giovedì 22 dicembre 2011

COSA RESTERA' DI NOI


LA CITTA' DEI RAGAZZI, Eraldo Affinati, Mondadori
I ragazzi mi guardarono in faccia aspettando la mia replica. "Perchè dovrei?" esclamai, parlando a nuora nella speranza che suocera intendesse, "io conosco la ragione perchè lui bestemmia." Tutta la classe pendeva dalle mie labbra mentre Peppino restava imbambolato senza fiatare. Sentivo il peso della responsabilità gravarmi addosso, ma era un bel carico, una soma che trascinavo volentieri. E continuai sicuro. "Lui crede che Dio lo odi. Ne è talmente convinto che nessuno di voi potrebbe fargli cambiare idea. Ammesso e non concesso che esista davvero, perchè gli avrebbe dato tutti questi problemi da risolvere? A lui più di altri, questo è sicuro, lo ammetterete." Peppino, accanto alla finestra, mi guardava come da un oltre. Dove sei? avrei voluto chiedergli. Tornava giù insieme a noi. Ma anche Ibrahim, Stefan, Javid, Nabi, Sharif e Michail non erano da meno. Tutti soppesavano, dentro di loro, i pro e i contro della tesi che stavo enunciando. Le teste lavoravano. Le intuizioni scattavano. Decine di immagini avranno bombardato, in quei secondi interminabili, le percezioni dei miei alunni. Ognuno calibrava su di sè il ragionamento: prendeva posizione, uscendo allo scoperto di fronte a se stesso. Sarebbe stato inutile che in quel momento avessi aggiunto: "E invece io vi dico che Dio gli sta vicino. Contrariamente a quello che il nostro amico pensa, gli vuole bene. Non lo abbandonerà mai!" Non c'era bisogno che lo affermassi io. Lo stavano già facendo loro. E forse, chissà, anche Peppino.
IL LIBRO

Non sapevo esistesse a Roma una città dei ragazzi. Fondata dal prete inglese John Patrick Carroll-Abbing per aiutare gli orfani della Seconda Guerra Mondiale, è sopravvissuta nonostante lo sviluppo economico o, forse, proprio grazie a questo. Ora ospita i minori non accompagnati provenienti dalle parti più sofferenti del mondo e, benchè i ragazzi frequentino le scuole dell'obbligo esterne, ha al suo interno diversi corsi professionali dove insegna a
nche l'autore del libro. Belli i costanti paralleli tra i ragazzi e il padre dello scrittore, rimasto orfano molto giovane e belli anche i rapporti che l'insegnante costruisce con i suoi allievi, arrivando anche ad accompagnarli nei loro paesi di origine. Il legame tra professore e allievi è quello di una paternità che osserva con distacco, lasciando liberi i ragazzi. Bello anche il fatto che la programmazione didattica miri alto, si è davvero interessati al futuro di questi ragazzi, si cerca di dare loro più strumenti possibili. Belle anche le parole finali: "Quello che accade in aula produce effetti indelebili. E' la potenza dell'insegnamento".

UN CUORE FERITO
Lorenzo Albacete
mercoledì 21 dicembre 2011


Christopher Hitchens, scrittore, critico sociale, giornalista, editorialista e ateo "straordinario" è morto per un cancro sabato scorso allo Houston Hospice. Aveva 62 anni. È morto con dignità, durante il sonno, evitando lo spettacolo che temeva di più: una drammatica conversione pubblica dell'ultimo minuto.
È interessante leggere alcune delle reazioni alla notizia della sua morte. L'esempio che segue è tratto dalla pagina internet "This Week".
«Era un uomo di appetiti insaziabili: per le sigarette, per lo scotch, per la compagnia, per la grande scrittura e, soprattutto, per la conversazione - dice il direttore di Vanity Fair, Graydon Carter -. La sua capacità di essere all'altezza di tutto ciò che lo interessava era il miracolo dell'uomo. Sarebbe molto difficile trovare uno scrittore in grado di produrre la quantità di editoriali, saggi, articoli e libri eccellenti da lui prodotti negli ultimi quarant'anni».
«Come il suo eroe, Orwell, Christopher apprezzava il coraggio al di sopra di ogni altra qualità, in particolare il coraggio richiesto da una risoluta onestà - dice Benjamin Schwarz su The Atlantic -. Questo straordinario intellettuale apprezzava l'intelligenza, ma il coraggio ancor di più, o meglio, pensava che la vera intelligenza non potesse essere separata dal coraggio».
Christopher Buckley scrive sul The New Yorker: «Uno dei nostri pranzi al Café Milano, il Rick's Café (il caffé del film Casablanca, NdE) di Washington, iniziò alla una e finì alle 11,30 di sera. Attorno alle nove (anche se il mio ricordo è un po' vago) disse: "Ordiniamo ancora un po' da mangiare?" Io mi trascinai in qualche modo verso casa, dove rimasi sotto osservazione medica per qualche settimana, nel ghiaccio e con flebo di morfina. Christopher quella sera probabilmente andò a casa e scrisse una biografia di Orwell. La sua energia era epica come la sua erudizione e il suo spirito».
«Addio mio caro amico - scrive il romanziere Salman Rushdie via Twitter -. Una grande voce si ammutolisce. Un grande cuore si ferma».
«Il "migliore oratore del nostro tempo" e un "valoroso combattente contro tutti i tiranni", compreso Dio», afferma lo scrittore Richard Dawkins, ateo dichiarato come Hitchens.
«Ho conosciuto Hitchens solo leggendolo. Nel leggerlo si rimaneva profondamente colpiti, e invidiosi se si era uno scrittore, e a un certo punto ci si arrabbiava profondamente con lui - dice sul Time James Poniewozik -. Hitchens sapeva quando era il caso di preoccuparsi del resto del mondo e quando di fregarsene totalmente, invece, di quanto il mondo pensava di lui. Per uno scrittore, una cosa è essere una persona di principi, e un conto è essere un rompiscatole; è raro essere un rompiscatole con principi, ma Hitchens era proprio questo».
«La religione, ha scritto, è violenta, irrazionale, intollerante, alleata del razzismo, del tribalismo e del fanatismo, piena di ignoranza e ostile alla libera ricerca, disprezza le donne ed è coercitiva verso i bambini - osserva Roy Greenslade sul Guardian -. Se ripenso agli anni '70, lo sento ancora dire questo, con l'aggiunta di molti aggettivi e imprecazioni. Ed è così che voglio ricordarlo».
«Il mondo ha perso uno dei giornalisti più eminenti e prolifici e uno splendido polemista, oratore e bon vivant - afferma George Eaton sul New Statesman -. Nei suoi ultimi anni, a Hitchens piaceva citare una frase della sua defunta madre, che "l'unico peccato imperdonabile è essere noiosi". Oggi, nel rendermi conto che non sentirò più questo vibrante baritono, che la penna di Hitchens è ferma, mi sento sicuro di dire che il mondo è diventato un luogo più noioso».
«Christopher Hitchens era del tutto un esemplare unico, una sorprendente miscela di scrittore, giornalista, polemista e un personaggio unico - ha detto l'ex Primo Ministro inglese Tony Blair -. Era coraggioso nel perseguimento della verità e di ogni causa nella quale credeva. E non vi era nessuna cosa in cui credesse che non sostenesse con passione, impegno e in modo brillante».
Forse si può capire ora perché ben poche persone credenti hanno accettato di dibattere pubblicamente con Hitchens sulla ragionevolezza della fede. Qualche anno fa mi fu chiesto di farlo e, non sapendo che il confronto era con lui, ma pensando a una tavola rotonda, accettai. Quando scoprii che si trattava di un confronto diretto tra me e lui era troppo tardi per cancellare l'incontro, ma anche per prepararlo adeguatamente.
Così, mi preparai semplicemente al martirio.
Quando incontrai Hitchens e lo osservai fare il giro degli ospiti prima del dibattito, mi accorsi che ero la persona sbagliata per discutere con lui, non per la sua intelligenza, cultura e charme, ma perché era un uomo con un cuore così ferito da essere distante solo un passo dall'incontrare Cristo. Ciò di cui aveva bisogno era la Grazia, e questo era qualcosa che io non potevo dargli, essendone anch'io bisognoso in ogni momento della mia vita.
Mi resi conto che tutto quello che potevo fare era di mostrargli che eravamo tutti e due sulla stessa strada, perché anche io non credevo in quel dio che lui attaccava e incoraggiarlo così ad essere fedele alla ferita nel suo cuore e ad amare la libertà che viene dalla Verità.
Dopo lo spettacolo (che deluse sia i favorevoli che i contrari a Dio), decidemmo di incontrarci ancora per discutere in privato della questione, ma non ci siamo più visti.
Ora Christopher (notate il suo nome) è andato e io prego che noi ci si possa incontrare di nuovo quando tutti e due saremo dalla stessa parte eterna del confine tra il bisogno disperato e il viso dell'Amore.

lunedì 12 dicembre 2011

PIU' IN LA'

MANGIA PREGA AMA, Elizabeth Gilbert, Rizzoli
Ho molti amici a New York che non sono religiosi. La maggior parte, direi. Qualcuno si è allontanato dagli insegnamenti spirituali avuti in gioventù, altri non sono mai stati educati nella fede. Naturalmente sono quasi tutti sorpresi o addirittura sconvolti dai miei tentativi di raggiungere la santità. Alcuni mi prendono un po' in giro. Una volta il mio amico Bobby, mentre tentava di aiutarmi a far funzionare il computer, mi ha detto: "Senza offesa ma è - che cosa adorare, chi pregareper la tua aura, ma sei ancora un disastro con il download del software..." Io sto agli scherzi. Mi divertono. Eppure, adesso che cominciano ad invecchiare, riconosco anche nei miei amici il desiderio di avere qualcosa in cui credere. Un desiderio che incontra ingombranti ostacoli, come il loro raziocinio e il loro senso comune, e che però si riaccende con l'esperienza del mondo instabile, scosso e devastato che li circonda e che la loro ragione non riesce a rendere più sicuro. Nella vita tutti affrontiamo grandi prove, gioie e dolori, e queste "megaesperienze" ci fanno sentire il bisogno di un contesto spirituale nel quale poter esternare la nostra sofferta protesta o la nostra gratitudine, o anche solo cercare comprensione. Il problema è - che cosa adorare, chi pregare?

IL LIBRO
La sequenza del titolo, davvero anomala in ordine di importanza, è dovuta alle tre tappe del viaggio dell'autrice
di questa autobiografia: Italia, dove metterà su dodici chili in quattro mesi, India, dove si rifugia in un ritiro spirituale di una guru incontrata in America e Indonesia, dove si innamorerà dando la possibilità alla storia di concludersi con un lieto fine e al libro di aumentare il numero delle lettrici. Alcuni aspetti sono personalmente molto noiosi se uno non ha quel particolare interesse: meditazioni, mantra, yoga...; altri affascinano e si leggono velocissimamente, come la descrizione della sua vita in Italia o nell'isola di Bali. E' difficile, però, credere che questo libro sia stato un bestseller e che Julia Roberts abbia impersonato l'autrice in un film. Probabilmente la sensibilità del pubblico americano è diversa dalla nostra. Due pecche. Una è che non attira la mia simpatia qualcuno che si vanti di non essere mai entrato in un museo nei suoi quattro mesi di permanenza romana, la seconda è che le battute
umoristiche non fanno molto ridere e, forse, nemmeno sorridere, ma forse dipende dalla traduzione.

Lettera a Gesù

Caro Gesù,
dà la salute a Mamma e Papà

un pò di soldi ai poverelli,
porta la pace a tutta la terra,
una casetta a chi non ce l'ha
e ai cattivi un pò di bontà.
E se per me niente ci resta
sarà lo stesso una bella festa.

Mario Lodi