sabato 3 marzo 2012

Per la gente del porto

L'AMATORE, Roberto Piumini, Barbera editore
Il fatto che noi, i vivi, quando parliamo dei morti, li commiseriamo. Parliamo come fossimo noi, i viventi, la normalità del creato, la parte che conta, la norma universale. Invece sono i morti il popolo maggiore. Siamo noi, fin quando viviamo, a essere le eccezioni, i profughi. I morti raggiungono la patria immensa, mentre noi siamo esuli nel tempo..."

IL LIBRO


Tre racconti, tre città come una sciarada: la parte citata nel primo si ritrova nell'ultimo e anche del secondo, un episodio è riproposto in un altro dei tre. Forse non è una sciarada ma un sillogismo. Uso spesso le filastrocche o i racconti di Piumini con i bambini, nella scuola primaria è un po' un must. Non lo conoscevo invece come scrittore "serio". Premetto che ho preso il libro dalla biblioteca solo perchè non mi ero accorta che non era un romanzo, altrimenti lo avrei lasciato nello scaffale ma è stato di compagnia sul treno Milano-Venezia. Mi è piaciuto soprattutto il primo racconto che è un po' kafkiano. Forse sono un po' kafkiani tutti e tre, sia nelle ambientazioni che nel periodo a cui sembrano appartenere. Anche l'italiano usata ha un'eleganza che i nostri contemporanei hanno perso.





OMAGGIO A LUCIO DALLA
Alla fine scrissero pure che era entrato nell'Opus Dei (cosa da lui smentita, anche se aveva affermato di stimare S. Josemaria Escrivà, il fondatore dell'Opera). Certo è che Lucio Dalla non è stato solo un grande cantante o un grande intellettuale, era anche un credente (a modo suo cattolico) e lo testimoniava spesso. Ecco che cosa diceva a Giuseppe De Carli, allora capostruttura Rai Vaticano, nel dicembre 2009: "Io giro con il mio rosario da boyscout e, vicino al mio rosario da boyscout, ho una stella di David. I segni rafforzano la convinzione e, soprattutto, credo che un segno così preciso è fondamentale nella nostra comunicazione, da Cristo in poi. Fa parte del nostro DNA, del nostro spirito". E ricordava: "Quando Attila venne a Roma per metterla a saccheggio fu fermato da Papa Leone I che innalzava una croce grandissima. Gli unni si fermarono, memori del fatto che, quando pregavano, piantavano nel terreno le spade con l'elsa a forma di croce. Il simbolo è stato più forte della vendetta e della sete di conquista; ha agito da deterrente. (…) La croce è la nostra cultura e mi piacerebbe che accanto alla croce ci fosse la stella di Davide e - perche' no - la mezzaluna dell'Islam". E ancora: "Sono un uomo fortunato. La vera dinamica dell'uomo è questo processo di maturazione o di semplificazione del proprio "io religioso". Non riesco a capire il fenomeno dell'ateismo, che non vuol dire vivere senza Dio, ma, in modo infantile, non pensarci, o vederlo dall'altra parte del fiume. E invece Dio è talmente dentro di noi. E' una scoperta che possiamo fare tutti e che possiamo vivere nella sua leggerezza (…) Ho anche l'ambizione di dire che qualche volta Cristo, che sento vicino a me più di qualsiasi altra forma, possa anche riposarsi o mettere un orecchio alle cose che faccio (ride) … per migliorarle, eh! … Mica per imparare !".
Gli piaceva molto Giovanni Paolo II, a suo dire "uno fuori dai codici" (per inciso: Bono degli U2 disse di aver visto in Karol Wojtyla "il modo più funky di fare il Papa"), più freddo sui libri teologici di Benedetto XVI (preferiva Vito Mancuso). Si definì vicino agli "Spirituali", un movimento riformatore cattolico del '500 (di cui fece parte anche Michelangelo) che puntava tutto sulla forza della Grazia che Dio manda attraverso la fede. Gli Spirituali dicevano allora cose vicine a quelle dei protestanti e furono aspramente combattuti da Paolo IV. Manna dal cielo, per uno fuori dai codici come Lucio.

Era un credente che votava a sinistra, un po' don Camillo e un po' Peppone. Era figlio in fondo di un'epoca e di un'Italia in cui anche i comunisti più arrabbiati si facevano il segno della Croce di nascosto durante le processioni di paese. Due Italie che apparentemente si guardavano in cagnesco e in qualche modo cercavano di capirsi e collaborare. Dalla avrebbe molto da insegnarci soprattutto adesso, dopo 20 anni di forti contrapposizioni a base di "noi" e "loro". Gli piaceva ad esempio il dialogo interreligioso, pur nel rispetto della propria identità. Forse si può dire di lui che fosse "cattolico" nel senso originario del termine, e cioè universale, capace di accogliere tutti: baciapile, mangiapreti, disperati erotici stomp. Così universale da mettere Gesù Bambino tra tra i ladri e le puttane (poi nella versione censurata il suo divenne un soprannome "per la gente del porto"). Adesso ci gioca a carte e gli dà, come ha sempre fatto, del tu.
Buon viaggio, Lucio.
Antonino D'Anna

domenica 15 gennaio 2012

LA VITA E' UN'AVVENTURA


IL BAMBINO SENZA NOME, Mark Kurzem, Piemme
Se qualcuno mi chiedesse "Che tipo è tuo padre?", trovare una risposta semplice ed esauriente mi sarebbe difficile. Pur avendo trascorsa un'intera vita insieme a lui, non sono mai riuscito a mettere davvero a fuoco la sua personalità: in lui c'è il contadino russo, timido e sempre un po' assorto, con un'aria
che sulle prime ad un estraneo può apparire ingenuità, se non di sprovvedutezza, ma anche l'uomo accorto, socievole incredibilmente pratico.
La sua inattesa comparsa sulla soglia del mio appartamento di Oxford, un pomeriggio di maggio nel 1997, mi lasciò più sconcertato che mai.

IL LIBRO
Splendido, uno dei più belli letti quest'anno. Devo dire che io ho una passione per le storie vere, le storie di famiglia, forse perchè in fondo sono pettegola e ficcanaso e nella vita vera lo nascondo molto bene o forse perchè la vita vera, un'esperienza non si può che condividere e immedesimarcisi. E' una storia di una famiglia australiana, il padre immigrato dalla Lettonia ma dopo una sua personale epopea cominciata a cinque anni che non può che commuovere e affascinare.
Tutti tentiamo di rispondere alla domanda "chi sono io" ma quando non si conoscono le radici, questa domanda diventa un vero dramma. La storia è scritta dal figlio maggiore che ha accompagnato il padre in questa ricerca. Per chi ha visto il film "Ogni cosa è illuminata" e lo ha apprezzato, la trama ha una sua similitudine ma portata all'ennesima potenza. E' il suo primo libro ed è stato subito un bestseller. Io sono convinta che se tutti scrivessimo la storia delle nostre famiglie d'origine, venderemmo di sicuro perchè la vita è davvero un'avventura. Unica pecca è qualche termine nella traduzione: nessuno chiama il cheesecake torta al formaggio! Ricordo quando mio marito chiese in un bar "un caffè irlandese", il barista si mise a ridere! Non tutti i termini lasciati in inglese rovinano la lingua italiana!

NIGERIA

L'anno delle bombe

09/01/2012 - Altre 36 vittime nel giro di due giorni. Il Paese precipita tra attacchi islamici, minacce ai cristiani e rivolte popolari per il rincaro della benzina. Una missionaria, da oltre 25 anni nel Nord a maggioranza musulmana, racconta che cosa sta accadendo

Cari amici,
sono giorni che non riesco ad aprire la posta. Qui stiamo bene, ma non manca la preoccupazione e la tristezza per i fatti che continuano ad accadere. L’anno che è appena finito è stato l’anno delle bombe. E purtroppo sembra iniziarne un altro così.
Dal Natale del 2010, centinaia di persone hanno perso la vita (le fonti ufficiali parlano di oltre 500 vittime; ndr) a causa delle esplosioni e spesso le notizie non hanno raggiunto l’Europa. A Jos (la capitale dello Stato del Plateau, che si trova a metà tra il Sud a maggioranza cristiana, e il Nord a maggioranza musulmano; ndr) le violenze sono provocate da molti fattori: etnici, politici, religiosi… Ma ora il gruppo islamico Boko Haram ha aumentato le violenze, specialmente a Maiduguri, nel Borno, e in altre zone del Nord, in particolare contro chiese cristiane del Nordest: è questa setta estremista islamica che ha messo la bomba nella chiesa vicino ad Abuja, nel giorno di Natale. E la settimana prima, in tre altre città, sono morte circa ottanta persone a causa di bombe e scontri con la polizia. In tante zone sono circolati volantini con i nomi dei luoghi “obiettivi” delle bombe, tra cui cattedrali e chiese, per cui è stato stabilito il coprifuoco.
Ora c’è la minaccia dell’ultimatum contro i cristiani che vivono qui al Nord, come noi: «Hanno tre giorni di tempo per andarsene», ha dichiarato Boko Haram. E questa è una follia, a cui nessuno vuole cedere. La gente vuole lottare per la propria libertà, perché questa è casa loro. Ed è fondamentale che non ci lasciamo determinare dalle loro minacce.
Il governo sembra essere incapace di mettere fine alla violenza di Boko Haram: il gruppo è sponsorizzato da pezzi grossi della politica, che non accettano ci sia un presidente cristiano del Sud a governare la Nigeria. Secondo il loro progetto, la Nigeria dovrebbe essere governata da un presidente musulmano del Nord. Che il gruppo estremista abbia un appoggio politico è fatto noto: nei giorni scorsi, è stato arrestato un senatore proprio per questo motivo, ma è già stato liberato. E l’obiettivo - anche se non è mai stato espresso ufficialmente - è quello di introdurre la sharia in tutto il Paese.
Quattro Stati sono stati dichiarati in stato di emergenza e lì i militari hanno il potere su tutto. Non sappiamo quanto durerà questa situazione. Ma noi dobbiamo vivere e lottare per la nostra libertà. Il clima di tensione incide molto nella vita quotidiana: si vive con la paura delle bombe e le chiese sono prese di mira. A Maiduguri e a Jos, la Messa della notte di Natale è stata celebrata alle cinque del pomeriggio e nei giorni scorsi molte chiese erano circondate da polizia e militari.
Qui nella nostra zona (un villaggio nel Nord del Paese; ndr) per ora non ci sono stati attacchi terroristici, ma tutti siamo all’erta. La gente vigila, anche fisicamente: si mette a fare guardia nei posti e nei momenti pubblici, alle messe. Perché si teme che altri episodi di violenza possano accadere. E si vive in un continuo sospetto, non ci si fida più di nessuno, perché potrebbe appartenere a Boko Haram.
Ad aggravare la situazione, è arrivata la decisione del presidente Goodluck Jonathan di togliere il sussidio per la benzina. Questo significa che il prezzo si è raddoppiato, in certe zone triplicato, in un Paese dove si vive con due dollari al giorno. Se per fare cinque chilometri prima spendevo 50 naira, oggi ne ho pagati 150. Il malcontento è fortissimo, sono già iniziate le proteste e da oggi è previsto uno sciopero generale ad oltranza. Purtroppo questa è un’altra miccia in una situazione confusa e tesa.
Tutto ciò che sta accadendo ci costringe a essere più consistenti nella nostra fede e a metterci con grande e totale fiducia nelle mani del Signore. Le tenebre non potranno mai prevalere, di questo sono totalmente convinta.
Vi auguro un anno nuovo che sia pieno della certezza che il Mistero è presente in tutto e in tutti, e che ci vuole così bene che non ci lascia neanche un secondo.
Suor Caterina

mercoledì 4 gennaio 2012

TECNICHE DI SCRITTURA CREATIVA

TONY E SUSAN, Austin Wright, Adelphi
Lui disse: Finirò nell'oblio. Nessuno saprà mai cosa ho visto, cosa ho pensato. Lei disse: Io nell'oblio ci sono già. Nessuno conosce i miei sogni, i miei pensieri.. Lui replicò: Tu non sei una scrittrice. Per te non è così importante.

Lesse riviste nella sua camera al motel perchè era importante tenere la mente attiva.Respinse le lacrime perchè era importante avere il controllo del proprio viso. Rifiutò la proposta di tornare in auto con Merton perchè era importante. Era importante riconoscere l'importanza delle cose, dato che adesso sapeva che ogni cosa importante era importante, e che niente era più importante dell'importanza.

IL LIBRO
Ricevuto in prestito da una famiglia che stimo, è davvero un libro sorprendente. In realtà sono due in uno perchè è la storia di una donna che, leggendo il manoscritto dell'opera prima del suo ex marito, riflette sulla sua vita e fronteggia la crisi di mezza età a cui tutti arriviamo: è questa la vita che volevo? sono alla fine o è possibile un nuovo inizio, pur non cambiando le circostanze? Ho appena rivisto Pomodori verdi fritti e la Bates ad un certo punto dice: "Sono troppo giovane per essere vecchia e troppo vecchia per essere giovane". Ci si ritrova. Il libro è davvero bello, la storia avvince e il finale sorprende. Cosa desiderare di più? Lo stile è perfetto, sicuramente anche grazie alla traduttrice e rivela anche l'esperienza dello scrittore, nato nel 1922 e laureato ad Harvard nel 1943, come insegnante di tecniche narrative. Non lo conoscevo ma davvero è capace di mettersi nei panni del lettore appassionato, il cui umore quotidiano è influenzato da ciò che si legge. E' sicuramente un autore da approfondire.

T. S. ELIOT
Perché le parole dell’anno passato
appartengono al linguaggio dell’anno passato
e le parole dell’anno prossimo attendono un’altra voce.
da Little Gidding


BUON ANNO A TUTTI!
( e soprattutto a Gae e alla sua famiglia!)

giovedì 22 dicembre 2011

COSA RESTERA' DI NOI


LA CITTA' DEI RAGAZZI, Eraldo Affinati, Mondadori
I ragazzi mi guardarono in faccia aspettando la mia replica. "Perchè dovrei?" esclamai, parlando a nuora nella speranza che suocera intendesse, "io conosco la ragione perchè lui bestemmia." Tutta la classe pendeva dalle mie labbra mentre Peppino restava imbambolato senza fiatare. Sentivo il peso della responsabilità gravarmi addosso, ma era un bel carico, una soma che trascinavo volentieri. E continuai sicuro. "Lui crede che Dio lo odi. Ne è talmente convinto che nessuno di voi potrebbe fargli cambiare idea. Ammesso e non concesso che esista davvero, perchè gli avrebbe dato tutti questi problemi da risolvere? A lui più di altri, questo è sicuro, lo ammetterete." Peppino, accanto alla finestra, mi guardava come da un oltre. Dove sei? avrei voluto chiedergli. Tornava giù insieme a noi. Ma anche Ibrahim, Stefan, Javid, Nabi, Sharif e Michail non erano da meno. Tutti soppesavano, dentro di loro, i pro e i contro della tesi che stavo enunciando. Le teste lavoravano. Le intuizioni scattavano. Decine di immagini avranno bombardato, in quei secondi interminabili, le percezioni dei miei alunni. Ognuno calibrava su di sè il ragionamento: prendeva posizione, uscendo allo scoperto di fronte a se stesso. Sarebbe stato inutile che in quel momento avessi aggiunto: "E invece io vi dico che Dio gli sta vicino. Contrariamente a quello che il nostro amico pensa, gli vuole bene. Non lo abbandonerà mai!" Non c'era bisogno che lo affermassi io. Lo stavano già facendo loro. E forse, chissà, anche Peppino.
IL LIBRO

Non sapevo esistesse a Roma una città dei ragazzi. Fondata dal prete inglese John Patrick Carroll-Abbing per aiutare gli orfani della Seconda Guerra Mondiale, è sopravvissuta nonostante lo sviluppo economico o, forse, proprio grazie a questo. Ora ospita i minori non accompagnati provenienti dalle parti più sofferenti del mondo e, benchè i ragazzi frequentino le scuole dell'obbligo esterne, ha al suo interno diversi corsi professionali dove insegna a
nche l'autore del libro. Belli i costanti paralleli tra i ragazzi e il padre dello scrittore, rimasto orfano molto giovane e belli anche i rapporti che l'insegnante costruisce con i suoi allievi, arrivando anche ad accompagnarli nei loro paesi di origine. Il legame tra professore e allievi è quello di una paternità che osserva con distacco, lasciando liberi i ragazzi. Bello anche il fatto che la programmazione didattica miri alto, si è davvero interessati al futuro di questi ragazzi, si cerca di dare loro più strumenti possibili. Belle anche le parole finali: "Quello che accade in aula produce effetti indelebili. E' la potenza dell'insegnamento".

UN CUORE FERITO
Lorenzo Albacete
mercoledì 21 dicembre 2011


Christopher Hitchens, scrittore, critico sociale, giornalista, editorialista e ateo "straordinario" è morto per un cancro sabato scorso allo Houston Hospice. Aveva 62 anni. È morto con dignità, durante il sonno, evitando lo spettacolo che temeva di più: una drammatica conversione pubblica dell'ultimo minuto.
È interessante leggere alcune delle reazioni alla notizia della sua morte. L'esempio che segue è tratto dalla pagina internet "This Week".
«Era un uomo di appetiti insaziabili: per le sigarette, per lo scotch, per la compagnia, per la grande scrittura e, soprattutto, per la conversazione - dice il direttore di Vanity Fair, Graydon Carter -. La sua capacità di essere all'altezza di tutto ciò che lo interessava era il miracolo dell'uomo. Sarebbe molto difficile trovare uno scrittore in grado di produrre la quantità di editoriali, saggi, articoli e libri eccellenti da lui prodotti negli ultimi quarant'anni».
«Come il suo eroe, Orwell, Christopher apprezzava il coraggio al di sopra di ogni altra qualità, in particolare il coraggio richiesto da una risoluta onestà - dice Benjamin Schwarz su The Atlantic -. Questo straordinario intellettuale apprezzava l'intelligenza, ma il coraggio ancor di più, o meglio, pensava che la vera intelligenza non potesse essere separata dal coraggio».
Christopher Buckley scrive sul The New Yorker: «Uno dei nostri pranzi al Café Milano, il Rick's Café (il caffé del film Casablanca, NdE) di Washington, iniziò alla una e finì alle 11,30 di sera. Attorno alle nove (anche se il mio ricordo è un po' vago) disse: "Ordiniamo ancora un po' da mangiare?" Io mi trascinai in qualche modo verso casa, dove rimasi sotto osservazione medica per qualche settimana, nel ghiaccio e con flebo di morfina. Christopher quella sera probabilmente andò a casa e scrisse una biografia di Orwell. La sua energia era epica come la sua erudizione e il suo spirito».
«Addio mio caro amico - scrive il romanziere Salman Rushdie via Twitter -. Una grande voce si ammutolisce. Un grande cuore si ferma».
«Il "migliore oratore del nostro tempo" e un "valoroso combattente contro tutti i tiranni", compreso Dio», afferma lo scrittore Richard Dawkins, ateo dichiarato come Hitchens.
«Ho conosciuto Hitchens solo leggendolo. Nel leggerlo si rimaneva profondamente colpiti, e invidiosi se si era uno scrittore, e a un certo punto ci si arrabbiava profondamente con lui - dice sul Time James Poniewozik -. Hitchens sapeva quando era il caso di preoccuparsi del resto del mondo e quando di fregarsene totalmente, invece, di quanto il mondo pensava di lui. Per uno scrittore, una cosa è essere una persona di principi, e un conto è essere un rompiscatole; è raro essere un rompiscatole con principi, ma Hitchens era proprio questo».
«La religione, ha scritto, è violenta, irrazionale, intollerante, alleata del razzismo, del tribalismo e del fanatismo, piena di ignoranza e ostile alla libera ricerca, disprezza le donne ed è coercitiva verso i bambini - osserva Roy Greenslade sul Guardian -. Se ripenso agli anni '70, lo sento ancora dire questo, con l'aggiunta di molti aggettivi e imprecazioni. Ed è così che voglio ricordarlo».
«Il mondo ha perso uno dei giornalisti più eminenti e prolifici e uno splendido polemista, oratore e bon vivant - afferma George Eaton sul New Statesman -. Nei suoi ultimi anni, a Hitchens piaceva citare una frase della sua defunta madre, che "l'unico peccato imperdonabile è essere noiosi". Oggi, nel rendermi conto che non sentirò più questo vibrante baritono, che la penna di Hitchens è ferma, mi sento sicuro di dire che il mondo è diventato un luogo più noioso».
«Christopher Hitchens era del tutto un esemplare unico, una sorprendente miscela di scrittore, giornalista, polemista e un personaggio unico - ha detto l'ex Primo Ministro inglese Tony Blair -. Era coraggioso nel perseguimento della verità e di ogni causa nella quale credeva. E non vi era nessuna cosa in cui credesse che non sostenesse con passione, impegno e in modo brillante».
Forse si può capire ora perché ben poche persone credenti hanno accettato di dibattere pubblicamente con Hitchens sulla ragionevolezza della fede. Qualche anno fa mi fu chiesto di farlo e, non sapendo che il confronto era con lui, ma pensando a una tavola rotonda, accettai. Quando scoprii che si trattava di un confronto diretto tra me e lui era troppo tardi per cancellare l'incontro, ma anche per prepararlo adeguatamente.
Così, mi preparai semplicemente al martirio.
Quando incontrai Hitchens e lo osservai fare il giro degli ospiti prima del dibattito, mi accorsi che ero la persona sbagliata per discutere con lui, non per la sua intelligenza, cultura e charme, ma perché era un uomo con un cuore così ferito da essere distante solo un passo dall'incontrare Cristo. Ciò di cui aveva bisogno era la Grazia, e questo era qualcosa che io non potevo dargli, essendone anch'io bisognoso in ogni momento della mia vita.
Mi resi conto che tutto quello che potevo fare era di mostrargli che eravamo tutti e due sulla stessa strada, perché anche io non credevo in quel dio che lui attaccava e incoraggiarlo così ad essere fedele alla ferita nel suo cuore e ad amare la libertà che viene dalla Verità.
Dopo lo spettacolo (che deluse sia i favorevoli che i contrari a Dio), decidemmo di incontrarci ancora per discutere in privato della questione, ma non ci siamo più visti.
Ora Christopher (notate il suo nome) è andato e io prego che noi ci si possa incontrare di nuovo quando tutti e due saremo dalla stessa parte eterna del confine tra il bisogno disperato e il viso dell'Amore.

lunedì 12 dicembre 2011

PIU' IN LA'

MANGIA PREGA AMA, Elizabeth Gilbert, Rizzoli
Ho molti amici a New York che non sono religiosi. La maggior parte, direi. Qualcuno si è allontanato dagli insegnamenti spirituali avuti in gioventù, altri non sono mai stati educati nella fede. Naturalmente sono quasi tutti sorpresi o addirittura sconvolti dai miei tentativi di raggiungere la santità. Alcuni mi prendono un po' in giro. Una volta il mio amico Bobby, mentre tentava di aiutarmi a far funzionare il computer, mi ha detto: "Senza offesa ma è - che cosa adorare, chi pregareper la tua aura, ma sei ancora un disastro con il download del software..." Io sto agli scherzi. Mi divertono. Eppure, adesso che cominciano ad invecchiare, riconosco anche nei miei amici il desiderio di avere qualcosa in cui credere. Un desiderio che incontra ingombranti ostacoli, come il loro raziocinio e il loro senso comune, e che però si riaccende con l'esperienza del mondo instabile, scosso e devastato che li circonda e che la loro ragione non riesce a rendere più sicuro. Nella vita tutti affrontiamo grandi prove, gioie e dolori, e queste "megaesperienze" ci fanno sentire il bisogno di un contesto spirituale nel quale poter esternare la nostra sofferta protesta o la nostra gratitudine, o anche solo cercare comprensione. Il problema è - che cosa adorare, chi pregare?

IL LIBRO
La sequenza del titolo, davvero anomala in ordine di importanza, è dovuta alle tre tappe del viaggio dell'autrice
di questa autobiografia: Italia, dove metterà su dodici chili in quattro mesi, India, dove si rifugia in un ritiro spirituale di una guru incontrata in America e Indonesia, dove si innamorerà dando la possibilità alla storia di concludersi con un lieto fine e al libro di aumentare il numero delle lettrici. Alcuni aspetti sono personalmente molto noiosi se uno non ha quel particolare interesse: meditazioni, mantra, yoga...; altri affascinano e si leggono velocissimamente, come la descrizione della sua vita in Italia o nell'isola di Bali. E' difficile, però, credere che questo libro sia stato un bestseller e che Julia Roberts abbia impersonato l'autrice in un film. Probabilmente la sensibilità del pubblico americano è diversa dalla nostra. Due pecche. Una è che non attira la mia simpatia qualcuno che si vanti di non essere mai entrato in un museo nei suoi quattro mesi di permanenza romana, la seconda è che le battute
umoristiche non fanno molto ridere e, forse, nemmeno sorridere, ma forse dipende dalla traduzione.

Lettera a Gesù

Caro Gesù,
dà la salute a Mamma e Papà

un pò di soldi ai poverelli,
porta la pace a tutta la terra,
una casetta a chi non ce l'ha
e ai cattivi un pò di bontà.
E se per me niente ci resta
sarà lo stesso una bella festa.

Mario Lodi


lunedì 28 novembre 2011

TEMPO DI CRISI

IL 42° PARALLELO, John Dos Passos, Rizzoli
Quando entrò alla scuola media, prese il corso commerciale e imparò stenografia e dattilografia. Era una ragazza semplice dal viso esile tra i capelli rossi, tranquilla e popolare tra gli insegnanti. Aveva le dita svelte e imparò con facilità a scrivere a macchina e a stenografare. Le piaceva leggere e di solito prendeva alla biblioteca libri come L'interno della tazza, La battaglia dei forti, La conquista di Barbara Worth. Sua madre badava a ripeterle che si sarebbe rovinata gli occhi, se leggeva tanto. Leggendo soleva immaginar di essere l'eroina e che il debole fratello, che finiva male ma er gentiluomo nell'anima, capace di qualsiasi sacrificio, come Sidney Carton nel Racconto di due città, era Joe, e l'eroe, Alec.

IL LIBRO
Tradotto da Cesare Pavese, in un italiano che da certi versi sembra un po' buffo, sono infatti rarissimi i vocaboli lasciati in lingua originale, da altri, invece, è meglio della lingua originale. E' il primo libro che leggo dell'autore, fra l'altro primo volume di una trilogia. L'ho scelto perchè era citato in uno di Potok e volevo conoscere di più questo autore di cui conoscevo solo il nome. E' un Jack Kerouac meno vagabondo. I suoi personaggi si muovono in un'America in crisi ma in cerca più di un lavoro che di un'identità. E' una nazione in cui si può facilmente diventare qualcuno ma la crisi è alle porte e le certezze crolleranno presto. C'è chi spera ancora nelle ideologie, che lotta per la Rivoluzione, c'è chi invece si arruola nella Prima Guerra Mondiale che darà da allora un ruolo predominante agli Stati Uniti nella storia del mondo, ruolo che si sta pian piano sgretolando con la crisi dei giorni nostri. Originalissimo lo stile di scrittura ma molte delle notizie, purtroppo, sono datate e non suscitano più un grande interesse.

GIORNATA DELLA COLLETTA NAZIONALE 2011

Il Presidente del Banco Alimentare:
Se accetti la
sfida, la vita cambia e si mette in azione, subito. A Milano una ragazza racconta: “Mi era stato proposto nei giorni scorsi di partecipare come volontaria ma avevo fatto di finta di non sentire. Oggi sono venuta al supermercato per far la spesa e vedendovi mi sono detta: “Ma qui sono tutti allegri e contenti, mi fermo e faccio anch’io il mio turno di volontariato”. In molti hanno scelto di andare al discount, perché i prodotti costano meno e questo ha permesso loro di donare gli alimenti. Altre persone si sono addirittura presentate con il sacchetto di un altro supermercato, perché avevano fatto la spesa qualche giorno prima in quanto non volevano fare la coda alle casse, tipica del sabato, ma hanno voluto comunque partecipare. Oppure il messaggio arrivato da Maria Concetta che riporta quanto le ha detto un suo concittadino: “Oggi la faccio la Colletta, non so se l’anno prossimo potrò ancora. Ma voi non mollate perché mi date speranza”. Si può vivere un periodo di crisi, essere tutt’altro che tranquilli o addirittura ignorarla ma comunque chi non si tira indietro da quello che la realtà offre nell’istante, in quel
momento, a quell’ora, in un determinato luogo, scopre l’imprevisto: l’incontro fisico con un popolo genera un cambiamento e speranza, non come propria capacità ma come dono, come un patrimonio donato su
cui contare sempre, in particolare quando sembra che le proprie risorse siano finite. Accettare questa sfida cambia perché la libertà di ciascuno è esaltata, come ha detto un ragazzino di Genova: ”È un dovere aiutare gli altri, ma non sei obbligato”. Allora anche un gesto cosi ben organizzato (sms ricevuto alle 11.07 da un manager di una nota e importante azienda internazionale ”Organizzazione &Logistica perfette. Complimenti. Ciao G.I.”) a cui potresti solo dare un supporto, diventa tuo e chi incontri lo riconosce. In Toscana un “vu cumpra” chiede ai volontari di poter dare una mano. Alla fine della giornata il Capo Equipe, responsabile per il Banco Alimentare dei volontari in quel punto vendita, valuta di fare cosa gradita offrendo 10 euro di mancia al nostro extracomunitario ma lui si arrabbia e gli risponde: “non l’ho fatto per soldi ma con il cuore”. Che la Giornata Nazionale della Colletta Alimentare sia un popolo non bisogna neppure spiegarlo, è diventata un'evidenza: italiani, africani, asiatici, americani, slavi, ispanici, cinesi, ecc. mobilitati, mossi,
protagonisti della Carità. Ma un popolo non è solo etnia è anche alimentato dalla storia di ciascuno. Allora in questo popolo generato dalla Carità trovi ricchi e potenti (solo per fare degli esempi: Andrea Agnelli, il sindaco di Torino Piero Fassino, il sindaco Renzi con la Giunta del comune di Firenze, la Giunta comunale di Bologna, il Sindaco e il Presidente della Provincia di Grosseto, ma chissà quanti altri di cui non sappiamo), vip dello spettacolo e campioni dello sport (Gerry Scotti, Linus, Federica Pellegrini, Franco Baresi e se ne conoscete altri fatecelo sapere così da ringraziarli). Per non parlare dei numerosi carcerati, che hanno partecipato all’interno del penitenziario o in libertà vigilata nei magazzini del Banco Alimentare. Così i pastori della chiesa come l’arcivescovo di Catania, Salvatore Gristina, a quello di Torino, Cesare Nosiglia, che sappiamo essere andato, ma in incognito, per vivere personalmente questo gesto di carità. Oppure gli amici Alpini e della San Vincenzo o i tantissimi volontari che per un giorno non hanno dato del tempo per la propria associazione ma per 1.400.000 poveri di cui non conoscono ne’ la storia ne’ il volto, in un atto di fiducia non fondato su “leggi di trasparenza” ma sull’esperienza condivisa, magari, scaricando alimenti in
uno dei 21 magazzini dove la Rete Banco Alimentare quotidianamente opera. Un popolo vive e condivide; allora ecco che una ragazza che in un supermercato a Milano festeggia il suo compleanno con gli amici arrivati da Parma. La vita di un popolo è anche ciò che trasmette alle generazioni future. Qui mi viene in soccorso un episodio raccontatomi da un nonno: “i miei nipoti entusiasti mi hanno raccontato che hanno fatto i pacchi e mia figlia ha aggiunto che è stata una tragedia convincerli ad andare a casa”. Di questi tempi sono i giovani che fanno paura al popolo o troppo aggressivi o completamente assenti dalla vita ma in questo popolo ci sono anche insegnanti che accompagnano la crescita dei ragazzi e così possiamo entusiasmarci e non terrorizzarci per la loro vitalità. Alla “Colletta” sono molti e sempre di più, gli adolescenti che partecipano. A prima vista non sembrano diversi da quelli visti in televisione solo poche settimane fa a Roma, se non per il fatto che riconoscevi i loro volti, la loro fatica e il loro sorriso ha “spaccato” a tal punto che adulti vedendoli hanno portato la spesa in auto e si sono fermati con loro ad aiutarli. Ancora molte testimonianze si potrebbero citare ma non basterebbero a spiegare tutto, perché la Giornata Nazionale della Colletta Alimentare non vuole spiegare nulla ma vuole essere solo un esempio, concreto e tangibile, che non c’è nulla nella realtà che possa far spegnere il desiderio che c’è in ciascuno di noi di voler cambiare, migliorare la propria esistenza e quella degli altri. Che piaccia o no questo popolo ha un nome sulla sua carta d’identità: cristiano. Ha anche una caratteristica che è più facile vedere che descrivere: è in azione per accogliere e condividere i bisogni di tutti gli uomini. Da oggi in poi tocca a ciascuno rinnovare la sfida che la realtà offre sempre ma con un po’ più di certezza: questo popolo “non molla” e continua a dare speranza perché poggia sulla roccia e non sulla sabbia, perché vive nel presente ciò che Gesù ha detto ai suoi: “Sarò con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”. P.s. Mi stavo quasi dimenticando: grazie al popolo della Carità abbiamo raccolto 9.600 tonnellate, + 2%. Alla faccia della crisi. P.P.S. E sono io che scrivo: nel paese dove abito io abbiamo raccolto il 20% in più perchè abbiamo coinvolto anche le scuole.

giovedì 24 novembre 2011

LA VITA E' BELLA

BIANCA COME IL LATTE, ROSSA COME IL SANGUE, Alessandro D'Avenia, Mondadori
Mio nonno quel giorno mi spiegò che noi siamo diversi dagli animali, che fanno solo quello che la loro natura comanda. Noi invece siamo liberi. E' il più grande dono che abbiamo ricevuto. Grazie alla libertà possiamo diventare qualcosa di diverso da quello che siamo. La libertà ci consente di sognare e i sogni sono il sangue della nostra vita, anche se spesso costano un lungo viaggio e qualche bastonata. "Non rinunciare mai ai tuoi sogni! Non avere paura di sognare, anche se gli altri ti ridono dietro" così mi disse mio nonno, "rinunceresti ad essere te stesso". Ancora mi ricordo gli occhi brillanti con cui sottolineò le sue parole.

Il LIBRO
Molto bello e vero. Se penso che il massimo delle letture per i giovani è Moccia, questo libro invece ne è lontano anni luce. I ragazzi sono i protagonisti, con tutte
le loro paure, valori, sovrabbondanza di stimoli e di beni materiali ma gli adulti che qui incontrano sono persone appassionate della vita, adulti veri, responsabili e che non si comportano da eterni adolescenti. Molto bella la figura dell'insegnante supplente, che dovrebbe essere nell'immaginario popolare lo sfigato, il fallito, colui che protesta perchè eterno precario ma già intriso dalla mentalità statalista, per cui lo stipendio è assicurato comunque, qualsiasi cosa tu faccia o non faccia. E anche i ragazzi descritti suscitano la nostra simpatia e commuovono nel loro cammino. E' un libro dove la vita è vita e non perchè tutto va secondo i nostri piani o perchè ci si comporta da supereroi. La vita è bella perchè è davvero così come descritta: piena di incontri, vittorie e sconfitte, di cose nuove da imparare, di condizioni e segni che ci richiamano ad altro. E soprattutto è bella perchè non siamo soli.
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IN MEMORIA DI MARCO SIMONCELLI

OMELIA DURANTE IL FUNERALE

Vorrei accostarmi al vostro dolore, carissimi papà Paolo e mamma Rossella, carissime Martina e Kate, e vorrei farlo con tutta la tenerezza che voi meritate e con il garbo di cui sono capace. Chi vi parla, non ha vissuto il dolore lacerante che vi brucia in cuore, ma permettetemi di venire a voi con l’abbraccio di tutti, con la preghiera di molti.

Vi confesso che, per il groviglio dei sentimenti che mi si arruffano in cuore, ho fatto fatica a trovare le parole più giuste per questo momento. Fatemi citare allora quelle del nostro piccolo, grande Don Oreste Benzi. Il giorno che morì, il 2 novembre di quattro anni fa, di fronte alla sua salma appena composta, trovammo scritte sul suo libretto Pane quotidiano, questo pensiero profetico: “Nel momento in cui chiuderò gli occhi a questa terra, la gente che sarà vicino dirà: è morto. In realtà è una bugia. Sono morto per chi mi vede, per chi sta lì, ma in realtà la morte non esiste perché appena chiudo gli occhi a questa vita, li apro all’infinito di Dio”. So di condividere con voi, spero con tutti, questa incrollabile certezza: quando un nostro amico non vive più, vive di più.

Ora, carissime sorelle, fratelli e amici, fate sottoscrivere anche a me le parole di pap

à Paolo: “Dicono che Dio trapianti in cielo i fiori più belli, per non farli appassire. Credo che sia così”. Passatemi un pennarello per far firmare anche a me lo striscione dei tantissimi amici: “Marco, ora insegna agli angeli ad impennare”. Fatemi rileggere ad alta voce le parole ritrovate ieri sul libro del nostro PuntoGiovane di Riccione, dove all’età di 18 anni, Marco aveva partecipato a una settimana di convivenza con i suoi compagni di liceo. Durante quei giorni aveva scritto: “Sono stato il ‘folletto’ (così si chiama il ragazzo che prega per un altro durante la convivenza) più scandaloso che la storia ricordi. Non ti prometto che pregherò per te in futuro, perché sicuramente me ne dimenticherei. Però lo farò questa sera, prima di andare a letto e cercherò di fare in modo che la mia preghiera valga anche per tutte le volte che non la dirò".

Negli stessi giorni una compagna di classe gli aveva scritto: “Quando ho scoperto che saresti stato tu il mio ‘protetto’ sono stata contenta. Tu, a differenza di molti altri, sei uno che non pretende dagli altri”.

Personalmente ho incontrato Marco una volta sola, qualche mese fa, alla cresima della sorella Martina, ma ora che ho scoperto la sua schiettezza e la sua bontà, mi prende un amaro rimpianto: quello di non aver provato a diventargli amico. Sono sicuro che un amico così libero, trasparente e generoso, non mi avrebbe respinto per il solo fatto di essere io anziano o vescovo, anzi con lui avrei potuto anche discutere e perfino litigare, di quelle belle litigate che si possono fare solo tra amici.

Ma adesso, fratelli miei, permettetemi che mi senta anch’io percuotere il cuore da quella domanda inesorabile: perché Marco si è schiantato domenica scorsa alle 9,55 sull’asfalto dell’autodromo di Sepang? Io non posso cavarmela ora con risposte preconfezionate, reperibili sulla bancarella delle formule pronte per l’uso. Sì, alle volte noi credenti pensiamo di svignarcela con l’allusione enigmatica a una indecifrabile volontà di Dio. Ci ripetiamo, instancabili: “è la volontà di Dio”, e non ci rendiamo conto che, sbandierando parole senza cuore, rischiamo di far bestemmiare il suo santo nome. Il mio animo si ribella all’idea volgare di un Dio che si autodenomina “amante della vita”, che mi si rivela come il Dio che “ha creato l’uomo per l’immortalità” (Sap 2,23″) e poi si apposta dietro la curva per sorprendermi con un colpo gobbo o una vile rappresaglia. Permettetemi di ridire sottovoce a me e a voi qual è questa benedetta volontà di Dio, con le parole pronunciate un giorno da suo Figlio sotto i cieli alti e puri della Palestina, mentre a Rimini si stava ultimando il ponte di Tiberio: “Questa è la volontà di colui che mi ha mandato. Che io non perda nulla di quanto mi ha dato, ma lo risusciti nell’ultimo giorno” (Gv 6,39).

Datemi un po’ del vostro coraggio e aiutatemi ad abbinare, a quello di Marco, il nome dolcissimo del Maestro mio e di ogni cristiano. Voi lo conoscete: il suo nome non è di quelli che condannano a morte; lui si chiama Gesù, che significa “Dio-Salva”. Dove stava allora Gesù in quell’istante fatale in cui il corpo di Marco ha cessato di vivere? Stava lì, pronto per impedire che Marco cadesse nel baratro del niente e per dargli un passaggio alla volta del cielo. Sì, Gesù è il nome del Figlio di Dio che ha preferito me, te, ognuno di noi viventi, tra la sterminata folla degli esseri ibernati nell’abisso del nulla. Gesù è il nome del Figlio di Dio, mandato dal Padre come inviato speciale sulla terra, non a fare prediche sul dolore e sulla morte, ma a condividere la nostra fragilità, fino a morirne. E’ il nome del Figlio di Dio che si è lasciato inchiodare su una croce per stringerci tutti nel suo immenso, tenerissimo abbraccio, e ci ha offerto il segno più grande dell’amore: dare la vita per i fratelli. Gesù non è venuto a spiegarci il dolore né a salvarci dal dolore, ma ci ha salvati nel dolore e lo ha fatto con il suo sangue innocente. Gesù è il nome del Figlio di Dio che ci ha amati con l’amore più incredibile e ha definitivamente sconfitto la morte con la sua risurrezione. Perciò è sempre là, all’imbocco del tunnel della morte, pronto per afferrarci e portarci a godere la gioia senza più se e senza più ma.

Gesù, che registra sul suo diario perfino un bicchiere d’acqua fresca dato con amore, domenica scorsa stava là a dire a Marco: “Grazie, per tutte le volte che mi hai abbracciato nei fratellini disabili della Piccola Famiglia di Montetauro. Grazie, Marco, per tutte le volte che mi hai fatto divertire tanto, quando hai partecipato alla gara delle karatelle nella festa patronale della tua parrocchia. Grazie, perché tutte le volte che hai fatto queste cose ai miei fratelli più piccoli, le hai fatte a me.

Ora, permettimi, caro Marco, di rivolgermi direttamente a te. La sera prima della gara hai detto che desideravi vincere il gran premio per salire sul gradino più alto del podio, perché lì ti avrebbero visto meglio tutti. A noi ora addolora non riuscire a vederti, ma ci dà pace e tanta gioia la speranza di saperci inquadrati da te, dal podio più alto che ci sia. Lasciaci allora dire un’ultima semplicissima parola: Addio, Marco. E’ una parola scomposta dal dolore, ricomposta dalla speranza: a-Dio!

Coriano, 27 ottobre 2011

+ Francesco Lambiasi