mercoledì 17 luglio 2013

PASSATO REMOTO

LA DONNA CON GLI OCCHI DI SMERALDO, Stacia M. Brown, Piemme
"... Tra qualche mese i nostri sedicenti "santi" della Camera dei Comuni vareranno una delle loro minacce: l'adulterio sara' punibile con la morte. Lo sapete, vero? Che una legge cosi' e' probabile, ora che i Puritani tengono le redini del governo?". Si schiari' la gola; sentiva la nostalgia dei tempi di re Carlo. "Percio' non dimenticatevi di recitare le preghiere della sera, signore, perche', se tutto questo dovesse ripetersi in un altro momento, non ve la cavereste cosi' a buon mercato. Potreste finire anche voi sul patibolo, se cosi' venisse deciso." Bartwain aveva imparato che uno dei vantaggi di arrivare a sessant'anni era che a guardare bene dentro le cose - o anche a guardarle bene a posteriori - si vedeva che la vita e' fatta da un limitato numero di storie. Queste storie giravano, giravano in cerchio e si ripetevano all'infinito. Non c'era niente di nuovo, assolutamente niente di nuovo sotto il sole; persino il sole era annoiato.
IL LIBRO
Un romanzo storico, ben documentato ma che riguarda solo un aspetto particolare dell'epoca descritta. Lo spunto e' la tesi di laurea dell'autrice: la situazione legale delle ragazze madri nell'Inghilterra puritana. Manca pero' l'appassionare il lettore alla vicenda, anche la storia d'amore non convince fino in fondo e la figura del testimone, molto originale e ben pensata, non raggiunge un'umanita' piena. Comunque imparare la storia attraverso i romanzi e' sempre un'ottima idea.

La croce di oggi che ci fa inginocchiare

John Waters Testimonianza

18/05/2013 - La testimonianza durante l'incontro del Papa con i Movimenti ecclesiali

Amici miei, viviamo in un tempo di menzogna. In passato, l’uomo lottava per la perfezione, sapendo che essa non era raggiungibile in questo mondo. Guidato da una fede certa in un Creatore amorevole, dal quale restava dipendente, l’uomo tendeva a raggiungere le stelle, senza illudersi di poterle toccare, ma capendo che l’atto stesso del tendere a raggiungerle gli permetteva di essere pienamente se stesso.

Oggi l’uomo lotta per l’onnipotenza credendo che essa si possa raggiungere. Per questo l’uomo si sente oppresso dalla solitudine, perché ogni cosa dipende solo dal proprio sforzo personale.
La delusione che ne nasce ci affligge tutti. Invade le nostre menti e cambia il nostro modo di pensare e di sentire. E talvolta abbiamo l’impressione – a dispetto di noi stessi – che non dovremmo aver bisogno di Dio. Voglio sottolineare, non che non ne abbiamo bisogno, ma che NON DOVREMMO aver bisogno di Lui.

L’uomo ha costruito il proprio mondo all’interno di quello, misterioso, donatogli da Colui che fa tutte le cose. E questo mondo fatto dalla mano dell’uomo ha delle caratteristiche strane, spesso contraddittorie. Ci fa sentire più sicuri, anche se meno fiduciosi; più intelligenti anche se più vicini alla disperazione. Ci mette addosso un senso di onnipotenza, anche se non ci siamo mai sentiti più impotenti.

Questa è la storia della mia vita, una vita vissuta dentro la falsa realtà che l’uomo ha costruito per sentirsi sicuro.

Da bambino, ho camminato con Cristo per le strade del mio paese. Parlavamo, andando, di tutto ciò che esisteva e di tutto ciò che sembrava possibile. Non c’era bisogno di “credere”. Io CONOSCEVO Cristo, e non c’è bisogno di “credere” nelle cose che conosci. Lui era con me sempre – compagno, fratello, padre, protettore…

Nella mia adolescenza, ho scoperto la realtà fatta dall’uomo e la sua versione della libertà, così diversa dalla libertà che avevo sperimentato da bambino. In qualche modo intuivo che questa nuova libertà sembrava escludere la possibilità di continuare a camminare con Cristo – che c’era una scelta da fare. Anche se non era quello che desideravo, percepivo che per andare avanti nel mondo moderno avrei dovuto staccarmi da Lui. E così feci – con tristezza, con vergogna, ma anche con molti alibi e autogiustificazioni.

Così mi sono gettato in questo grande viaggio di libertà.

Per un certo periodo, mi è sembrato evidente che avevo fatto la scelta giusta. Mi sentivo proprio libero. Ma a poco a poco mi rendevo conto che queste nuove libertà non mi soddisfacevano. In qualche caso trovavo che esse erano causa di grande sofferenza. E in un caso particolare – la mia esperienza con l’alcol – queste supposte libertà mi hanno gettato in ginocchio.

Mi hanno gettato in ginocchio, in tutti i sensi, per fortuna.

Forse era necessario che io facessi un’esperienza “estrema” di libertà per farmi percepire l’errore che avevo compiuto. Attraverso l’intercessione di compagni di sventura, di persone fuggite come me dalla stessa incomprensione della libertà – che avevano già scoperto qualcosa della vera natura della libertà – sono stato re-introdotto all’idea che ero una creatura. Questi nuovi amici mi hanno mostrato che io dipendevo da qualcosa di infinitamente più grande di qualunque cosa io potessi trovare nel mondo fatto dall’uomo. Da questi amici ho imparato che io possedevo un desiderio infinito di questa infinita Grandezza.

La natura dell’uomo e’ una continua domanda. Tu e io siamo fatti di desiderio. Non siamo fatti per accontentarci di una soddisfazione timida e fiacca. Siamo parte del Mistero che fa ogni cosa possibile! Questo è il motivo per cui Gesù è venuto fra noi: per mostrarci tutto quello che la vita umana può essere.

Tutto questo ho imparato dagli amici che ho incontrato e che mi hanno aiutato a portare il peso di questa croce così attuale, una croce fatta di schiavitù e guarigione.

E insieme ho imparato che il desiderio della Grandezza di Dio non era un bel concetto astratto, ma un fatto al centro della mia struttura e della mia natura. Ritornando al punto di partenza, ho indagato su di me e sul mio posto nel mondo, e ho scoperto che quei giorni di innocenza, quando camminavo con Cristo lungo le strade del mio paese, bene, quelli erano stati i momenti della mia vita nei quali il mio essere era stato più profondamente in armonia con la mia natura e la mia struttura.

È stata una scoperta stupefacente.

Per molti aspetti uno scandalo.

Ma è stata anche una liberazione Dopo un viaggio doloroso potevo ancora dire la parola “Cristo” come qualcosa di vero riguardo a me. Potevo ancora accostarmi a quella figura che pazientemente mi attendeva, non per un desiderio di riconciliazione sentimentale o pieno di rimorso, ma avendo imparato che in quella Persona, in quel rapporto, stava il fondamento della verità su di me.

In quei giorni ho imparato che non ero fatto per essere solo. O meglio, che non ero fatto per credere di essere solo – perché qualunque cosa io possa dire, Lui è comunque con noi.

Vi parlo della mia esperienza della realtà. Racconto fatti, cose che sono accadute e continuano ad accadere, parlo quindi di un contesto sperimentabile. Questi fatti sono veri per la mia vita come il fatto che oggi è sabato.

Questo mondo fatto dall’uomo, con le sue aspirazioni, è per molti versi positivo. Dentro di esso, siamo più sicuri e più comodi di quanto potremmo esserlo altrove. Ma il mondo fatto dall’uomo ci tiene nascosta la natura misteriosa della realtà, compresa la realtà che rimane dentro di noi e che ci definisce. Questa realtà interiore è pienamente accessibile solo attraverso l’incontro con questa Persona che chiamiamo Cristo.

Conoscere Cristo non ci richiede di volgere le spalle alla curiosità, al progresso, all’illuminismo, alla libertà. Al contrario, ci chiede di guardare più profondamente dentro la realtà, per vederne la vera natura.

San Giovanni ci dice che, preannunciando la prima Pentecoste, Gesù disse: “In quel giorno saprete che io sono nel Padre, e voi in me, e io in voi” (Gv 14,20).

Sono arrivato a vedere queste parole come una descrizione letterale della mia realtà. Non sono solo questa persona che ha il nome John. Io sono anche un Altro – Colui che mi fa, e col quale esisto in un rapporto che io trascuro, a mio rischio e pericolo.

Conoscere Cristo è conoscere me stesso, capire come sono fatto, e diventare libero in questa conoscenza – perché non potrei diventare libero in nessun altro modo.

 

martedì 9 luglio 2013

BATTITO D'ALI

CENTO PAGINE, Cyril Massarotto
"Sai, se dovessi scrivere il libro della mia vita, sento che scriverei le cose diversamente da come sono andate. Avrei un'esistenza diversa. Devo essere onesta con me stessa, so bene che non mi portero' grandi gioie nella tomba. E soprattutto so che e' troppo tardi per averne altre. Allora, da parecchio tempo, mi accontento di quelle piccole. Di piccole gioie..."
"E di piccoli ricordi."
"Ma che cosa avrebbe voluto fare? Cosa bisogna fare per conquistarsi dei grandi ricordi?"
"E' molto semplice: per conquistarsi dei grandi ricordi, non bisogna guardarsi indietro."
"E' contradditorio, nonna..."
"Al contrario, e' molto logico!" Ascoltami bene: i tuoi ricordi sono davanti a te. Piu' tardi, quando avrai la mia eta' e sara' troppo tardi per costruire, potrai voltarti indietro e vedere cos'hai costruito di grande e di bello... E tutto questo ti riempira' il cuore. E' il mio migliore augurio. Cosi' forse non te ne andrai vuoto. Vuoto come me."
I suoi occhi si sono appannati. Anche i miei. mi guarda e io non oso prenderla tra le braccia.
Sono un coglione.

IL LIBRO
Ci sono nella letteratura francese contemporanea una leggerezza e un'eleganza nel raccontare le storie che sono davvero uniche. E le ritroviamo in questo libro, breve ma dalla trama originalissima, toccato lievemente da un battito di magia ma profondissimo nel descrivere i rapporti sociali nel nostro secolo.



Una famiglia seguita dal Banco Alimentare scrive questa lettera:
Sono le 2 di notte e come sempre non riesco a dormire! Mi trovo davanti a questo foglio dove vorrei cercare di scrivere ma non so se riuscirò! Vorrei sfogare le mie emozioni, ma è molto difficile esprimerle dal viverle. Da quando mio marito è partito ho perso il sorriso, sono trascorsi ormai 4 mesi, al principio mi sono torturata piangendo notte e giorno x la preoccupazione e perché non riuscivo ad accettarlo nonostante l'avevo presa positivamente pensando che era una Grazia di Dio per farci sistemare le cose. I mesi sono trascorsi e mi sono ritrovata sempre più stanca, triste e demoralizzata, ho sbagliato lo so! Però vivere questa situazione è devastante. Io e mio marito non ci siamo mai separati da 20 anni che siamo insieme x cui la lontananza, tutte le responsabilità sulle mie spalle, il lavoro e soprattutto la bimba che è in una fase particolare della sua eta' mi hanno distrutta (questa è l'età più bella e più brutta! Imparano tante cose ma hanno anche bisogno di tante attenzioni). Mio figlio mi dà tanta gioia, voglia di vivere e la forza di andare avanti ma nonostante questo la stanchezza è molta. Ci sono giorni che crollo, ho la mente confusa, stanca mi sono fatta prendere dalla negatività, tristezza e depressione. In questi giorni non riesco più a rialzarmi e così affido la mia Vita a chi l'ho sempre affidata e cioè a Dio. Prego tutti i giorni e poi vado in chiesa, dove mi dico "alzati e cammina" esco e mi sento caricata con tutta la forza di riprendermi. Ho dovuto sempre affrontare difficoltà e sofferenze per ottenere le cose desiderate però Dio non mi ha mai abbandonata, mi ha sempre protetta, accompagnata, perdonata e protetta. Mio marito è molto stanco, depresso e non ce la facciamo a darci forza l'uno con l'altro. Siamo riusciti anche a litigare così lontani per la troppa rabbia che abbiamo dentro è una prova troppo difficile! L'altro giorno parlavo con la mia amica del banco e le ho detto che sono troppo stanca in questo momento; non avevo la lucidità neanche verso Dio, l' ho detto ma non l'ho mai pensato, io senza fede non posso vivere. Oggi finalmente mi sono risollevata e mi sento meglio, so che quando mio marito tornerà non avremmo risolto ancora tutti i nostri debiti però c'e' anche l'amore che ci da forza. Dio ci mette davanti a delle prove e noi dobbiamo superarle x amor suo. Stasera io e mio marito abbiamo parlato che a luglio è il nostro anniversario, lui tornerà a settembre però ci piacerebbe festeggiare facendo una piccola messa per manifestare la nostra gratitudine, il nostro sacrificio, il nostro amore e riprometterci delle cose davanti a Dio. Non so se poi questa cosa andrà in porto però mi ha ridato la forza di sopportare ancora i mesi che verranno e se lo faremo vorrei tanto che ci fosse la mia cara amica del banco a farmi da testimone perché lei crede in questi valori come ci credo io. Non so dire come andranno le cose, so solo che Dio c'e ' sempre stato c'è e ci sarà sempre e io senza di lui non posso vivere. Grazie infinitamente Dio di tutta la mia vita, l'ho sofferta ma io ho sempre detto che ho un protettore che gli altri non hanno, DIO che è unico!
 
 
 

venerdì 28 giugno 2013

FEDE, SPERANZA E CARITA'

QUELLO CHE RESTA, Tracy Kidder, Piemme
Esistono vari gradi di solitudine, mi disse una volta Deo. La peggiore, secondo lui, era quella di una persona povera "oppressa dalla malattia": "Non puoi permetterti di andare dal dottore. Non puoi nemmeno parlare di come ti senti, perche' saresti considerato un debole. Cosi' la sofferenza diventa la tua compagna." E poi c'era la solitudine che aveva trovato spesso a New York, quella di chi ha l'impressione di essere l'unico a comprendere il dramma dei malati indigenti del proprio paese di origine, a capire qualcosa di fondamentale che nessuno intorno a lui affronta completamente.
(...)
Chiaramente Sharon era una persona fuori dal comune, e il fatto che Deo l'avesse incontrata per caso facendo consegne era stata una bella fortuna, forse addirittura - mi venne da pensare in sua presenza - un segno della Provvidenza.
In Se questo e' un uomo, Primo Levi scrive: "Oggi io penso che, se non altro per il fatto che Auschwitz e' esistito, nessuno dovrebbe ai nostri giorni parlare di Provvidenza." Ma con tutti gli orrori che aveva patito Deo, il numero di sconosciuti che lo avevano aiutato appariva notevole: la donna hutu presso il confine ruandese, Muhammad il facchino, Chukwu, James O'Malley, e soprattutto Nancy, Charlie e Sharon. Non esisteva un programma di assistenza per gente come Deo. Pensai alla porta che aveva lasciato aperta a Mutaho. "Si vede che qualcosa lo proteggeva" pensai, senza dubbio perche' ero in compagnia di Sharon. E quel pensiero non mi piacque.
"Una delle cose che ho notato leggendo i resoconti del genocidio" le dissi. "e' che la gente afferma: "Dio mi ha risparmiato". Ma non sono sicuro che questo modo di vedere e' giusto. E tutti quelli a cui hanno mozzato la testa?"
"Io ho una teoria" ribatte' lei. "Tanto tempo fa mi sono detta: "Noi siamo infinitamente amati per ogni frazione di tempo che abbiamo, per qunato piccola." E alla fine non e' tragico morire, a qualunque eta'. Anche nella piu' immane tragedia, penso che l'unica tragedia sia il male, e Dio non vuole alcun male. Che la sentiamo o no, siamo circondati da questa presenza amorevole - ai bambini parlo del Buon Pastore, penso sia un'immagine potenete per loro, ma anchwe quella della vite e dei tralci e' bella - che copre ogni secondo di ogni giorno. Per tutti."
 
IL LIBRO
L'autore e' un premio Pulitzer e la storia e' una storia vera. Racconta la vita di Deo, studente di medicina che scampa a due genocidi, in Burundi e in Ruanda, si ritrova "miracolosamente" e senza niente negli Stati Uniti, dove una serie di incontri diventa per lui l'occasione di una nuova vita. Un susseguirsi di fatti gravissimi e dolorosissimi, a cui nemmeno la psicologia americana, trovandosi impreparata, e' in grado di rispondere, fatti che porteranno ad un bene piu' grande. Il male non e' l'ultima parola sull'uomo e la storia narrata in questo libro ne e' la testimonianza.
 
40 MARTIRI DEL BURUNDI
 

Servi di Dio 40 Seminaristi Martiri Burundesi Allievi del Seminario di Buta
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+ Buta, Burundi, 30 aprile 1997
Il 30 aprile 1997 vennero assassinati 40 giovanissimi allievi del Seminario di Buta (diocesi di Bururi), appartenenti alle etnie hutu e tutsi, per non essersi voluti separare gli uni dagli altri.Jolique Rusimbamigera, studente nel Seminario di Buta, seppur ferito gravemente scampò al tragico massacro. Un anno dopo rese la seguente testimonianza:"Erano tantissimi, mi sono sembrati cento. Sono entrati nel nostro dormitorio, quello delle tre classi del ciclo superiore, e hanno sparato in aria quattro volte per svegliarci... Subito hanno cominciato a minacciarci e, passando fra i letti, ci ordinavano di dividerci, hutu da una parte e tutsi dall'altra. Erano armati fino ai denti: mitra, granate, fucili, coltellacci...Ma noi restavamo raggruppati! Allora il loro capo si è spazientito e ha dato l'ordine: "Sparate su questi imbecilli che non vogliono dividersi". I primi colpi li hanno tirati su quelli che stavano sotto i letti... Mentre giacevamo nel nostro sangue, pregavamo e imploravamo il perdono per quelli che ci uccidevano. Sentivo le voci dei miei compagni che dicevano: "Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno". Io pronunciavo le stesse parole dentro di me e offrivo la mia vita nelle mani di Dio".


Dopo i martiri per la fede, quelli della purezza e della carità, dal 30 aprile 1997 abbiamo anche i “martiri dell’amicizia”. In quella data, infatti, 40 seminaristi del Burundi sono stati massacrati in nome dell’amicizia e della fratellanza che volevano difendere a tutti i costi, offrendo così una testimonianza preziosa per il nostro tempo, ancora caratterizzato dalla divisione etnica, dall’odio razziale e dalle discriminazioni. La “Svizzera dell’Africa” (come un tempo era considerato il Burundi) negli Anni Novanta è attraversata da profondi e sanguinosi scontri tribali, che oppongono la maggioranza etnica prevalente degli Hutu ai minoritari Tutsi. Scandalosamente ciò avviene in un paese al 99% cristiano e per oltre il 75% cattolico. Inevitabile che la situazione dell’intero paese si rifletta anche nelle scuole e nei seminari, con una rigida suddivisione dei dormitori, degli spazi di gioco e delle aule tra le due etnie. Mentre molti istituti devono chiudere i battenti per le forti tensioni interetniche, il seminario di Buta, nel sud del Burundi. diventa un’isola felice e un concreto esempio di serena convivenza, grazie al nuovo rettore che lavora molto per abbattere le frontiere e per creare un clima di amicizia tra gli studenti. Il suo sapiente accompagnamento spirituale riesce pian piano a far superare il clima di odio e di vendetta che si respira ovunque. Inutile dire che, se da un lato l’esperienza di questo seminario dimostra con i fatti che l’amore di Cristo è più forte delle barriere razziali, dall’altro finisce per rappresentare il più solenne smacco per i “signori della guerra”, che proprio sull’impossibilità dell’intesa tra hutu e tutsi fondano il loro infernale progetto di violenza e di morte. “Dio è buono e noi lo abbiamo incontrato”, cantano e ripetono i seminaristi, al ritorno da un ritiro nella loro ultima Pasqua che ha fornito basi ancor più solide alla loro spiritualità. In un clima surreale, con il seminario costantemente presidiato dai militari tutsi, sotto la martellante istigazione alla violenza propagandata dalla televisione, con le notizie a raffica di massacri e genocidi della popolazione civile che fanno vivere in un clima di costante terrore e di preoccupazione per la sorte delle loro famiglie, i seminaristi cercano di farsi vicendevolmente forza e coraggio, cercando di mantenere pressoché inalterato il ritmo delle loro attività e soprattutto la loro unione, al di là dell’odio etnico che la politica cerca di instillare. Tutto questo fino all’alba del 30 aprile 1997, quando i ribelli hutu, ubriachi e drogati, irrompono nel dormitorio in cui tutti i seminaristi si sono rifugiati: stanno attuando non solo un’operazione di rappresaglia e di pulizia etnica, piuttosto vogliono dimostrare come sia stata fallimentare l’idea di far convivere le due etnie, convinti come sono che l’esperimento non possa reggere di fronte alla minaccia di morte. Per questo ordinano ai ragazzi, armi in pugno, di dividersi in due gruppi, Hutu da una parte e Tutsi dall’altra. I ragazzi non si muovono: non perché paralizzati dalla paura, piuttosto perché convinti che di fronte all’amicizia non si possono fare distinzioni etniche: l’amico resta tale, indipendentemente da come te lo vogliano rappresentare. Scornati e forse disorientati dalla inaspettata reazione, gli assassini scatenano l’inferno, mentre i ragazzi, tutsi e hutu indifferentemente, restano abbracciati tra loro, si sostengono a vicenda, si aiutano come possono. “Padre, perdonali, perchè non sanno quello che fanno”, li sentono anche sussurrare Alla fine, su quel pavimento, immersi nel loro sangue, si contano 40 morti: tutti ragazzi tra i 15 e i 20 anni, crivellati di colpi, sventrati dalle granate, finiti con il machete. La loro non è stata una morte casuale, piuttosto il risultato “di un’atmosfera, della cultura, dell’educazione che erano state forgiate da mesi…. Non è in quella notte tragica che quegli studenti hanno scoperto il dramma del loro Paese. Vi avevano già riflettuto sopra. Il loro comportamento è il prodotto di quella maturazione” , dicono adesso di loro. È per questo che dei “martiri dell’amicizia” o della “fratellanza” è stata introdotta la causa di beatificazione, mentre sulle loro tombe e nella cappella di quel seminario, da allora intitolata a Maria Regina della Pace, proseguono ininterrottamente i pellegrinaggi dei burundesi che vengono ad invocare la pace per il loro Paese.


lunedì 17 giugno 2013

SUPERAMENTO DEL LIMITE

DREAM RUNNER, IN CORSA PER UN SOGNO, Oscar Pistorius, Rizzoli
Se Dio mi chiedesse: "Oscar, posso ridarti le gambe: le vuoi?" io dovrei rifletterci. Non risponderei subito di sì. Perchè in realtà non mi sento affatto fregato dalla vita. Se avessi avuto le gambe non sarei diventato l'uomo che sono, credo non avrei avuto questo stimolo a superare me stesso e diventare un atleta. Sarei come un sacco di altri ragazzi, che si impigriscono. Forse non avrei scoperto il mio potenziale e avrei avuto una vita più ordinaria. (...)
C'è un pensiero che per me è molto importante: "Non sono le nostre disabilità che ci rendono disabili ma le nostre abilità che ci rendono abili."

IL LIBRO
E' un'autobiografia molto leggera dal punto di vista artistico ma molto vera dal punto di vista di chi la racconta. Per chi lavora nella scuola come me ed ha contatto diretto con gli alunni che hanno diritto all'insegnante di sostegno, questo libro è uno stimolo continuo a spronare chi si ha davanti. Il limite si chiama limite perchè va superato e Pistorius lo testimonia. Se non fosse stato per il suo grande desiderio e forza di volontà, che gli derivano certo dall'educazione familiare ricevuta, nessuno lo avrebbe visto alle Olimpiadi di Londra. Mi piace quando dice che è da quando è piccolo che vive la sua mancanza di arti con umorismo. Racconta che, quando i bambini che non lo conoscevano gli chiedevano delle sue gambe strane, rispondeva di averle comprate al Toys'r'us. Ne ho letto parte ai miei alunni anche se sono piccoli, perchè da lui si può imparare molto e ho utilizzato la sua infanzia come paragone per la propria storia personale. Dovevo scegliere un modello asettico (ho in classe un bambino adottato a cui mancano i riferimenti e la documentazione dei tre primi anni di vita e una bambina che ha passato la prima infanzia in ospedale) e mi sono detta. "Perchè non lui?" Infatti, mi metto all'opera, inizio coi bambini (entusiasti) e dopo una settimana Pistorius viene arrestato!!!! Grande flop educativo. Morale: se devi scegliere un esempio, meglio sceglierne uno morto!!!

ODE: intuizioni di immortalita' nei ricordi dell'infanzia
 

Se niente puo' riportare l'ora
di splendore nell'erba, di gloria nel fiore;
noi non piangeremo, piuttosto troveremo
forza in cio' che resta;
nella simpatia delle origini
che essendo stata deve essere sempre:
nei pensieri consolanti che nascono
dell'umana sofferenza;
nella fede che guarda olter la morte,
negli anni che rendono la mente filosofica.
William Wordsworth




martedì 14 maggio 2013

UN TOCCO DI MAGIA

MARINA, Carlos Ruiz Zafon, Mondadori
"Ci chiedevamo se poteva parlarci di Michail Kolvenik."
"Potrer ma non vedo perche' dovrei farlo" taglio' corto il dottore. "Se ne e' parlato fin troppo a suo tempo e sono circolate un muccio di bugie. Se la gente pensasse un quarto di quanto parla, questo monod sarebbe il paradiso."
"Si', ma noi siamo interessati alla verita'" puntualizzai.
(...)
"Michail, ti ricordi del giorno in cui mi chiedesti la differenza tra un medico e un mago? Ebbene, la magia non esiste. Il nostro corpo comincia a morire nel preciso istante in cui nasciamo. siamo fragili. Creature passeggere. Cio' che resta di noi sono le azioni, il bene e il male che facciamo ai nostri simili..."
 
IL LIBRO
Potrebbe essere un libro per ragazzi, con quel pizzico di noir che piace ad alcuni, oppure un libro apparentemente leggero per adulti. Lo stesso autore in prefezione scrive che questo sarebbe stato l'ultimo libro scritto di questo genere. Il personaggio che narra gli eventi ricorda un po' il dottor Watson, apparentemente un comprimario ma senza il quale la storia non avrebbe un testimone importante. Citando liberamente Susan Sarandon nel film "Ti va di ballare", la vita di ognuno cerca un tetimone a cui mostrarsi.
 







 
L'accidia di Pigi Colognesi -  lunedì 13 maggio 2013

Penso che ormai ci sia pochissima gente che si confessi del peccato di accidia. Eppure essa va a costituire (assieme a superbia, avarizia, invidia, ira, lussuria e golosità) l'elenco dei sette «vizi capitali» e sulla sua specifica pericolosità hanno riflettuto parecchi santi. Il significato della parola - in consonanza con il peccato che descrive e coi gesti che lo manifestano - non è schematicamente definibile. L'accidia si avvicina molto ad un'amara tristezza che non ha motivazioni precise, ad una insoddisfazione vaga e generica che preferirebbe qualsiasi situazione salvo quella in cui ci si trova, ad una pigrizia giustificata dall'assenza di energie - gli «ignavi» di dantesca memoria -, fino all'inquietudine ansiosa e allo smarrimento totale, nel quale sono possibili i gesti più estremi. Sono tutti sintomi che ci inducono a pensare ad una parola ora parecchio usata - ed abusata - per descrivere molti caratteri profondi ed insinuanti della nostra condizione esistenziale: depressione. Ne ha parlato in un recente articolo lo psicanalista Massimo Recalcati. Egli osserva che nella nostra società si sono imposti due «comandamenti»: il «nuovo» e il «successo». Il primo spinge a «scambiare quello che si ha con quello che ancora non si ha nell'illusione che è quello che non si ha a custodire la felicità». Quanto al secondo, «nessun tempo come il nostro ha enfatizzato come questione di vita o di morte la realizzazione del proprio successo personale», giungendo però a togliere ogni possibilità di significato costruttivo al fallimento o all'errore, che pur fanno parte dell'esperienza. «L'uomo è divenuto una macchina di godimento. E quando questa macchina funziona meno, non è oliata sufficientemente, non ha più benzina, o, più semplicemente, si guasta, si rompe, c'è la caduta nel vuoto», la depressione appunto. Il fatto è che la percezione comune - basta leggere i commenti a tristi fatti di cronaca quotidiana: omicidi apparentemente inspiegabili, suicidi senza particolari motivi, violenze diffuse -, facendo ricorso alla depressione, tende a giustificare ogni comportamento, a farlo dipendere da meccanismi così profondi da non implicare la responsabilità dell'agente. Coraggiosamente Recalcati ricorda che c'è un'altra ipotesi di lettura, quella che riporta al «giudizio di condanna che i padri della Chiesa esprimevano sull'accidia e ha l'obiettivo di mostrare che nella depressione c'è sempre una responsabilità del soggetto che non va dimenticata». Tra i molti testi dei padri della Chiesa che si sono occupati di accidia c'è A Stagirio tormentato da un demone di san Giovanni Crisostomo. Il grande vescovo non impone ulteriori sensi di colpa sulle spalle del suo interlocutore, afflitto da depressione; proprio così la versione italiana traduce il greco athymia, cioè abbattimento d'animo, avvilimento. Semplicemente gli ricorda che difficoltà, fallimenti e insuccessi fanno parte della vita. Non sappiamo - scrive - perché Dio li permetta, ma siamo certi che anch'essi servono a procedere nel cammino di bene verso un destino di felicità: «Dio ha voluto inserire la depressione nella natura umana non perché con leggerezza e inopportunamente ricorriamo ad essa nelle circostanze contrarie e neppure per consumare noi stessi, ma per trarne il massimo profitto». Quindi, totale realismo nella onstatazione delle difficoltà, ma nessun cedimento - qui sarebbe il peccato  allo sconforto. È su questo sottile crinale che la libertà può sempre cegliere. Ne consegue, conclude Giovanni Crisostomo, che «dobbiamo essere epressi non quando patiamo qualcosa di avverso, ma quando operiamo male».

mercoledì 1 maggio 2013

MISTERO RISOLTO

UNA PICCOLA STORIA IGNOBILE, Alessandro Pessinotto, Rizzoli
Patrizia ha le lacrime agli occhi, non so se di dolore o d'emozione. Benedetta pare una statua. Finalmente l'ha ritrovata, ma non le si avvicina, non l'abbraccia, non la saluta nemmeno. Non so se sia per la sorpresa, per la delusione di averla trovata viva o perche' ancora non capisce. Allora provo a spiegare, a esporre le mie congetture, sperando che Patrizia le faccia diventare verita'. Sto per dire "sediamoci", ma mi fermo appena in tempo: il solito imbarazzo di fronte a chi e' sulla sedia a rotelle. Non dico niente e mi siedo, Benedetta mi imita...
 
 
IL LIBRO
Un giallo ambientato dalle mie parti: non me lo aspettavo. Mi e' piaciuto molto leggere nomi di strade, paesi e ambientazioni varie sapendo dove sono esattamente. Protagonista e' una donna, ma lo scrittore e' un uomo e si sente. Credo che anche in Italia ci sia una bella tradizione di thriller o detectives' stories che non ha nulla da invidiare a quelle cosi' di successo del mondo anglosassone. Perfette le descrizioni dei personaggi, dei luoghi e degli intrecci. E, come nel migliore degli esempi, il colpevole viene scoperto solo alla fine!
P.S. Bella la citazione che da' il titolo al romanzo.


G. K. Chesterton
L'avventura suprema è nascere. Così noi entriamo all'improvviso in una trappola splendida e allarmante. Così noi vediamo qualcosa che non abbiamo mai sognato prima. Nostro padre e nostra madre stanno acquattati in attesa e balzano su di noi, come briganti da un cespuglio. Nostro zio è una sorpresa. Nostra zia, secondo la bella espressione corrente, è come un fulmine a ciel sereno. Quando entriamo nella famiglia, con l'atto di nascita, entriamo in un mondo imprevedibile, un mondo che ha le sue strane leggi, un mondo che potrebbe fare a meno di noi, un mondo che non abbiamo creato. In altre parole, quando entriamo in una famiglia, entriamo in una favola.

mercoledì 3 aprile 2013

SCOMODA MEMORIA

LA NOTTE DELL'OBLIO, Lia Levi, Edizione e/o
Aveva gia' segretamente venduto un tappeto che, ne aveva avuto la conferma, era di gran valore, e i famsoi candelieri ottocenteschi d'argento con i timbri russi che tanto piacevano a Giacomo. Si era fatto addirittura il pensiero, Giacomo, che quegli argenti avrebbero potuto salvargli la vita. Ora invece servivano per riannodarla e farla proseguire.
Pareva che in citta' si agitassero ancora tutti all'interno all'interno di una lacerata miseria, ed era vero, ma c'erano anche gli altri, quelli che esistevano e prosperavano, trafficando e giganteggiando sulle altrui ristrettezze. Ma tutto sommato forse quel flusso continuo di oggetti che passavano dai poveri nuovi ai ricchi nuovi era a suo modo un fatto positivo. Forse si trattava di un vento ancora scomposto ma gia' avventurosamente vitale.
 
IL LIBRO
Nel giugno del 1946 il segretario del PCI e ministro della giustizia Palmiro Togliatti fece approvare un'amnistia per tutti i reati comuni e politici che non contemplassero pene superiori a cinque anni di carcere, commessi tra l'8 settembre 1943e la fine della guerra. E questa legge e' un po' il contenitore di questa storia molto umana, tragica e cosi' vicina a noi. Io mi sono sempre chiesta come mi sarei comportata se fossi vissuta nel periodo della dittature e delle leggi razziali in Italia. Da che parte sarei stata? Avrei messo in primo piano la salvezza mia e dei miei familiari o la giustizia? La risposta non e' cosi' scontata. I miei genitori e le loro famiglie si sono adattate, sono reste fuori dai giochi politici ma una ha "regalato" figli alla patria e l'altra ha fatto davvero la fame. Nessuna delle due ha pero' mai avuto contatti con famiglie ebraiche. Certo, gli scheletri negli armadi sono davvero tanti.
 
LA CAREZZA DEL NAZARENO
La ferita di Jannacci

"Un uomo innamorato della vita". Enzo Jannacci si definiva così. Sorriso scolpito; due occhi piccoli e vispi attenti a tutto. Osservava e si lasciava stupire. I personaggi delle sue canzoni li incontrava così, su di un marciapiede, in un tram del centro o sul ciglio della strada. Ed è così che ha incontrato anche noi, un gruppo di amici che cantavamo in piazza del Duomo in occasione dell'esposizione della mostra sui "150 anni di sussidiarietà". Passa di là e si ferma incuriosito. Nonostante sia già visibilmente affaticato dalla malattia che lo avrebbe portato alla morte nel giro di un anno, vuole rimanere lì a cantare. Noi increduli all'inizio e poi esaltati: è come se Paolo Maldini si fermasse al calcizzu... Poi accetta di venire pochi giorni dopo a Portofranco, centro di aiuto allo studio. Rimane stupito: "non immaginavo un posto così adombro di luce e mistero. Pieno di umanità". Sembra assolutamente a suo agio nonostante i duecento ragazzi venuti ad incontrarlo abbiano 60 anni meno di lui. Ci deve essere infatti qualcosa in comune a entrambi; forse è proprio quella ferita che Enzo dice di avere dentro: "non so di che qualità sia, so che è grande. È nata grande e non si chiude. Tanti fanno finta di non averla, tirano dritti. Li guardo, e mi viene da sentirmi male... È giusto che quella ferita rimanga lì, che a volte sanguini e altre no. Ha ragione di esistere? Io dico di sì. È la stessa ferita del Nazareno... L'ha fatta Lui la ferita. L'ha scolpita... E bisogna andarci dietro alla ferita, se no non se ne viene a capo. Bisogna volere bene alle ferite". Conclude intonando "Ti te sè no", canzone che invito tutti ad ascoltare, "perché - dice Enzo - non abbiate mai a dimenticare che tutto ve l'ha mandato Lui". Permettetemi di dire che chi definiva Jannacci un "ateo laico molto imprudente" sbagliava di grosso. Lui la "carezza del Nazareno" l'ha vista quando era piccolo nella faccia di un operaio su un tram di Milano e la porterà sempre nel cuore e nelle sue canzoni. Quando usciva da giovane per qualche performance suo padre gli diceva: "te vet in gir a fa' stupid". È vero, gli riusciva benissimo di fare lo stupido, ma stupido proprio non era. Aveva una laurea al conservatorio in pianoforte, composizione, armonia e direzione d'orchestra e, come non bastasse, si era laureato anche in medicina ed era diventato un affermato cardiologo. Oggi tutti lo ricordano con simpatia e un po' di commozione: come spesso accade, quando un artista muore mette tutti d'accordo; ma qui oltre a rimpiangere uno dei più grandi artisti italiani del dopoguerra, c'è da capire cosa Enzo ha provato a dirci durante la sua carriera lunga più di mezzo secolo, e cosa c'entri con noi oggi e con il nostro prossimo futuro.
Se quello che diceva Jannacci valeva ai "suoi tempi" deve valere anche oggi.
Per esempio quella ferita sanguinante di cui Enzo parlava ai ragazzi di Portofranco non può essersi rimarginata. Penso sia proprio la stessa ferita aperta e non corrisposta da nessun programma elettorale che ha spinto otto milioni di italiani a votare Grillo. E non finisce qui. In una intervista del 2009, nel pieno del caso Englaro, Jannacci riconosceva il bisogno impellente per l'uomo di una "carezza dal Nazareno". Infatti Enzo diceva: "se il Nazareno tornasse ci prenderebbe a sberle tutti quanti. Ce lo meritiamo eccome, però avremmo così bisogno di una sua carezza". Aveva ragione. Non potendo raggiungere in alcun modo ciò che ultimamente desideriamo, l'unica cosa razionale che possiamo fare è chiedere; anche solo una carezza. E così, mentre il mondo si scannava dibattendo su diritti e valori dell'uomo, solo lui introduceva un fattore che fosse altro da noi e dai nostri mutevoli criteri di giudizio. In una situazione come quella attuale, così drammatica e instabile, queste dichiarazioni di Jannacci sembrano quanto mai attuali e decisive. Spero di non azzardare troppo se dico che tali parole sono sulla stessa lunghezza d'onda di quelle più recenti di Papa Francesco che ci esorta a pregare e domandare a Dio perdono e misericordia. Lui infatti ci ascolta e ci perdona: "non stanchiamoci mai di chiedere perdono al Signore! Nostro Padre non si stanca mai di perdonarci". Jannacci si spegneva proprio il Venerdì Santo, quando Gesù salendo sul Calvario ci dà la prova più eclatante del Suo amore per noi, offrendoci quella carezza della quale Enzo sentiva tanto bisogno e che ora sta già gustando.
Giovanni Aime

lunedì 25 marzo 2013

PASSATO

L'ADDESTRATORE, Jeffery Deaver, Rizzoli
Tutti preferiscono evitare il passato.
Immagino sia naturale. Nonostante i ricordi meravigliosi, quando ripensiamo a tutto cio' che abbiamo fatto e detto nel corso degli anni, i rimpianti, anche se meno numerosi delle gioie e delle soddisfazioni, sono piu' vivi, come carboni ardenti che non riusciamo mai a spegnere del tutto, per quanto disperatamente ci proviamo.
Eppure, senza il passato il mio lavoro non esisterebbe.
 
IL LIBRO
E' uno dei miei scrittori thriller preferiti, anche se questo libro e' un po' sotto tono. Si resta incollati in poltrona e si tenta di leggerlo il piu' in fretta possibile e questi possono essere pregi o difetti. Infatti quando in biblioteca cerco i libir di Deaver sugli scaffali, devo sempre rileggere le trame nei risvolti di copertina perche' non mi ricordo mai se li ho gia' letti o meno. Qui la trama e' originale e i personaggi non sono i soliti. L'ambientazione e' simile e i "cattivi" anche, non mancano inoltre i soliti effetti sorpresa. Strano che il cinema non abbia ancora scelto molti dei suoi libri.
 
 
 

T.S. Eliot

Mercoledì delle ceneri

Thomas Stearns Eliot
Perch'i' non spero più di ritornare
Perch'i' non spero
Perch'i' non spero più di ritornare
Desiderando di questo il talento e dell'altro lo scopo
Non posso più sforzarmi di raggiungere
Simili cose (perché l'aquila antica
Dovrebbe spalancare le sue ali?)
Perché dovreí rimpiangere
La svanita potenza del regno consueto?
Poi
che non spero più di conoscere
La gloria incerta dell'ora positiva
Poi che non penso più
Poi che ormai so di non poter conoscere
L'unica vera potenza transitoria
Poi che non posso bere
Là dove gli alberi fioriscono e le sorgenti sgorgano, perché non c'è più nulla
Poi che ora so che il tempo è sempre il tempo
E che lo spazio è sempre ed è soltanto spazio
E che ciò che è reale lo è solo per un tempo
E per un solo spazio
Godo che quelle cose siano come sono
E rinuncio a quel viso benedetto
E rinuncio alla voce
Poi che non posso sperare di tornare ancora
Di conseguenza godo, dovendo costruire qualche cosa
Di cui allietarmi
E prego Dio che abbia pietà di noi
E prego di poter dimenticare
Queste cose che troppo
Discuto con me stesso e troppo spiego
Poi che non spero più di ritornare
Queste parole possano rispondere
Di ciò che è fatto e non si farà più
Verso di noi il giudizio non sia troppo severo
E poi che queste ali più non sono ali
Atte a volare ma soltanto piume
Che battono nell'aria
L'aria che ora è limitata e secca
Più limitata e secca della volontà
Insegnaci a aver cura e a non curare
Insegnaci a starcene quieti.
Prega per noi peccatori ora e nell'ora della nostra morte
Prega per noi ora e nell'ora della nostra morte.
II
Signora, tre leopardi bianchi giacevano sotto un ginepro
Nella frescura del giorno, nutriti a sazietà
Delle, mie braccia e del mio cuore e del mio fegato e di quanto
Era stato contenuto nel cavo rotondo del mio cranio. E Dio disse
Vivranno queste ossa? vivranno
Queste ossa? E tutto quanto era stato contenuto
Nelle ossa (che già erano aride) disse stridendo
Per la bontà di questa Signora
E, per la sua grazia, e perché
Ella onora la Vergine in meditazione,


Noi risplendiamo con tanta lucentezza. E io che sono
Qui dismembrato offro all'oblìo le mie gesta, e il mio amore
Alla posterità del deserto e al frutto della zucca.
E' questo che ristora
Le mie viscere le fibre dei miei occhi e le porzioni indigeste
Che i leopardi rifiutano. La Signora si è ritirata
In una bianca veste, alla contemplazione, in una bianca veste.
Che la bianchezza dell'ossa espii fino all'oblìo.
In esse non c'è vita. E come io sono dimenticato e vorrei essere
Dimenticato, così vorrei dimenticare
Consacrato in tal modo, ben saldo nel proposito. E Dio disse
Profetizza al vento, al vento solo perché
Il vento solo darà ascolto. E le ossa cantarono stridendo
Col ritornello della cavalletta, dicendo
Signora dei silenzi
Quieta e affranta
Consunta e più integra
Rosa della memoria
Rosa della dimenticanza
Esausta e feconda
Tormentata che doni riposo
La Rosa unica
Ora è il giardino
Dove ogni amore finisce
Terminato il tormento
Dell'amore insoddisfatto
Più grande tormento
Dell'amore soddisfatto
Fine dell'ínfinito
Viaggio verso il nulla
Conclusione di tutto ciò
Che non può essere concluso
Linguaggio senza parola
E parola di nessun linguaggio
Grazia alla Madre
Per il Giardino
Dove tutto l'amore finisce.
Sotto un ginepro le ossa cantarono, disperse e rilucenti
Noi siamo liete d'essere disperse, poco bene facernmo l'una all'altra,
Nella frescura del giorno sotto un albero, con la benedizione della sabbia,
Dimenticando noi stesse e l'un l'altra, unite
Nella serenità del deserto. Questa è la terra che voi
Spartirete. E né divisione né unione
Hanno importanza. Questa è la terra. Ecco, abbiamo la nostra eredità.
III
Là dalla prima rampa della seconda scala
Mi volsi e vidi in basso
La stessa forma avvinta alla ringhiera
Sotto la nebbia nell'aria fetida
In lotta col demonio delle scale
Dall'ingannevole volto della speranza e della disperazione.
Alla seconda rampa della seconda scala
Li lasciai avvinghiati, volti in basso;
Non v'erano più volti e la scala era oscura,
Scheggiata ed umida, come la bocca guasta
E bavosa di un vecchio, o la gola dentata di un antico squalo.
Là sulla prima rampa della terza scala
Una finestra a inferriata con il ventre gonfìo
Come quello di un fico e al di là
Del biancospino in fìore e della scena agreste
Quella figura dalle spalle ampie vestita in verde e azzurro
Affascinava il maggio con un flauto antico.
Sono dolci le chiome arruffate, le chiome brune arruffate sulla bocca,
Lillà e chiome brune;
Lo sgomento, la musica del flauto, le pause e i passi della mente sulla terza scala,
Svaniscono, svaniscono; al di là della speranza e al di là della disperazione
La forza sale sulla terza scala.
Signore, non son degno
Signore, non son degno
ma di' una sola parola.
IV
Colei che camminò fra viola e viola
Che camminò
Fra i diversi filari del variato verde
In bianco e azzurro procedendo, colori di Maria,
Parlando di cose banali
In ignoranza e scienza del dolore eterno
Che mosse in mezzo agli altri che già stavano andando
Che allora fece forti le fontane e fresche le sorgenti
Rese fredda la roccia inaridita e solida la sabbia
In blu di speronella, blu del colore di anni Maria,
Sovegna vos
Ecco gli anni che passano in mezzo, portando
Lontano i violini e i flauti, ravvivando
Una che muove nel tempo fra il sonno e la veglia, che indossa
Luce bianca ravvolta, di cui si riveste, ravvolta.
Passano gli anni nuovi ravvivano
Con una splendida nube di lacrime, gli anni, ravvivano
La rima antica con un verso nuovo. Redimi
Il tempo. Redimi
La visione non letta nel sogno più alto
Mentre unicorni ingioiellati traggono il catafalco d'oro.
La silenziosa sorella velata in bianco e azzurro
Fra gli alberi di tasso, dietro il dio del giardino,
Il cui flauto tace, piegò la testa e fece un cenno ma non parlò parola
Ma la sorgente zampillò e l'uccello cantò verso la terra
Redimi il tempo, redimi il sogno
La promessa del verbo non detto e non udito
Finché il vento non scuota mille bisbigli dal tasso
E dopo questo nostro esilio
V
Se la parola perduta è perduta, se la parola spesa è spesa
Se la parola non detta e non udita
E' non udita e non detta,
Sempre è la parola non detta, il Verbo non udito,
Il Verbo senza parola, il Verbo
Nel mondo e per il mondo;
E la luce brillò nelle tenebre e
Il mondo inquieto contro il Verbo ancora
Ruotava attorno al centro del Verbo silenzioso.
    
0 mio popolo, che cosa ti ho fatto.
Dove ritroveremo la parola, dove risuonerà
La parola? Non qui, che qui il silenzio non basta
Non sul mare o sulle isole, né sopra
La terraferma, nel deserto o nei luoghi di pioggia,
Per coloro che vanno nella tenebra
Durante il giorno e la notte
Il tempo giusto e il luogo giusto non sono qui
Non v'è luogo di grazia per coloro che evitano il volto
Non v'è tempo di gioire per coloro che passano in mezzo al rumore e negano la voce
Pregherà la sorella velata per coloro
Che vanno nelle tenebre, per coloro che ti scelsero e si oppongono
A te, per coloro che sono straziati sul corno fra stagione e stagione, tempo e ternpo, Fra ora e ora, parola e parola, potenza e potenza, per coloro che attendono
Nelle tenebre? Pregherà la sorella velata
Per i fanciulli al cancello
Che non lo varcheranno e non possono pregare:
Prega per coloro che ti scelsero e ti si oppongono
0 mio popolo, che cosa ti ho fatto.
Pregherà la sorella velata fra gli alberi magri di tasso
Per coloro che l'offendono e sono
Terriffcati e non possono arrendersi
E affermano di fronte al mondo e fra le rocce negano
Nell'ultimo deserto e fra le ultime rocce azzurre
Il deserto nel giardino il giardino nel deserto
Della secchezza, sputano dalla bocca il secco seme di mela.
0 mio popolo.
VI
Benché non speri più di ritornare
Benché non speri
Benché non speri di ritornare
A oscillare fra perdita e profitto
in questo breve transito dove i sogni si incrociano
Il crepuscolo incrociato dai sogni fra nascita e morte
(Benedicimi padre) sebbene non desideri più di desiderare queste cose
Dalla fìne finestra spalancata verso la riva di granito
Le vele bianche volano ancora verso il mare, verso il mare volano
Le ali non spezzate
E il cuore perduto si rinsalda e allieta
Nel perduto lillà e nelle voci del mare perduto
E Io spirito fragile s'avviva a ribellarsi
Per la ricurva verga d'oro e l'odore del mare perduto
S'avviva a ritrovare
Il grido della quaglia e il piviere che ruota
E l'occhio cieco crea
Le vuote forme fra le porte d'avorio
E l'odore rinnova il sapore salmastro della terra sabbiosa
Questo è il tempo della tensione fra la morte e la nascita
Il luogo della solitudine dove tre sogni s'incrociano
Fra rocce azzurre
Ma quando le voci scosse dall'albero di tasso si partono
Che l'altro tasso sia scosso e risponda.
Sorella benedetta, santa madre, spirito della fonte,. spirito del giardino
Non permettere che ci si irrida con la falsità
Insegnaci a aver cura e a non curare
Insegnaci a starcene quieti
Anche fra queste rocce,
E'n la Sua volontarie è nostra pace
E anche fra queste rocce
Sorella, madre
E spirito del fiume, spirito del mare,
Non sopportare che io sia separato
E a Te giunga il mio grido. 

domenica 3 febbraio 2013

SOSPENSIONE

LIMBO, Melania G. Mazzucco, Einaudi
Crescere tra le esalazioni mefitiche della mediocrità e del fallimento mi aveva aiutato a capire che cosa fuggire. 
(...) Che essere venuto in Afghanistan coi soldati è uno sbaglio enorme,e avremmo dovuto ritirarci da tempo, facciamo anche qualcosa di buono, e ti concedo che lo facciamo con un disinteresse degno di miglior causa, ma in realtà serviamo solo a coprire i disegni di altri per sventolare la nostra bandiera nel deserto, spendiamo quattrocentottantaquattro milioni di euro all'anno con cui potremmo costruire ospedali a casa nostra. 
(...) Che razza di discorso, mi aveva interrotta Diego. Uno non nasce adatto a fare la madre o il padre, lo fa e basta. Succede. (...) Solo quando ti nasce un figlio diventi adulto. E ti rendi conto di essere mortale.

IL LIBRO
Di lei avevo già letto Vita e mi era piaciuto molto. Credo faccia parte del presente e del futuro della letteratura italiana. Lo stile è originale e perfetto, i personaggi potrebbero conquistare l'eternità dei personaggi storici, la scelta delle vicende e delle ambientazioni è tipica dei grandi romanzi. Ogni volta la documentazione è così accurata che si stenta a credere che la vicenda non sia vera, e credo sia proprio per questo che alla fine ci sia scritto "frutto di invenzione". Complimenti!


NEW YORK ENCOUNTER /2

Chesterton, il «sismografo dell’umano»

di Peter Stockland
18/01/2013 - Sabato 19 gennaio la kermesse americana ospita Ian Boyd. Monaco basiliano e docente di inglese, per lui l'autore londinese ha ancora molto da dirci: «Viviamo in un’epoca in cui le sue profezie si sono avverate»...


Cresciuto in una casa piena zeppa di libri di Chesterton, nelle pianure canadesi che sono la quintessenza dello spirito chestertoniano, Ian Boyd (che sarà ospite del prossimo New York Encounter) rivela le ragioni alla base del lavoro accademico di tutta una vita. Non la nostalgia o un revival storico, ma l’assoluta contemporaneità di un brillante autore, che come un “sismografo dell’umano” ci aiuta a giudicare la cultura del nostro tempo.

Nel suo divertentissimo saggio Dello stare coricati a letto, Gilbert Keith Chesterton esalta la sfida meccanica e domestica legata al tentativo di disegnare sul soffitto di una stanza, stando coricati su un materasso.
Una lunga matita o una scopa con un manico estensibile, con le setole piene di vernice, potrebbe fare al caso, suggerisce ironicamente l’autore, anche se ciascuna delle due ha i suoi inconvenienti. Proseguendo la sua esposizione, tuttavia, Chesterton sposta l’obiettivo, passando da un divertimento artistico a una meditazione sulla prospettiva, la creazione e la libertà. «Senza dubbio solo per il motivo che si trovava intento all’antica e onorevole occupazione di stare coricato a letto col naso in aria, Michelangelo comprese come il soffitto della Cappella Sistina potesse venire trasformato nella paurosa imitazione di un dramma che si poteva rappresentare soltanto nel cielo», scrive Chesterton.
Anche padre Ian Boyd ebbe probabilmente una potente intuizione del genere quando qualche decennio fa intraprese l’avventura di delineare la vita, l’opera e la concezione di Chesterton, non semplicemente sul soffitto di una camera da letto o sulla volta di una chiesa, ma in lungo e in largo per il mondo e per il tempo. Il progetto, partito da un villaggio rurale nel nordovest del Saskatchewan, è arrivato fino ad Aberdeen, sulla costa nordorientale della Scozia, per approdare infine alla Seton Hall University a South Orange, New Jersey.
Ancora più impressionante della sua estensione geografica, è l’impegno dimostrato da padre Boyd nel presentare la figura di Chesterton, morto nel 1936, come uno scrittore, pensatore e cattolico neoconvertito, profeticamente contemporaneo. «Non credo che [leggere] Chesterton sia solo un’esperienza letteraria, come cercare di riportare in vita un nostalgico interesse letterario per una qualche figura edoardiana», afferma padre Boyd.
«Gli ammonimenti di Chesterton sul tema della cultura devono essere sembrati farneticanti al tempo in cui scriveva. Ma noi viviamo in un’epoca in cui queste profezie si sono avverate, perciò ora siamo in grado di constatare nella realtà quanto fossero sagge le sue parole. Siamo noi i suoi veri lettori, il suo vero pubblico».

I partecipanti al New York Encounter avranno la possibilità di apprezzare questa realtà sabato 19 gennaio, quando padre Boyd presenterà una tavola rotonda e una serie di letture sotto il titolo "La libertà in G.K. Chesterton".
Monaco basiliano e docente di inglese, padre Boyd si dedica fin dal 1974 a fornire materiali ai chestertoniani, in qualità di direttore di The Chesterton Review e, più recentemente, come presidente del G.K. Chesterton Institute for Faith and Culture con sede a Seton Hall.
Per quasi quarant'anni è stato parte integrante della "piccola comunità" di studiosi e scrittori che collega gli appassionati chestertoniani anglofoni al paffuto giornalista londinese che nacque in epoca vittoriana, divenne famoso come edoardiano e insistette per tutta la vita sul fatto di essere un medievalista, non un moderno. Dal 2006 a oggi l'interesse per Chesterton, per la Rivista e l'Istituto è cresciuto a tal punto che oggi la pubblicazione esce anche in francese, italiano, spagnolo e portoghese.
Questo lavoro può apparire così lontano da essere totalmente estraneo alle origini di padre Boyd, nato nella cittadina di Blaine Lake, Saskatchewan, nelle praterie canadesi.

Egli infatti è cresciuto in un ambito familiare traboccante di scritti di Chesterton, compresi i numeri arretrati di G.K.'s Weekly. Suo padre era stato un avido lettore di Chesterton fin dagli anni Venti. Fu l'incontro negli anni giovanili con i racconti polizieschi di Padre Brown a indirizzare in parte il futuro padre Boyd verso la sua tesi di dottorato su Chesterton alla Aberdeen University in Scozia, fino ad arrivare alla pubblicazione di un libro sui racconti di Chesterton.
«L'altra componente stava nel fatto che crescere nelle pianure canadesi era come crescere in un ambiente chestertoniano. Dove sono cresciuto, nel mio villaggio e nei dintorni, la gente lavorava la propria terra o comunque lavorava in proprio. Era il tipo di società di cui parlava Chesterton. Era il sogno del distributismo, in un certo senso».
Il distributismo, chiaramente, è il sistema economico caldeggiato da Chesterton e dal suo grande amico Hilaire Belloc che si riaggancia all'enciclica papale di Leone XIII Rerum Novarum, del 1891, e rinvigorirà negli anni Trenta con la Quadragesimo Anno di Pio XI. Secondo questa teoria, tra le devastazioni del capitalismo e l'oppressione collettiva del socialismo esiste una alternativa che si affida al primato della proprietà privata nelle mani di piccoli proprietari che vivono secondo i principi della sussidiarietà.
Essendo cresciuto in un luogo e in un tempo in cui il distributismo era nativo e strutturale, non formalmente economico e teorico, padre Boyd rimase naturalmente affascinato dalla sensibilità di Chesterton verso il potere dei macrosistemi di deformare la vita dell’uomo.
«Chesterton comprendeva che le strutture sono importanti perché gran parte della gente mutua il proprio modo di pensare e di comportarsi dalla cultura in cui è immersa. Se la cultura diventa tossica, si troveranno delle persone che, sebbene quarant’anni prima non si sarebbero nemmeno lontanamente sognate di approvare l’aborto, ora invece sono diventate improvvisamente incapaci di vedere cosa ci sia di sbagliato. Non sono loro a essere peggiorate, ma la cultura».
A partire da questa coscienza Chesterton ammoniva affermando che i totalitarismi non rappresentavano una minaccia per il fiorire dell’umanità tanto grave quanto gli attacchi contro la moralità tradizionale, in particolare in campo sessuale.
«Sempre Chesterton ammoniva che punto centrale di tutto ciò sarebbe stato Manhattan, e non Mosca. Era come un sismografo dell’umano, capace di percepire i boati premonitori».

Come risulta con tutta evidenza dagli scritti di Chesterton, egli era «un sismografo dell’umano» che non perdette mai il dono divino dell’ironia, anche quando aveva a che fare con le assurdità kafkiane del suo tempo.
«Kafka stesso, dopo aver letto L’uomo che fu giovedì,disse che non sapeva chi fosse Chesterton, ma che "è una persona così felice da farti quasi credere che abbia trovato Dio"», riporta padre Boyd.
«È questo che Chesterton intendeva quando parlava di principio sacramentale: i migliori insegnanti di religione non parlano della religione, ma semplicemente insegnano alle persone come scoprire Dio nella parte della loro vita che fino ad allora avevano considerato profana. Sua moglie Frances una volta gli chiese perché non scrivesse di più su Dio, e lui le spiegò che non aveva mai scritto di nient'altro».
Avendo trascorso decenni a leggere, rileggere, studiare, insegnare e diffondere le parole di Chesterton, ciò che padre Boyd ammira di più nel suo autore è la sua incontenibile allegria e la speranza, e lo paragona sotto questo aspetto al poeta Charles Péguy.«Come Péguy, anch’egli non smette di insegnare alla gente l’importanza della speranza. Nella sua ultima trasmissione radio alla Bbc ribadì la sua convinzione che la gente dovrebbe essere un po’ più allegra, che dovrebbe imparare a essere felice nei momenti tranquilli in cui si ricorda di essere viva».

È questo il richiamo di Chesterton – ricorda padre Boyd – che ha portato migliaia di persone a seguirlo oltre la soglia della Chiesa, o a farvi ritorno. Persino molti cristiani evangelici hanno trovato in Chesterton un compagno che rende accessibile la dottrina cattolica. Si tratta dunque di una "evangelizzazione invisibile", che conduce alla libertà ultima della fede, ed è radicata, soprattutto, nella saggezza pratica e creativa al tempo stesso di questa fede.
Chesterton ammoniva, per esempio, che mentre è fantastico buttarsi in un’amaca lasciandosi andare a un divino rilassamento, è anche prudente pregare che i costruttori dell’amaca non l’abbiano prodotta mentre si trovavano nel medesimo stato di divino rilassamento.
Analogamente, verso la fine di Dello stare coricati a letto l’autore ricorda che il modo di alzarsi o restare a letto implica un saggio ricorso a una libertà piena di fede, non solo agli imperativi moralizzanti del giorno. «Gli avari si alzano la mattina presto, e i ladri, mi si dice, si alzano addirittura la sera prima», scrive Chesterton.
«Il maggior pericolo della nostra società sta nel fatto che il suo meccanismo diventi più rigido mentre ne diventa più elastico lo spirito».

Diventa più elastico, forse, ma non potrà mai essere sopraffatto finché esisterà un Chesterton a cui attingere, ed esponenti di "piccole comunità" come padre Ian Boyd impegnati a mostrarcelo.


giovedì 17 gennaio 2013

PER CASO?

AMATA PER CASO; Stefano Zecchi, Mondadori
"Cos'è un poeta?"
"E' chi descrive con parole semplici quello che hai davanti agli occhi e non sei mai riuscita a vedere; ti fa capire, con la bellezza di un verso, sentimenti che provi ma non sai esprimere; ti apre il cuore alla speranza quando credi che non ci sia più nulla in cui sperare." 
"Allora i poeti sono le persone più importanti del mondo?"
"Quelli bravi, che sono pochi. Gli altri fanno giochi di prestigio con le parole, ma sono noiosi: i miei giochi di prestigio sono molto più divertenti...."

IL LIBRO
Storia di un abbandono raccontato non dalla protagonista, una bambina indiana adottata da una coppia di Milano, ma dal professore confidente. E' un bel romanzo e non so quanto ci sia di autentico. Sicuramente è un'adozione non recente. Lo si capisce dal fatto che solo il futuro papà italiano va in India, senza consorte, e da tutta la problematica sul colore della pelle, che a Milano, oggi, non è più così strano. Nella mia scuola primaria ci sono bambini di tutti i colori ma i compagni non se ne accorgono nemmeno. Il fenomeno potrebbe diventare una difficoltà nelle età maggiori, quando l'appartenenza ad un gruppo diventa determinante. Mi ha fatto riflettere molto il fatto che la bambina prenda coscienza della sua "miseria", non solo in senso materiale ma anche di affetti, di stabilità, ecc. ..., proprio quando viene adottata. Uno è portato a pensare che quel momento, pur dentro parecchi ostacoli, sia la fine dei problemi, invece diventa l'inizio. L'adozione è un grande atto di coraggio sia da parte del figlio, che viene completamente sradicato dal suo passato, sia da parte della coppia, che decide di amare lo "scarto" di qualcun altro. Provare per credere!

POESIA
Una sera alla settimana sono volontaria ad un corso di italiano per stranieri. Queste sono due poesie che il mio gruppo (livello avanzato) ha prodotto come augurio per l'anno nuovo. 

ABBIAMO UN DESIDERIO:
VOGLIAMO CHE LA CRISI SPARISCA
E TUTTI I PENSIERI CATTIVI,
CHE TUTTI ABBIANO UN TETTO
E NON MANCHI IL CIBO SULLA TAVOLA,
CHE I GOVERNI DI TUTTO IL MONDO
SI METTANO D'ACCORDO FRA LORO
PERCHE' NON SPARISCA IL VALORE DELL'EDUCAZIONE
(SOPRATTUTTO DEI BAMBINI CHE SONO IL FUTURO)
E DELLA SALUTE PER TUTTI.



IN QUESTO MONDO ABBIAMO DIMENTICATO DIO,
ABBIAMO PERSO LA META,
NEL MONDO MODERNO ABBIAMO PERSO LA VERITA',
CONOSCIAMO LA VERITA' MA LE GIRIAMO LE SPALLE,
SIAMO OCCUPATI NELLE COSE MATERIALI, 
CI SIAMO DIMENTICATI DI RESPIRARE.