sabato 27 settembre 2008

CONDANNA


Da GRANDI SPERANZE, Charles Dickens, Oscar Mondadori.
A quell'epoca c'era l'abitudine (come appresi dalla terribile esperienza fatta in quella sessione) di dedicare una giornata conclusiva alla lettura di tutte le sentenze, per dare maggior risalto all'effetto finale della sentenza di morte. Ma se non fosse per il quadro indelebile che ho sempre davanti agli occhi, non avrei mai potuto credere, nè lo crederei neanche ora mentre scrivo queste righe, di aver visto trentadue uomini e donne sfilare davanti al giudice e ricevere tutti insieme la stessa condanna. Il primo di questi trentadue esseri, fu lui: era seduto, perchè potesse respirare abbastanza da rimanere in vita.
Tutta la scena mi balza ancora davanti agli occhi, con i vividi colori di quel momento, fusi alle gocce di pioggia contro i vetri delle finestre della corte che luccicavano ai raggi del sole di aprile. Chiusi nella gabbia, al banco degli imputati, mentre io dal fuori continuavo a stare in un angolo, vicino a lui, con la sua mano nella mia, erano trentadue uomini e donne; qualcuno sprezzante, qualcuno in preda al terrore, altri singhiozzavano e paingevano, altri si coprivano il volto, altri ancora si guardavano intorno con aria minacciosa. Si erano levate urla fra le donne ma erano state represse ed erano state seguite da uno zittio. Gli ufficiali giudiziari con le loro pesanti catene e altre civiche cianfrusaglie e mostruosità, i banditori, gli uscieri, una galleria piena zeppa di gente -un grosso pubblico teatrale- tutti erano attenti quando i trentadue e il giudice furono messi a solenne confronto.

IL LIBRO


Nessun commento possibile: è un classico. Tutti i romanzieri, soprattutto anglosassoni, devono riconoscere Dickens come loro padre. I personaggi sono perfetti, anche le figure cameo potrebbero vivere indipendenti dalla storia che li coinvolge. Bellissime le descrizioni di Londra e della vita in Inghilterra in generale a lui contemporanee.

Commento del Gurdasigilli Angelino Alfano alla mostra sulla vita nelle carceri presente al Meeting di Rimini 2008:
Sentire alcuni detenuti dire "da soli non ci si salva, ti aiutano gli amici, ti aiuta la compagnia, ti aiuta un incontro", vuol dire ascoltare un uomo che ha capito non solo che ha sbagliato e dove ha sbagliato, ma anche come si può salvare. Ma ciò che sorprende è vedere come, grazie a queste attività il carcere non sia il luogo dove tutte le speranze muoiono, ma possa essere il luogo dove una persona ricostruisce il proprio io, preparandosi ad una nuova vita.




1 commento:

merins ha detto...

sono stata a quella mostra anch'io e, certo, non era il luogo di una sconfitta o di una disperazione...