non nascondetemi le battaglie, ma rendetemi forte per poterle affrontare e non avvelenate le mie speranze, prima ancora che io le abbia concepite.

Per questo, un giorno, vi ricorderò.

Alessandro D'Avenia

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