martedì 9 marzo 2010

ANCORA SCUOLA


PERLE AI PORCI, Gianmarco Perboni, Rizzoli
Diecimila, più o meno. E' il numero delle pagine di programmi, relazioni, documenti e scartoffie varie che ho scritto in vent'anni di carriera scolastica. Tutto bene, anzi ci sarebbe da complimentarsi per il notevole sforzo intellettuale che, al pari dei miei colleghi, ho saputo compiere con tanta abnegazione e senso del dovere. Se non fosse che neppure una persona ha mai letto una sola riga di quanto ho scritto; neppure io, poichè ben conoscendo il loro destino, non mi sono certo dato la pena di rileggerle.

IL LIBRO

E' il diario di scuola di un professore di inglese delle superiori, che non insegna nei licei e che si nasconde dietro uno pseudonimo. All'inizio non volevo leggerlo, pensavo fosse la solita raccolta di castronerie studentesche, che fanno ridere per non piangere e sono belle solo se il soggetto è un bambino e non un adolescente. Invece è un libro piacevole, si legge velocissimamente e, in generale, descrive un ambiente molto familiare che, ad eccezione di qualche sfumatura di colore, è lo stesso in tutta Italia. La globalizzazione è anche scolastica.
Non condivido tutte le opinioni però è un testo simpatico, ironico ed umoristico. Resta un dubbio atroce: ma chi parla è un bravo insegnante o davvero odia così tanto i suoi studenti? A me piace Pennac: anche gli studenti peggiori da lui imparano qualcosa. Qui sembra che l'importante sia avere la disciplina in classe, non lasciarsi sopraffare da un branco di microcefali ed avere uno stipendio fisso. Eppure io non ci credo che siano tutti così i ragazzi italiani! E non credo neanche che diminuendo il numero di studenti per classe e aumentando il nostro stipendio, come proposto nel testo, migliori automaticamente la qualità, certamente renderebbe le cose più facili ma alunni e insegnanti resterebbero gli stessi.
Dell'autore volutamente si sa poco. Si indovina la Toscana (viene nominato Viareggio come località di vacanze e una o due espressioni linguistiche rivelano il centro Italia) e credo di poter dire che egli non sia padre di famiglia o, comunque non abbia figli alle superiori. Infatti per quanto riguarda il costo dei testi scolastici, nel mio caso personale, non è stato uno svenamento economico (anche perchè, dove ho potuto, li ho presi usati) ma un sostentamento dell'industria editoriale italiana: tantissimi insegnanti non hanno mai utilizzato il libro adottato o solo in minima parte. Un altro accenno va dato a come cambia velocemente il mondo contemporaneo. Il libro è stato pubblicato nel 2009, ci sono riportati fatti di cronaca recentissimi eppure Facebook non riempie ancora il tempo degli studenti come invece sta facendo oggi.

P.S. c'è anche il blog www. profperboni.blogspot.com

SHAKESPEARE COME SI IMPARA?
Pigi Colognesi
martedì 9 marzo 2010
dal Sussidiario.net

La commedia di Shakespeare Pene d’amor perdute inizia in modo solenne. Il giovane re di Navarra e i suoi tre fidati amici gentiluomini stipulano un impegnativo patto: per raggiungere la saggezza, per arrivare al culmine della conoscenza vivranno per tre anni da reclusi nella reggia, dedicandosi esclusivamente allo studio.

Un programma educativo di tutto rispetto; per completare il quale i quattro si impegnano a essere morigerati nel mangiare, a non curarsi del vestito e, soprattutto, a non cedere alle lusinghe d’amore. Ragion per cui nessuna fanciulla potrà accedere al palazzo. A dire il vero uno dei quattro, Biron, ha qualche dubbio sulla sensatezza del progetto: «Penosamente un uomo s’intesta a ponzare su un libro, cercando la luce della verità: e intanto la verità a tradimento pian piano gli toglie la luce degli occhi». Comunque anche lui accetta le regole.

Sfortunatamente (fortunatamente) proprio in quel giorno arriva un’ambasciata del re di Francia, che il sovrano di Navarra non può proprio evitare di ricevere. La delegazione è composta, ovviamente, da quattro ragazze: la giovane principessa francese e tre sue damigelle. La commedia si accende subito in un gioco pirotecnico di battute, di sottintesi, di motti salaci. Shakespeare prende in giro il linguaggio galante e vuoto di tanta poesia amorosa, quello pedante dei saccenti, quello sciatto degli insegnanti, quello falso in cui possiamo cadere tutti.

Fatto sta che i quattro si innamorano ciascuno di una dama. L’uno dopo l’altro compaiono sulla scena lamentandosi di aver nell’intimo tradito il giuramento di dedicarsi esclusivamente allo studio e leggono brani di poesia dedicati all’amata. Nessuno di loro sa che un altro, di nascosto, l’ascolta. E così, nel giro di poche battute si ritrovano vicendevolmente smascherati. Che fare? Andare contro il proprio sentimento per non perdere l’onore oppure infrangere il giuramento per salvare l’amore.

È Biron che dice la parola risolutiva. Qual era lo scopo? Imparare. Ma come si impara? Loro avevano pensato che la strada fosse chinarsi sui libri, tenendo fuori dall’orizzonte ogni realtà che potesse disturbare lo studio. Ma questo non poteva che produrre un sapere astratto, libresco appunto. Infatti le loro parole erano piatte, come quelle che si copiano da altri. Le parole si sono invece accese di verità e di bellezza quando sono state dettate da un sentimento che li coinvolgeva per intero: l’amore.

Esistono studi ponderosi che assorbon del tutto la mente dei loro cultori - che sono infecondi sgobboni: ma chi li ha visti i frutti di tante pesanti fatiche? L’amore invece, che occhi di donna han dapprima ispirato, non vive di se stesso, murato nel nostro cervello, ma nobile e fluido, al pari di ogni altro elemento vitale, invade, rapido come il pensiero, le facoltà umane, e di ciascuna raddoppia la forza e il vigore».

È la rivincita della concretezza esistenziale sull’astrazione intellettuale. Una lezione importante oggi, per noi che ci troviamo in piena emergenza educativa. Non c’è nessuna possibilità di educare se non si sa proporre un coinvolgimento affettivo oltre che intellettuale, cioè dell’interezza della persona.

Ognuno dei quattro cercherà, allora, di conquistare la propria dama, perché «i libri, le arti, le scienze di un’accademia che spiega, comprende e alimenta ogni umana realtà» non sono altro che «gli occhi delle donne». E solo quando avranno abbandonato la falsità delle parole libresche, la maschera delle astrazioni, raggiungeranno il loro obiettivo.




1 commento:

palmy ha detto...

"L’amore invece, che occhi di donna han dapprima ispirato, non vive di se stesso, murato nel nostro cervello, ma nobile e fluido, al pari di ogni altro elemento vitale, invade, rapido come il pensiero, le facoltà umane, e di ciascuna raddoppia la forza e il vigore".

Sono d'accordo.
Mi richiama il corso che ho appena finito. L'ho raccontato da me. E ne racconterò ancora. Se ti va di darmi il tuo contributo...