martedì 18 agosto 2009

VACANZE


VACANZE INGLESI, Joseph Connolly, Il Saggiatore

E Lulu aveva sospirato un'altra volta perchè era vero, lo sapeva anche lei perchè: l'argomento era saltato fuori ogni giorno nei quasi due anni del loro matrimonio. John non l'avrebbe lasciata sola neanche un'istante perchè era fermamente convinto (una sera gliel'aveva perfino detto esplicitamente: era mezzo sbronzo, ma anche così...) che se l'avesse fatto Lulu si sarebbe trovata nel giro di due secondi circondata da altri uomini e a qual punto si sarebbe messa a sorridere e civettare con loro e quello era un pensiero che John non sopportava: non lo poteva sopportare, chiaro? Non riusciva neanche a reggere l'idea: Ti amo troppo per correre un rischio simile, Lulu.
"Quello non è amore, John" aveva risposto Lulu.
"E' il mio tipo di amore" aveva detto John. "E' l'unico genere d'amore che ho da darti".

IL LIBRO
British humour all'ennesima potenza. L'ho letto in spiaggia e mi sono sorpresa a ridere da sola. La storia di per sè è insulsa e superficiale ma è una bella riflessione sulla società inglese contemporanea con la sua perdita di valori, i suoi cadaveri nell'armadio e, nonostante l'apparenza appagata, i desideri di una trasgressione e le repressioni pronte ad esplodere. Dal libro hanno tratto un film francese, di cui però non so quasi niente. Nota interessante sull'autore è che per molti anni ha fatto il libraio a Londra ed ha iniziato a scrivere già "grande". Libro perfetto per risollevare l'umore e per passare il tempo mentre ci si abbronza.



TEMPO LIBERO

«L’attesa delle vacanze documenta una volontà di vivere: proprio per questo non devono essere una “vacanza” da se stessi. Allora l’estate non sarà una interruzione o una proroga al prendere sul serio la vita» (Milano Studenti, 5 giugno 1964).
Appunti di un dialogo prendendo un aperitivo con don Giussani, prima di partire per le ferie.

Dai primissimi giorni di Gioventù Studentesca abbiamo avuto un concetto chiaro e semplice: tempo libero è il tempo in cui uno non è obbligato a fare niente, non c’è qualcosa che si è obbligati a fare, il tempo libero è tempo libero. Siccome discutevamo spesso coi genitori e coi professori sul fatto che Gs occupava troppo il tempo libero dei ragazzi, mentre i ragazzi avrebbero dovuto studiare o lavorare in cucina, in casa, io dicevo: «Avranno ben il tempo libero, i ragazzi!». «Ma un giovane, una persona adulta» mi si obiettava «lo si giudica dal lavoro, dalla serietà del lavoro, dalla tenacia e dalla fedeltà al lavoro». «No» rispondevo, «macché! Un ragazzo si giudica da come usa il tempo libero». Oh, si scandalizzavano tutti. E invece... se è tempo libero, significa che uno è libero di fare quello che vuole. Perciò quello che uno vuole lo si capisce da come utilizza il suo tempo libero. Quello che una persona - giovane o adulto - veramente vuole lo capisco non dal lavoro, dallo studio, cioè da ciò che è obbligato a fare, dalle convenienze o dalle necessità sociali, ma da come usa il suo tempo libero. Se un ragazzo o una persona matura disperde il tempo libero, non ama la vita: è sciocco. La vacanza, infatti, è il classico tempo in cui quasi tutti diventano sciocchi. Al contrario, la vacanza è il tempo più nobile dell’anno, perché è il momento in cui uno si impegna come vuole col valore che riconosce prevalente nella sua vita oppure non si impegna affatto con niente e allora, appunto, è sciocco. La risposta che davamo a genitori e insegnanti più di quarant’anni fa ha una profondità a cui essi non erano mai giunti: il valore più grande dell’uomo, la virtù, il coraggio, l’energia dell’uomo, il ciò per cui vale la pena vivere, sta nella gratuità, nella capacità della gratuità. E la gratuità è proprio nel tempo libero che emerge e si afferma in modo stupefacente. Il modo della preghiera, la fedeltà alla preghiera, la verità dei rapporti, la dedizione di sé, il gusto delle cose, la modestia nell’usare della realtà, la commozione e la compassione verso le cose, tutto questo lo si vede molto più in vacanza che durante l’anno. In vacanza uno è libero e, se è libero, fa quello che vuole. Questo vuol dire che la vacanza è una cosa importante. Innanzitutto ciò implica attenzione nella scelta della compagnia e del luogo, ma soprattutto c’entra con il modo in cui si vive: se la vacanza non ti fa mai ricordare quello che vorresti ricordare di più, se non ti rende più buono verso gli altri, ma ti rende più istintivo, se non ti fa imparare a guardare la natura con intenzione profonda, se non ti fa compiere un sacrificio con gioia, il tempo del riposo non ottiene il suo scopo. La vacanza deve essere la più libera possibile. Il criterio delle ferie è quello di respirare, possibilmente a pieni polmoni. Da questo punto di vista, fissare come principio a priori che un gruppo debba fare la vacanza insieme è innanzitutto contrario a quanto detto, perché i più deboli della compagnia, per esempio, possono non osare dire di no. In secondo luogo è contro il principio missionario: l’andare in vacanza insieme deve rispondere a questo criterio. Comunque, innanzitutto, libertà sopra ogni cosa. Libertà di fare ciò che si vuole... secondo l’ideale! Che cosa ne viene in tasca, a vivere così? La gratuità, la purità del rapporto umano. In tutto questo l’ultima cosa di cui ci si può accusare è di invitare ad una vita triste o di costringere ad una vita pesante: sarebbe il segno che proprio chi obietta è triste, pesante e macilento. Dove macilento indica chi non mangia e non beve, perciò chi non gode della vita. E dire che Gesù ha identificato lo strumento, il nesso supremo tra l’uomo che cammina sulla terra e il Dio vivente, l’Infinito, il Mistero infinito, col mangiare e col bere: l’eucarestia è mangiare e bere - anche se adesso tanto spesso è ridotta a uno schematismo di cui non si capisce più il significato -. È un mangiare e un bere: agape è un mangiare e bere. L’espressione più grande del rapporto tra me e questa presenza che è Dio fatto uomo in te, o Cristo, è mangiare e bere con te. Dove tu ti identifichi con quel che mangi e bevi, così che, «pur vivendo nella carne io vivo nella fede del Figlio di Dio» (“fede” vuol dire riconoscere una Presenza).

P.S. Oggi inizierò anch'io le mie vacanze inglesi! La prima foto è il luogo che mi sta aspettando, dove è nato mio marito.


mercoledì 29 luglio 2009

UN MONDO DIVERSO



CANTO DI NOZZE, Nagib Mahfuz, Feltrinelli

Un nuovo mondo, una nuova esperienza: Entrai a teatro per la prima volta. Un luogo enorme, con un profumo particolare, accattivante. Amm Ahmad era gracile e aveva un incarico di scarso rilievo. Chiamata dal direttore, entrai timidamente nel suo tempio sacro con il mio vestito bianco e le mie vecchie scarpe. Mi guardò dall'alto della sua statura, con i suoi occhi penetranti e lo sguardo attento. Pareva un essere terrificante e terribile. Mi scrutò in lungo e in largo. Mi consegnò un pezzo di carta per provare quant'ero veloce a scrivere i numeri.
"Avrai bisogno di un po' di pratica prima di iniziare a lavorare, signorina..." sentenziò con la sua voce stentorea.

IL LADRO E I CANI, Nagib Mahfuz, Feltrinelli
Ecco la semplice verità: Rauf Aluan non è che un cadavere putrefatto che non è stato nemmeno sotterrato. Quanto all'altro Rauf appartiene al passato come ieri, come il primo giorno della storia, come l'amore di Nabawiyya e come la lealtà di Alish. Non farti ingannare dalle apparenze; i bei discorsi non sono altro che ipocrisia, il sorriso non è che una contrazione delle labbra e la generosità è un movimento incontrollato della mano. Se non fosse stato per l'educazione, non ti avrebbe nemmeno fatto varcare la soglia di casa. Prima mi crei dal nulla e poi mi abbandoni, cambi tutte le tue idee dopo che queste si sono inculcate profondamente in me e io mi trovo smarrito, sradicato, inutile e senza speranza.

I DUE LIBRI


Premio Nobel per la letteratura nel 1988, vittima di un attentato dei fondamentalisti islamici nel 1994, morto nel 2006, è uno scrittore egiziano che mi ha suggerito Anna, una ex collega. I libri sono molto belli, raccontano di un mondo e una cultura in cui è difficile rispecchiarsi pienamente ma che stimola a riflessioni. Il Canto di Nozze è un racconto corale di un unico episodio, diversi punti di vista ci permettono di ampliarne la conoscenza e l'autore è molto bravo nell'immedesimarsi in personaggi di età e sesso differenti. Il secondo è il racconto di un perdente, di uno sfigato in un mondo dove il perdono non esiste, il fatalismo è ciò che respiri e la speranza è uguale a zero. Da bambina io non guardavo mai i cartoni di Willy il coyote, mi faceva venire il nervoso: possibile che non puoi spostarti da sotto quel masso che ti sta precipitando addosso?



DA ILSUSSIDIARIO.NET
Obama e l'America in bianco e nero
Lorenzo Albacete
mercoledì 29 luglio 2009
È cominciato tutto con un arresto. Il sergente James Crowley della polizia di Cambridge, Massachusetts, ha arrestato Henry Louis Gates Jr. di fronte alla sua casa per “disturbo della quiete pubblica”. Gates è un noto professore afro-americano alla Harvard University ed è convinto che, se fosse stato un bianco, non sarebbe stato arrestato sulla porta di casa.
La polizia era arrivata perché chiamati da una vicina (che lavora nella rivista degli ex alunni di Harvard) che aveva visto due individui che tentavano di entrare nella casa di Gates. La vicina non aveva fatto riferimento ad alcun elemento razziale, ma il rapporto della polizia parla di due neri. In effetti, vi erano due neri che cercavano di entrare nella casa: uno era lo stesso Gates che aveva perso le chiavi dell'abitazione, e l'altro il suo autista.
Il sergente Crowley, che ha un ottimo curriculum per quanto riguarda i rapporti con le minoranze, è stato colpito da quello che definisce un atteggiamento aggressivo di Gates, che era arrabbiato perché attribuiva al suo essere nero il comportamento della polizia.

Così è come e dove la storia è incominciata. Nel giro di pochi giorni continuerà in un'altra casa, la Casa Bianca a Washington, dove Gates e Crowley berranno qualche birra insieme al presidente degli Stati Uniti, il primo afro-americano ad occupare la carica più importante della nazione. Il presidente Barack Hussein (figlio di un musulmano del Kenya) non vuole che la storia finisca, vuole che diventi un “momento di apprendimento” nell'attuale fase delle relazioni razziali in America. Il presidente è rimasto coinvolto nella storia durante una conferenza stampa sulla riforma sanitaria da lui proposta al Congresso (dove ha incontrato opposizione anche all'interno del suo partito, per non parlare dei Repubblicani, che hanno visto nelle preoccupazioni degli americani sui costi del suo programma un'opportunità per tagliare le ali al presidente).
Alla fine della conferenza (che non sembra peraltro aver fugato le preoccupazioni sulla riforma), a Obama è stato chiesto dell'arresto di Gates. Pur ammettendo di non conoscere i dettagli dell'incidente, Obama ha definito «stupido» il comportamento della polizia. I giornalisti hanno subito visto le possibilità offerte da questa risposta e si sono mossi come squali impazziti all'odore del sangue. (Un commentatore che ha seguito la conferenza in TV ha osservato: «O mio Dio! Così finisce la discussione sulla sanità e d'ora in poi la questione sarà la razza!» Aveva ragione).

Tanto più che il presidente è stato costretto ad interrompere l'incontro quotidiano con la stampa alla Casa Bianca per rilasciare personalmente una dichiarazione in cui si diceva dispiaciuto per la scelta delle parole, che si era già scusato telefonicamente con il sergente Crowley e che aveva anche parlato con Gates, apparentemente disposto ad abbassare i toni della polemica.
Entrambi hanno poi accettato l'invito alla Casa Bianca. Diventerà davvero questa storia un “momento di apprendimento”? Se sì, cosa ci insegnerà? Porterà un reale progresso nella tormentata storia delle relazioni tra bianchi e neri negli Stati Uniti o semplicemente apporterà un altro mattone ai discorsi e ai comportamenti politically correct?
Per il presidente Obama questa è un'occasione per mostrare di nuovo i vantaggi del suo metodo “relativismo con certezza”. Sarà interessante vedere cosa succederà.




mercoledì 22 luglio 2009

RESPONSABILITA' MORALE


IL CAMMINO DI HENRY, Domenico Del Coco, Editrice Nuovi Autori

Non penso a cosa? Sono vedovo a 28 anni e non ho creato la mia famiglia. Adelaida è morta e tu cosa fai? Mi porti ad un cimitero! A vedere queste cose! Del resto la tua vita è stata più facile, pensavi a divertirti perchè ero quello maggiore... E poi vedere un ragazzo ucciso non ti dà da pensare? Che ne sai se è entrato in quel giro per portare aventi la famiglia? Ci sono giovani che entrano in certi giri per sfamare bocche! E' sbagliato ma se non hanno altre scelte mi dici che devono fare? Non hanno opportunità e si arrabattano come possono. Ho giudicato troppo. Ho lasciato andare la mia testa senza considerare gli stati d'animo. Anche stavolta ho fallito. Giudico, giudico, giudico senza pensare! Non ne posso più di avere pensieri nella mia testa ogni volta che vedo qualcosa di sbagliato! Ho una morale tutta da rifare! Sono io da rifare! Lo capisci sì o no?

IL LIBRO

Opera prima di un giovane amico. Se ne ammira la perseveranza: ha voluto scrivere un libro, ha cercato chi lo pubblicasse e ci è riuscito. Il testo rispecchia l'autore: fragile, talvolta naif e con un'idea molto romantica della società inglese che non c'è più. Un po' Jane Austen un po' teatro dell'assurdo. Ha un tocco originale: mischiare il romanticismo inglese con altre culture, dal Grand Tour alla mafia nostrana. Una pecca è la mancata ricerca storica: difficilmente una famiglia dalla Sicilia migrava per servire la nobiltà inglese e Birmingham all'epoca era pressocchè inesistente. Scopo del libro non è però l'accuratezza dei dettagli, su cui si sorvola facilmente, è invece la crescita di Henry, il suo cammino umano e, soprattutto, la sua morale, un po' donchisciottesca ma sicuramente autobiografica. Buona continuazione, Domenico!
CARITAS IN VERITATE

La carità nella verità, di cui Gesù Cristo si è fatto testimone con la sua vita terrena e, soprattutto, con la sua morte e risurrezione, è la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell'umanità intera. L'amore - "caritas" - è una forza straordinaria, che spinge le persone a impegnarsi con coraggio e generosità nel campo della giustizia e della pace. E' una forza che ha la sua origine in Dio, Amore eterno e Verità assoluta. Ciascuno trova il suo bene aderendo al progetto che dio ha su di lui, per realizzarlo in pienezza: in tale progetto infatti egli trova la sua verità ed è aderendo a tale verità che egli diventa libero (cfr Gv 13,6). Tutti gli uomini avvertono l'interiore impulso ad amare in modo autentico. amore e verità non li abbandonano mai completamente, perchè sono la vocazione posta da Dio nel cuore e nella mente di ogni uomo. Gesù Cristo purifica e libera dalle nostre povertà umane la ricerca dell'amore e della verità e ci svela in pienezza l'iniziativa di amore e il progetto di vita vera che Dio ha preparato per noi. In Cristo, la carità nella verità diventa il Volto della sua Persona, una vocazione per noi ad amare i nostri fratelli nella verità del suo progetto. Egli stesso, infatti, è la Verità. (cfr Gv 14,6)

Benedetto XVI, Lettera Enciclica

sabato 18 luglio 2009

LETTURE POCO IMPEGNANTI

(foto di Claudio Romani)

LA MIA VITA SU UN PIATTO, India Knight, Feltrinelli

Il mio nome è Clara, molto grazioso, e il cognome è Hutt, che grazioso non è affatto, sebbene mi permetta mi permetta di pensare a me come a Jabba the Hutt (ndr. un personaggio di Star Wars) nei momenti in cui mi detesto con maggiore intentsità. E questa è una cosa utile. Ho due bambini: Charlie, di sei anni, e Jack, di tre. Ho un marito, Robert, che costituisce un mistero (c'è qualcuno che sappia effettivamente cosa passa per la testa del proprio marito, o sono solo io a non saperlo?), per quanto molto attraente. Collaboro part time come scrittrice a una rivista, ho una grande casa, dei bei vestiti e delle amiche che non puzzano di vomito, più qualcuna che invece sì, puzza. Ho trentatre anni. E a volte mi sveglio con la subdola sensazione che la mia vita non possa essere tutta qui.

IL LIBRO

E' come Bridget Jones dopo otto anni di matrimonio. Divertente ma molto lontano dalla realtà. Innanzitutto l'ambiente circostante: upper class lontano da ogni crisi domestica. In secondo luogo il divorzio descritto: indolore. Il tutto scritto maledettamente bene, considerando soprattutto che questa è la sua prima opera. E' un bel libro estivo, qualche dose di umorismo e nulla di particolarmente profondo. Che anche i ricchi piangano, non è proprio un credo assoluto! Soprattutto quando i problemi e le crisi sono dati più dalla noia che dall'essere impegnati con la realtà. Ho cercato la biografia dell'autrice e ho scoperto che il libro rispecchia un po' la sua vita: uno dei suo patrigni è addirittura il famoso architetto Norman Foster! Nata nel 65, ha avuto tre figli e il più piccolo ha una sindrome cromosomica, di quelle che conosci solo se ci sei dentro e al cui proposito ha aperto un blog sul Times on line, intitolato Isn't she talking yet?

LA GENERAZIONE NE' NE'
Il maestro D’Orta: oggi Pinocchio e Lucignolo non chiedono teorie, ma l’esperienza delle cose.

La chiamano “generazione né-né”, sulla falsa riga di quella che in Spagna viene detta Generación ni-ni magari con la speranza che l’inventore di questa nuova locuzione passi alla storia. Il termine riassume la non intenzione né di studiare né di lavorare e dovrebbe descrivere lo stato d’animo di una grossa fetta di giovani che vivono l’attuale periodo di crisi economica e di valori. Un atteggiamento lassista, rinunciatario e inconcludente, privo di un orizzonte professionale ed esistenziale che sembra sempre più prendere piede fra le fila delle nuove leve. Per quanto riguarda il primo “né”, ossia la non voglia di studiare, di frequentare una scuola e diplomarsi, abbiamo chiesto a un esperto e famoso maestro, qual è Marcello D’Orta, di aiutarci a comprendere quanto di vero ci sia in questa denuncia e quali possono essere le “vie d’uscita”, il metodo per far sì che i giovani possano tornare a interessarsi allo studio.

Maestro D’Orta, di colpo i giornali si sono accorti che non è bello andare a scuola?

Credo che in nessun’epoca sia mai “piaciuto” andare a scuola, ma almeno una volta c’era la promessa di un lavoro. I nostri genitori qui a Napoli dicevano «se non ti prendi il “pezzo di carta” da grande non potrai fare nemmeno lo spazzino». E credo fosse un monito diffuso in tutta Italia se non in tutto il mondo. Ormai sono anni che si è capito che il lavoro non è consequenziale al fatto di essere andati a scuola. Prevale l’istintività: non appena un giovane si accorge che molte persone, pur non essendo passate neanche per sbaglio da una scuola, hanno un’occupazione e un reddito più che buono, si tuffano a pesce nel mondo del lavoro, sempre che lo trovino.

Nella sua esperienza di maestro ha mai riscontrato cambiamenti generazionali in questo senso?

Come dicevo, c’è sempre stato un rifiuto istintivo nei confronti dell’istituzione scolastica. Però qualche giorno fa mi sono imbattuto in questa frase letta su un giornale: «probabilmente oggi Pinocchio e Lucignolo non andrebbero più nel Paese dei Balocchi, ma resterebbero a scuola». È ovviamente una provocazione, ma è molto significativa rispetto a quanto accade nelle odierne aule scolastiche. Più che le generazioni è la scuola ad essere radicalmente cambiata. Ha perso il proprio prestigio e, soprattutto, la propria autorità, cosicché andarci non appare più così gravoso come un tempo. Ma nemmeno appare più utile. Una volta il maestro era un Maestro. Interrogava, dava le note, bocciava, ma insegnava anche qualcosa. Ora, alla faccia delle bocciature di quest’anno, è tutto percepito nell’inutilità. Anche le stesse bocciature rischiano di essere una pagliacciata perché nove volte su dieci il Tar dà ragione ai genitori che fanno ricorso. In questo clima causato, è doveroso dirlo, dal disastro del ’68, è veramente difficile riuscire ad insegnare qualcosa.

È anche difficile appassionare, a quanto pare. Qual è il metodo migliore per infondere in uno studente l’interesse per una materia scolastica?

Occorre chiarire anzitutto una cosa: gli uomini in sé amano il sapere. Non mi è mai capitato di riscontrare il contrario in tanti anni di esperienza. I ragazzi, anche i bambini, amano imparare. Non è vero il cliché che dipinge i giovani come una massa di disperati che non ne vogliono sapere di niente. Il problema è che questa aspettativa di conoscere viene continuamente tradita sotto due versanti: da un lato nell’assenza di un riferimento certo e dall’altro nella riduzione della conoscenza a nozionistica. Questi due fattori fanno sì che la scuola sia vista in negativo. Io sono un seguace di Gianni Rodari quando domanda: «perché imparare piangendo quando si può farlo ridendo?». Quindi da un lato occorre un maestro che sia davvero concepito come un’autorità, dall’altro un metodo che “vivifichi” la nozione.

Come si traduce concretamente questa indicazione?

In termini di esperienza. Chiediamoci perché esistono i programmi di Piero e Alberto Angela. Probabilmente perché da giornalisti hanno un modo di proporre argomenti e questioni che manca alla gran parte degli insegnanti. Ma si può parlare qui a Napoli dei Borbone senza portare i bambini a vedere la Reggia di Caserta?
Faccio un esempio. Ad Ancona esiste un “museo tattile” che reca al suo interno le riproduzioni di opere d’arte dal periodo dell’Antico Egitto ai giorni nostri. Questo museo fu creato per iniziativa di associazioni di non vedenti i quali, impediti per ovvie ragioni dal toccare le opere d’arte, hanno voluto ricrearle per comprenderne la foggia. Da questa idea semplice, ma ricca di interesse oggettivo, è nato un museo che ha riscosso e continua a riscuotere un grandissimo successo. Insomma la voglia di sapere c’è ad ogni età e ad ogni condizione, se viene a mancare è sempre per colpa di una delusione.

Oltre alla delusione nello studio c’è però anche una scarsa aspettativa nei confronti del futuro. In effetti la disoccupazione esiste. Non crede che un’educazione come si deve dovrebbe anche insegnare a non scoraggiarsi aspettando che un aiuto piova dal cielo?

Assolutamente. Il problema è che oggi in famiglia i ragazzi sono iperprotetti. La famiglia li mantiene, un po’ perché la società non dà effettivamente grandi prospettive, un po’ anche perché “ci marciano”. Credo che in questo senso il compito ultimo della scuola non è tanto quello di istruire, ma quello di educare, assecondando il desiderio di sapere ma anche quello di diventare uomini. La conquista segue sempre una lotta.
Il problema è che le due grandi istituzioni su cui dovrebbe reggere ogni società, e cioè la famiglia e la scuola, oggi purtroppo si stanno sfaldando: nel migliore dei casi c’è il papà-uomo e la mamma-donna. Per il resto l’orizzonte familiare sta diventando confuso tanto quanto quello scolastico.

Un’ultima domanda sulla sua esperienza locale. Oltre a quanto ha detto quali altri problemi affliggono il Sud nel campo educativo?

Nel caso specifico di Napoli le cose peggiorano perché la camorra è molto attenta all’evasione scolastica dei ragazzi. Un bambino di 9 o 10 anni sa benissimo che solo facendo il “palo” per gli spacciatori guadagnerà un bel po’ di soldi. E sa ancora meglio che gli spacciatori per i quali fa il lavoretto incassano in un giorno quello che suo papà percepisce in 15/20 giorni di lavoro. Se non si antepone un ideale forte a questa situazione, è ben difficile che facendosi via via adulto resista alla tentazione di seguire una strada non proprio ortodossa.



P.S. Ho conosciuto ad un corso di aggiornamento la sorella del maestro D'Orta, una maestra anche lei: impossibile non notarla, una potenza di opinioni!

martedì 14 luglio 2009

PUNTI DI VISTA DIVERSI


(foto di Claudio Romani)


VENDETTA A FREDDO, Lee Child, Longanesi.

"E' una china pericolosa", risponde lui. "Se mi porto dietro una maglietta di ricambio, ben presto mi porterò dietro anche un paio di pantaloni di ricambio, poi avrò bisogno di una valigia. In men che non si dica avrò una casa. una macchina, un piano di risparmio e sarò costretto a riempire ogni sorta di moduli".

"La gente lo fa".

"Io no."

"Quindi, come ho detto: da che cosa scappi?"
"Dall'essere come la gente, suppongo".
"Io sono come la gente. Ho una casa, una macchina e un piano di risparmio. Riempio moduli."
"Qualunque cosa ti stia bene, falla."
"Mi consideri ordinario?"
"Da questo punto di vista sì".
"Non tutti possono essere come te".
"E' il contrario. Il fatto è che alcuni di noi non possono essere come te."
"Vorresti esserlo?"
"Non si tratta di volere: semplicemente non si può."
"Perchè no?"
"D'accordo, sto scappando."
"Da che cosa? Dall'essere come me?"
"Dall'essere diverso rispetto a quello che ero".
"Siamo tutti diversi da quello che eravamo".
"Non a tutti piace per forza".
"A me non piace", ammise O'Donnell. "Ma guardo in faccia la realtà".

Il LIBRO



Cominciano le letture estive.

Mi piacciono i polizieschi soprattutto se il detective è lo stesso. Avrò visto le repliche della signora in giallo più di una volta! Qui Jessica Fletcher è Jack Reacher, più violento, più attraente e con una forte personalità. Ha uno stile di vita particolare e una filosofia tutta sua. Di lui si conosce un po' tutto, dalla famiglia alla carriera e ogni libro rivela qualcosa in più. Quest'ultimo non è il migliore, probabilmente l'autore ha tempi da rispettare, entrate da desiderare ma è pur sempre piacevole e gli intrecci sono ben costruiti. Pur essendo l'autore inglese, è evidente il suo amore per gli Stati Uniti, qui in all'erta per un nuovo undici settembre. Per chi non conoscesse l'autore, consiglio di leggere in ordine cronologico i suoi libri: il protagonista appassionerà di più.






ERRORE DI PROSPETTIVA? MOLTO DISCUTIBILE!


NEW YORK - «Se la buona madre è colei che ama i propri figli più di qualsiasi altra cosa al mondo, allora io non sono una brava madre. Amo mio marito più dei miei figli, per me accessori». È bastata questa frase, scritta nel 2005 in un editoriale sul New York Times, per trasformare Ayelet Waldman nella mamma più odiata d’America. Ma invece di farsi intimidire dagli insulti delle croniste tv e dalle minacce via web, la 44enne autrice, avvocato e moglie del celebre - e bellissimo - romanziere Michael Chabon è tornata al lavoro per approfondire le sue tesi, eretiche nell’America post-femminista. Il risultato è «Bad Mother», il bestseller che ha spaccato in due il Paese. Mentre l'Huffington Post lo definisce «un must per ogni madre del pianeta», per Elle è «terrorismo letterario».
FIGLI PIÙ FELICI - «Penso che le mamme debbano dire la verità, specialmente quando fa male - racconta l'autrice a Corriere.it -. Il mondo cerca costantemente di farci sentire cattive madri. Purtroppo riuscendoci: la maggior parte di noi vive con questo senso nascosto e perenne di colpa e inadeguatezza». Scrittrici come Peggy Orenstein e Meg Wolitzer hanno osannato il capitolo in cui la Waldman afferma che i figli allevati sapendo di essere marginali sono «più felici, indipendenti, sani e longevi dei cocchi di mamma, iper-protetti e viziati». «I miei quattro figli non ce l’hanno con me per ciò che affermo - dice - perché sono incredibilmente sicuri. I genitori dei loro amici stanno tutti divorziando mentre loro sanno che papà e mamma staranno insieme per sempre e ciò li rende sereni e felici». In materia d’educazione sessuale, la sua strategia è semplice: «Ho messo una trousse colma di profilatici multicolori nella loro stanza da bagno, per abituarli all’idea, quando sarà ora».
FEMMINISMO - La parte del libro che ha indignato di più le lettrici del sito MyBaby.com è quella in cui afferma «potrei sopravvivere la perdita di un figlio, non quella di mio marito». Eppure la critica del New York Times Susan Dominus si è commossa per il capitolo dove la Waldman rievoca il giorno di Yom Kippur quando, di fronte all’intera sinagoga, lesse una lettera di espiazione dedicata al figlio, abortito dopo aver scoperto che era portatore di difetti genetici. «Gli implorai perdono - racconta - per essere una madre tanto inadeguata da non poter accettare un bambino imperfetto». Migliaia di donne e femministe reduci da un'esperienza analoga le hanno scritto commosse per ringraziarla. «Però molte femministe mi rimproverano di aver usato la parola bambino, invece di feto» puntualizza lei. E proprio il femminismo, secondo l’autrice, ha reso il mestiere di madre infinitamente più difficile. «Il nostro multi-tasking ha raggiunto livelli parossistici. Dobbiamo essere perfette in tutto, mentre per essere definiti modello, ai padri basta presentarsi alla partita o al compleanno del figlio». Le promesse tradite di una società più equanime avrebbero generato nelle donne un risentimento che cova sotto la cenere. Con conseguenze disastrose anche sulla vita sessuale della coppia.
SESSO E COPPIA - «L’uomo usa il sesso per rilassarsi dopo una giornata di stress e duro lavoro. Per noi donne è vero il contrario. Se poi dopo 8 ore in ufficio dobbiamo anche sobbarcarci i lavori domestici, è la fine dell’eros». Conclusione: «La vita sessuale di una donna è relazionata all’aiuto del marito in casa. Non c’è nulla di più sexy per una moglie con prole di un uomo che passa l’aspirapolvere». Anche se in libreria «Bad Mother» va a ruba, la Waldman è una delle rare scrittrici ad essere stata insultata durante il popolare show femminile The View e fischiata all’Oprah Winfrey Show. Come verranno recepite le sue teorie nella Vecchia Europa? «Gli inglesi applaudiranno senza riserve e i francesi soffieranno anelli di fumo in aria, scuotendo le loro galliche spalle e chiedendosi perché noi americani ci torturiamo così inutilmente. In Italia non riesco ad immaginare una madre che ami qualcuno, Dio compreso, più del figlio». Dopo aver trascorso le due ultime estati in Toscana, l’autrice descrive l’Italia come «un Paese ormai senza più bambini, che stravede quando ne incontra uno». «Camminare in una via italiana con un bimbo in braccio è come trasportare un’enorme torta nuziale. Tutti vogliono assaggiarla».

CORRIERE DELLA SERA, 16 giugno 2009
























giovedì 18 giugno 2009

CREDERE E' CONOSCERE

(foto di Claudio Romani)


LA MOGLIE DI PILATO, Antoinette May, Baldini Castoldi Dalai

Innanzitutto va detto che non ho assistito alla sua crocifissione. Se vuoi un'analisi minuziosa di quella tragica vicenda, da me non la sentirai. in questi ultimi anni si è parlato molto del mio tentativo di impedirla, di come abbia supplicato Pilato raccontandogli il mio sogno. Ignorando quanto è realmente accaduto, alcuni si ostinano a vedermi come una sorta di eroina. Di Gesù, il figlio di Maria, si dice che è un dio, o almeno il figlio di un dio.
In quei giorni, la situazione a Gerusalemme era pronta a esplodere. pilato mi avrebbe vietato di assistere ad un'esecuzione pubblica. Ma quando mai le regole hanno avuto importanza, per me? Quando mai il rischio mi ha impedito di fare qualcosa che mi ero riproposta? Il fatto è che non potevo sopportare la vista dell'agonia di...di... chi era veramente? Dopo tutti questi anni non lo so ancora. Qualche giudeo lo credeva il messia mentre i loro sacerdoti lo accusavano di essere un "agitatore". Se la sua stessa gente era in disaccordo, come potevamo noi romani pensare di saperlo?

IL LIBRO

Ho iniziato a leggerlo contenta: un libro originale, belle le ricostruzioni storiche, ben fatti gli intrecci con i fatti noti del periodo storico e dei racconti del vangelo, una specie di nuovo Ben Hur, di Il Gladiatore al femminile. Forse qualche volta un po' melenso, soprattutto nelle storie di tipo amoroso, un po' troppo scontate nella descrizione dei rapporti tra i due sessi ma, comunque un bel libro, del genere "divorabile" sotto un ombrellone.
Invece tutto crolla quando la Maddalena incontra Gesù. Deve essere l'effetto Dan Brown: la donna si innamora di gesù e i due si sposano. Volevo smettere di leggerlo. Possibile che una scrittrice donna non possa ipotizzare che la Maddalena amava Gesù come non aveva mai amato tutti gli uomini che già aveva avuto. Non era una prostituta per disperazione, ne aveva di soldi, con gli uomini ci andava perchè voleva, secondo me, era lei che sceglieva. Era una donna anticonformista e non sottostava all'autorità di nessun uomo. Perchè avrebbe dovuto scegliere Gesù? Per lei lui era diverso, era una presenza così eccezionale, così rispondente ai suoi desideri del cuore da cambiare la sua vita. Perchè altrimenti sarebbe stata ai piedi della croce o lui le sarebbe apparso da risorto prima che ai discepoli.
Possibile che una donna non possa ipotizzare un rapporto d'amore che non implichi il possesso?
E peggio ancora, nella parte finale, la resurrezione ha qualcosa di subdolo, sembra un trucco riuscito male. Gesù inoltre è un po' senza "attributi", più che un uomo sembra un dolcificante (neanche quello di Zeffirelli aveva raggiunto tali livelli).
Peccato, sarebbe stato un bel libro.
W Mel Gibson!

P. S. Nonostante i decantati studi e ricerche a Stanford, splendida università californiana, c'è un anacronismo:
la bimba di Pilato costruisce castelli di sabbia sulla spiaggia. Mi spiace per l'autrice ma i castelli non erano ancora stati inventati!




Da Tutta la gloria del profondo:



Credo di aver scoperto il segreto dell'universo, che consiste nel fatto che non esiste nessun segreto. E' questo il guaio dei moderni: non hanno il senso del mistero.



Bruce Marshall

venerdì 12 giugno 2009

A PROPOSITO DI LIBRI

SHAKESPEARE SCRIVEVA PER I SOLDI, Nick Hornby, Guanda editore.
Frau Paul dà alla luce un bambino molto malato proprio durante la costruzione del Muro; una mattina, al risveglio, scopre che il Muro la divide dall'unico ospedale in grado di aiutare il figlio: I dottori, senza il permesso della madre, lo portano di nascosto dall'altra parte e lui vivrà in ospedale per cinque anni.
A Frau Paul vengono concessi solo sporadici permessi di andare a trovare il bambino e lei e il marito prendono la decisione, forse non innaturale, di tentare la fuga a Berlino Ovest. I loro progetti vengono scoperti: Frau Paul rifiuta un patteggiamento che metterebbe in pericolo un giovane dell'Ovest che ha aiutato loro e altri. Così la donna va in prigione. Suo figlio, quando finalmente lo lasciano tornare a casa, ha cinque anni. (E' interessante, fra l'altro, che i personaggi centrali delle Vite degli altri non abbiano figli. Ho l'impressione che i figli tendano a limitare la gamma di scelte morali.

(Commentando il libro c'era una volta la DDR di Anna Funder)

Comunque , viva la narrativa! Abbasso i fatti! I fatti van bene per gli ottusi, per i conformisti, per i vecchi! Non scoprirete mai niente del mondo, con i fatti! Però magari darò un'occhiatina a questa biografia di Brian Clough che mi hanno appena mandato. Il calcio non conta, giusto?

Il problema della lettura è che non si finisce mai. L'altro giorno ero in una libreria a sfogliare un volume che si intitolava più o meno I 1001 libri che leggerei prima di morire (e, senza far nomi, devo dire che il compito imposto dal titolo è impossibile per definizione, visto che almeno quattrocento dei libri indicati ucciderebbero comunque), ma da lettura nasce lettura - e proprio questo è il punto, no? - e uno che non devia mai da un elenco prestabilito di libri è già intellettualmente morto.
IL LIBRO
Lo stile è suo: piacevolmente ironico, diretto e mai banale. Di Nick Hornby mi piace il fatto che sia uno normale, non fa parte della cerchia degli intellettuali o dei pluripremiati, quando può segue dei gruppi musicali che conosce solo lui, va al pub o allo stadio. E' preoccupato del futuro dei suoi figli, potrebbe evadere dalla realtà in qualche paradiso fiscale ma non lo fa. E' facile pensare che chiunque possa scrivere come lui. E invece la semplicità non è semplice, si rischia di essere naif (e credo che in Come diventare buoni ci sia arrivato molto vicino), noiosi e scontati. Resto fiduciosamente in attesa del suo prossimo romanzo, potrebbe essere davvero grande.

P.S. I testi originali degli articoli si trovano nella versione on line della rivista The Believer (http://www.believermag.com/)

Se i professori hanno oggi come principio quello di affrontare un'opera come se si trattasse di un problema di ricerca per il quale ogni risposta è buona a condizione che non sia evidente, temo che gli studenti non scopriranno mail il piacere di leggere un romanzo.


Flannery O'Connor