venerdì 27 luglio 2012

CULTURA BRITANNICA

C'E' MA NON SI, Ali Smith, Feltrinelli
Il ragazzo faceva parte della Gioventù hitleriana, dice, e un giorno stava leggendo un libro, e questo libro gli piaceva veramente tanto, e  a un certo punto il suo caposquadra lo sorprende a leggere e lo ammonì severamente perchè il libro era di un, uno scrittore ebreo, che era stato messo al bando. Al ragazzo non andava proprio giù che quel bellissimo libro che stava leggendo fosse vietato - che fosse il genere sbagliato di libro, il genere sbagliato di arte, in un certo senso, scritto dal genere sbagliato di scrittore - e quindi cominciò a riflettere e a fare domande su quello che stava accadendo, e poi, lui e sua sorella, Sophie Scholl, si chiamavano Scholl di cognome, si impegnarono in un'opera eccezionale: cercare di cambiare le cose, far sì che la gente avesse la possibilità di pensare, pensare in modo diverso, intendo. Loro reagirono e cambiarono  veramente le cose. Fecero un sacco di bene prima di essere arrestati.

IL LIBRO
Una storia assurda, nel senso kafkiano del termine, raccontata in modo stupendo e da leggere piacevolmente. Si intrecciano fatti storici, culturali, umorismo, stupore infantile e modi di essere, tutti molto British. Dalle conversazioni a tavola pianificate con precisione, dai bambini che si devono vedere ma non sentire, dalle situazioni politicamente corrette, da un mondo che cambia l'autrice attinge e mescola, lascia riposare e porta a ebollizione. Ottimo lavoro, Ali Smith.

Il silenzio degli occhi

Pigi Colognesi


mercoledì 25 luglio 2012

Siamo tutti abbastanza convinti che viviamo troppo assediati dal rumore. I medici mettono in guardia dal pericolo di cuffiette e auricolari che ci invadono inesorabilmente di parole e musica; gli educatori osservano con un po’ di sgomento l’incapacità totale dei ragazzi a tacere anche solo per qualche secondo; in casa, in macchina, in stazione o all’aeroporto c’è sempre acceso qualche aggeggio che inonda i nostri timpani; persino dei toni della conversazione o del dibattito politico e culturale si dice spesso, per documentarne l’insignificanza, che è «urlato», cioè insopportabilmente rumoroso e privo di silenzio, quindi di profondità.
C’è però da rilevare un’altra e forse ancora più pericolosa assenza di silenzio: quella degli occhi. Da quando li apriamo al mattino fino a quando li chiudiamo prima di dormire essi sono «costretti» a vedere, a prendere atto di quello che ci circonda. È questo, ovviamente, è un grande vantaggio, è il principale strumento attraverso cui la nostra ragione si rende conto di quello che c’è, è la strada maestra del rapporto tra la realtà e la nostra coscienza. Eppure ho l’impressione che ormai ci stiamo abituando a sovraccaricarli in modo indebito e dannoso. Quando vado al lavoro, in macchina o coi mezzi pubblici, non c’è istante in cui la mia vista non si imbatta in una forte sollecitazione visiva, ad esempio i cartelloni pubblicitari o i monitor alle fermate del metro. Quando sono davanti al pc, con un semplice click posso vedere filmati degli scontri a Damasco, di un concerto, di un dibattito alla Camera, di una prestazione sportiva oppure le immagini di un qualsiasi museo, di una città vista dal satellite, di una modella in vacanza. Non parliamo poi della sterminata offerta di filmati che si possono raggiungere con un telecomando o sforzando gli occhi sullo smartphone. Insomma, le nostre possibilità visive si sono espanse in maniera smisurata, eccedente la capacità stessa di far tesoro di quelle immagini, di lasciarle depositare nella memoria, di rifletterci.
Assecondare questo bombardamento non è indolore perché ci impedisce, appunto, quello spazio di silenzio necessario perché ciò che vediamo sia vagliato e diventi quindi significativo. 

 Qualche sera fa ero a cena da amici; ad un certo punto ho preso in braccio il loro figlioletto di un anno e l’ho portato sul balcone a vedere il tramonto. Non voleva più venir via, col dito continuava ad indicare quel cielo rosso e i suoi occhi erano letteralmente incantati dallo spettacolo. È esattamente lo spazio di questo incanto che stiamo perdendo. Si dice, infatti, che viviamo nell’epoca del disincanto, quella in cui non ci si meraviglia più dell’esserci delle cose, né si crede più che esse rimandino ad un misterioso oltre. Ma l’incanto non è l’incantesimo. Questo è un inganno prodotto per bassi scopi, quello è l’autentico spazio della conoscenza. Anzi, sono proprio le miriadi di immagini forsennatamente introdotte nel nostro orizzonte visivo che producono l’incantesimo di una sostanziale cecità. Certo, per fare silenzio degli occhi non posso certo vivere tenendoli chiusi; ma forse l’imminente vacanza potrà fornire occasione per fermarsi un poco di più su un paesaggio senza distogliercene subito e passare ad altro, per tornare ad essere aperti ed autenticamente curiosi come quando avevamo un anno.

sabato 14 luglio 2012

Bisogno di famiglia

UN GIORNO COME TANTI, Joyce Maynard, Piemme
Il fatto era che in quella famiglia l'atmosfera sembrava sempre tanto allegra e intima. Tra tutte le case presenti nei diorami del museo Come vive la gente, era in quella che mi sarebbe piaciuto tornare. Naturalmente, quello che dicevano non si sentiva, ma non ce n'era bisogno per sapere che funzionava tutto a meraviglia, in quella cucina. La conversazione non doveva essere certo la fine del mondo (Com'è andata la giornata, tesoro? bene, e a te?), ma l'impressione trasmessa dall'atmosfera intorno a quel tavolo - la luce gialla soffusa, i volti che annuivano, il modo ce aveva la donna di toccare il braccio dell'uomo, il modo in cui ridevano quando il figlio agitava in aria il cucchiaio - era che in quel momento non volessero trovarsi in nessun altro posto che in quello, in compagnia di nessun altro se non di loro stessi.

IL LIBRO
Ricorda un po' I ponti di Madison County, forse come ambiente isolato in cui ogni famiglia è un mondo a sè, anche se a dire la verità, qui la famiglia è un po' assente o, forse, è il bisogno di essa che fa da protagonista nella storia. C'è una grande domanda di amore: filiale, genitoriale, coniugale, di amicizia. E un gran desiderio di generare, anche nel senso fisico. Non conoscevo l'autrice, che sul web ha un viso molto simpatico. Solo a titolo di gossip sembra che a diciotto anni ebbe una relazione con Salinger e che due abbia adottato due sorelle dall'Etiopia ma che l'adozione sia durata solo due anni.

Un calcio all'Associazione patriottica: il vescovo di Shanghai profeta ed eroe
di Bernardo Cervellera

Mons. Ma Daqin, che ha rifiutato l'imposizione delle mani da un vescovo scomunicato e si è dimesso dall'Associazione patriottica rivendica la libertà religiosa che la costituzione cinese garantisce, ma i regolamenti sulle religioni la tradiscono. Il rifiuto dell'Associazione patriottica ha motivi teologici (l'Ap è "incompatibile con la dottrina cattolica"), ma anche pastorali e sociali. Per mesi i pastori sono tenuti lontano dalle loro diocesi, portati a banchettare a spese del governo, mentre i loro fedeli devono combattere con la povertà. I vescovi "opportunisti" come sale scipito. Il valore dei fedeli laici per la riconciliazione con il papa.



Città del Vaticano (AsiaNews) - Un profeta e un eroe: così molti cattolici cinesi - e noi con loro - definiscono i primi passi del neoeletto vescovo ausiliare di Shanghai, mons. Taddeo Ma Daqin. In un solo giorno, quello della sua consacrazione il 7 luglio, egli ha rifiutato l'imposizione delle mani da un vescovo scomunicato; non ha bevuto allo stesso calice del vescovo illecito; si è dimesso pubblicamente dall'Associazione patriottica (Ap), ritenendola un ostacolo al suo "lavoro pastorale e di evangelizzazione".
L'Ufficio affari religiosi non ha gradito questo calcio ben assestato e lo ha confinato agli arresti domiciliari nel seminario di Sheshan, costretto a "riposare".
Nel compiere questi gesti mons. Ma ha semplicemente rivendicato la libertà religiosa per il suo impegno episcopale, un principio che pure la costituzione cinese difende. Solo che accanto alla costituzione vi sono regolamenti provinciali e nazionali che sottomettono la vita delle comunità cristiane e i loro pastori a controlli, minacce, adulazioni, corruzioni, frenando l'impegno di evangelizzazione.
Con i suoi gesti mons. Ma ha anche affermato che l'ordinazione di un pastore non è una questione politica che debba essere manipolata dal potere, ma un gesto religioso in cui il papa e le sue indicazioni sono da rispettare per amore della verità.
Da questo punto di vista, mons. Ma ha compiuto la scelta che da decenni vivono sulla loro pelle le comunità e i vescovi della Chiesa non ufficiale (sotterranea) che in nome della salvaguardia della libertà di evangelizzare, rischiano prigione, sequestri, isolamento, emarginazione.
Egli è però un eroe perché l'inquinamento della politica nella vita della Chiesa cinese era giunta a livelli di guardia. Dopo la Lettera di Benedetto XVI ai cattolici cinesi -  in cui il pontefice dichiara "incompatibile con la dottrina cattolica" i principi su cui si fonda l'Associazione patriottica (costruire una Chiesa indipendente dalla Santa Sede) -  i capi dell'Associazione hanno lanciato una vera e propria campagna per difendere la loro esistenza. Davanti a vescovi che sempre più si dichiaravano fedeli al papa, essi hanno cominciato a scegliere vescovi facili al compromesso col Partito, impegnati in politica, rappresentanti governativi. Alle ordinazioni episcopali volute dal papa essi hanno preteso la partecipazione di vescovi scomunicati; alle ordinazioni illecite - non volute dal papa - hanno preteso di far partecipare con la forza vescovi in comunione col pontefice. Tutto questo per affermare che la patente di ortodossia o di liceità non la dà il papa romano, ma i segretari e i presidenti dell'Associazione patriottica.
Davanti a questa melma di ambiguità e di equivoci, si è levato in modo profetico il gesto di Ma Daqin, come "un raggio di sole sotto un cielo nuvoloso".
Mons. Ma è il primo vescovo ufficiale che si dimette dall'Ap e molti cattolici cinesi sperano che a lui seguiranno altri.
Del resto, appartenere all'Ap è divenuto ormai controproducente proprio per motivi religiosi. Anzitutto per la questione ideologico-teologica: una Chiesa separata dal papa non è la Chiesa cattolica, ma una ennesima chiesa protestante che rischia - come si è verificato tante volte nella storia - di diventare una setta che si svuota sempre più del suo carattere spirituale e che sopravvive solo per il benvolere del potere politico.
Appartenere all'Ap è anche un ostacolo al lavoro pastorale: i vescovi sono obbligati di continuo a viaggiare, a presenziare congressi e aggiornamenti, stando lontani mesi e mesi dalle loro diocesi per sentire vacue e noiose teorie sul controllo delle religioni, sul potere benevolo dell'Associazione, costretti ad esprimere "profonda gratitudine" al dio-Associazione che li fa vivere. Quando sono in diocesi, ogni loro incontro, o rapporto personale è vistato, verificato, registrato, permesso o cancellato dall'Ap.
Essere un puntello dell'Ap è divenuto anche imbarazzante dal punto di vista sociale. Mentre il popolo cinese soffre per una crisi economica profonda, con un'inflazione che rende difficile poter mangiare tutti i giorni, i segretari e i presidenti dell'Ap sono famosi per il loro spendere e spandere a carico del governo e delle diocesi, in hotel di lusso, con banchetti fino a 24 portate, con piatti ricercati e raffinati, mentre nelle diocesi, soprattutto quelle di campagna, si combatte per portare l'acqua potabile o garantire un minimo di cure mediche ai poveri.
Una statistica dello stesso governo denuncia che ogni anno i membri del Partito spendono in banchetti circa 31,5 miliardi di euro, una somma capace di sfamare per un anno intero almeno un centinaio di milioni di persone. Di fronte a una simile corruzione del potere politico, è anche conveniente per i vescovi separarsi e vivere la loro missione mettendosi dalla parte di Cristo e dei poveri.
La decisione profetica di mons. Ma è destinata a fare storia. È probabile però che qualche vescovo rimanga attaccato all'Ap. Da questa essi ricevono auto blu, nuovi palazzi episcopali, denaro, notorietà, ossequi: sono i famosi vescovi "opportunisti" dei quali ha parlato una volta Benedetto XVI. Temiamo che questi siano solo "sale scipito" che non serve ad altro che ad essere calpestato.
Vale la pena ricordare che già ora molti fedeli premono sui loro vescovi perché vivano più il loro ministero episcopale, che il loro ruolo politico. Negli anni dopo Mao Zedong, sono stati i fedeli laici a costringere molti vescovi timorosi a contattare la Santa Sede per ricongiungersi - dopo decenni di ambiguità - all'unica Chiesa cattolica. Anche oggi i fedeli laici dimostrano la loro fede e il loro amore a Cristo e ai vescovi disertando le messe dove sono presenti pastori illeciti e trasmigrano in altre diocesi fedelmente legate al legame spirituale con Benedetto XVI.

giovedì 5 luglio 2012

Seconda stella a destra

TUTTI I BAMBINI TRANNE UNO, Philippe Forest, Rizzoli
Qualcuno era vivo. Poi non c'è più niente. La vita si è ritirata. Quello che resta sul letto non è più la bambina. L'agonia era ancora la vita, poi qualcosa è accaduto. La morte è la verità dell'istante. Penetra il tempo, lo avvolge. Diventa il tempo. Nell'impercettibile e continuato accumulo dei secondi ce n'è uno in disparte che dà nome a tutti i rimanenti. Il futuro non scivolerà più nella chiusa del presente per diventare passato. Il presente non sposterà più in avanti la sua eterna frontiera che assorbe l'essere. Il "prima" e il "dopo" si fronteggiano. Sono due blocchi di pura trasparenza immobile. Qualcuno era. Qualcuno non sarà più. Tutto sarò scomparso. Perchè l'assenza futura e la presenza passata saranno due fantasmi ugualmente intangibili, irreali, una volta scomparso colui che era. Il tempo non è diviso. Ognuno vive nell'assoluto di un tempo singolare. La morte abolisce questo assoluto. Nel momento della fine, la coscienza smette di essere e crea un bianco dove tutto si cancella.

IL LIBRO
Poetico e commovente. L'autore, insegnante universitario che ha pubblicato saggi sulla propria materia, si ritrova a diventare scrittore, suo malgrado: muore la sua bimba di quattro anni di un cancro osseo scoperto l'anno prima. Scrivere diventa il modo di tenerla a sè vicina. E' un libro molto bello, nessuno vorrebbe vestire i panni dell'autore ma tutti ci immedesimiamo in lui e nel suo dolore, tirando un sospiro di sollievo perchè non tocca a noi. Non è una storia tragica, anche se di tragedia si tratta, ci sono tratti in cui si apprezzano le parole usate e i paragoni letterari utilizzati, primo tra tutti Peter Pan. La moglie-mamma si intravede, i nonni ci sono ma non compaiono: non è la vicenda triste ad essere la protagonista ma il rapporto tra un padre e una figlia che non c'è più.  Condivisibile e vero quando, concludendo, dice che la vorrebbe ancora con sè, anche malata perchè "il lungo anno in cui morì nostra figlia fu il più bello della mia vita. Ci auguravamo che non finisse mai, che durasse un secolo o due almeno." Commovente anche questo passo:
  
"Forse qualcuno passerà le sue dita nel segno che lascio. Ma non saprà niente di me. Io non ci sarò più. Sarò stato. Tutti i libri si scrivono al futuro anteriore; dicono: sarò stato. Sotto quel cielo e sotto questa luce, dentro quest' ombra, con questa mano nella mia e con quest'altra. Mi sarò fermato un istante nell'ombra che ingoia la carne e avrò passato la mano su quel corpo, tra quei capelli, su quella fronte. I miei occhi avranno visto quegli occhi prima che si chiudessero. La mia voce avrà detto queste parole vibranti nel vuoto. Scrivo con modestia e sufficienza, sapienza e ingenuità, come i bambini che si confidano a scuola al legno del proprio banco, che tormentano di sigle e graffiti i muri presto riverniciati delle loro città, che posano la manina con le dita allargate nel gesso o nella creta.

domenica 1 luglio 2012

Speranza?

CATTIVE COMPAGNIE, Ruth Newman, Garzanti
Nonostante tutti gli avvertimenti che mi ero data da sola, mi ero lasciata convincere che forse quello della foto era Charlie: Come avevo potuto essere tanto stupida? Tutti quelli che considerano la speranza una virtù non fanno altro che prendersi in giro: la speranza non è che una maledizione.

IL LIBRO
Un giallo al femminile: troppo, una specie di Bridget Jones versione thriller. Le mie estati sono piene di libri simili ma la richiesta è l'originalità nel quotidiano, senza effetti speciali, violenza e sangue. Qui gli ingredienti ci sono tutti e in effetti la storia si lascia leggere e spinge ad arrivare alla fine. La trama però è scialba, i personaggi irreali o troppo simili ad attori di film. Pietra angolare di tutto il libro è un amore che arriva al matrimonio (ovviamente a Las Vegas) dopo solo tre giorni di conoscenza: un po' troppo adolescenziale per i miei gusti. So quanto è difficile venire pubblicati (non che io ci abbia mai provato) e, sicuramente in Gran Bretagna si legge di più per cui si hanno molte più possibilità, inoltre l'autrice ha i suoi "intrallazzi" a Cambridge, il che non guasta. Sono certa, però, che come giovane emergente con me non avrebbe passato l'esame per la banalità della storia. 


 La speranza cristiana secondo il cardinale John HenryNewman
"Perché temete?", disse Gesù ai suoi discepoli. Newman sviluppa e rende più attuale questa domanda: "Dovreste sperare, dovreste essere fiduciosi, dovreste porre i vostri cuori in me. La tempesta non può farvi del male se io sono con voi. Potreste stare meglio altrove che sotto la mia protezione?". La speranza cristiana trascende tutti gli ideali del mondo, tutti i desideri umani. È una virtù divina. La fiducia in Cristo è la sua sicura áncora e il suo solido fondamento. "Guardate in alto, e vedete, come è naturale, una grande montagna da scalare; dite: è mai possibile che noi possiamo trovare un sentiero in mezzo a questi enormi ostacoli? Non dite così, miei cari fratelli, guardate in alto con speranza, fidatevi di Lui che vi chiama a proseguire". Vigilate e pregate La speranza non impedisce al fedele di compiere i suoi doveri terreni, ma, al contrario, lo sollecita ad assumersi le sue responsabilità qui e ora. Il fedele cerca in ogni tempo e in ogni cosa la volontà di Dio e il bene degli uomini nei quali riconosce il volto del Signore. Egli vive in una grande vigilanza. "Non dobbiamo semplicemente credere, ma vigilare; non semplicemente amare, ma vigilare; non semplicemente obbedire, ma vigilare. Vigilare per cosa? Per quel grande evento che è la venuta di Cristo". Per venuta di Cristo Newman intende non tanto il ritorno del Signore nell'ultimo giorno, quanto anche la sua venuta negli eventi della vita quotidiana. "Veglia per Cristo chi ha una mente sensibile, premurosa, sollecita, ricettiva; chi è desto, consapevole, con un pronto discernimento, zelante nel cercare e onorare il Signore; attento a vederlo in tutto quanto avviene, e che non sarebbe sorpreso, non oltremodo turbato o sopraffatto, se si rendesse conto che sta venendo immediatamente". Oltre alla vigilanza Newman vede la preghiera come la realizzazione concreta della speranza cristiana. La preghiera esprime e fortifica la speranza in mezzo alle fatiche della vita. "Così il vero cristiano passa attraverso il velo di questo mondo e vede il mondo futuro. Si intrattiene con esso; si rivolge a Dio come un bambino si rivolgerebbe ai genitori, con la stessa chiara percezione e incondizionata fiducia in Lui; con profonda devozione, certamente, e sacro e riverenziale timore di Dio, ma anche con sicurezza e lucidità, come esprime bene san Paolo: "So in chi ho creduto"".